Burt Bacharach

Burt Bacharach

La nuova Arcadia del pop

La grandezza della musica di Bacharach dischiude arcane emozioni, lievi e allo stesso tempo inquietanti, grazie al suo tocco unico e inconfondibile. Non c'è musicista pop o rock o jazz che non si sia inchinato al suo talento. Eppure per tanti anni la sua musica raffinata ha suscitato pregiudizi e diffidenze. Ricostruiamo la sua lunga storia, dagli esordi al Brill Building alla stagione d'oro, suggellata dalle voci delle sue storiche muse, fino ai suoi ultimi giorni

di Claudio Fabretti, Fabio Pierangeli

Burt Bacharach è il pathos all'interno del frastuono americano.
(Albert Goldman)

Nel mondo effimero eppur dorato della pop music pochi tra gli addetti ai lavori possono reclamare lo status di genio. Brian Wilson, Paul McCartney, Phil Spector sono sicuramente geni che hanno saputo trasportare e trascendere l'effimero sogno adolescenziale della canzonetta "pop" in arte. E per arte si intende in questo caso non semplice evasione, ma conoscenza sia emotiva che spirituale tesa a cercare "una gravitas", "una pienezza", nello spazio ristretto dei pochi minuti della "canzonetta". Ma se dovessimo individuare colui che più di tutti ha glorificato l'arte della bellezza, del raccoglimento intimo, pudico, della profondità delle emozioni più grandi e piccole riunite magicamente insieme, sceglieremmo Burt Freeman Bacharach, il mistico esploratore ebreo perso nella Shangri-La del suo Lost Horizon.
Bacharach è George Gershwin che incontra Duke Ellington nella nascente pop music. Mentre i due citati saldano la musica colta alla tradizione blues-jazz, Bacharach va oltre, unendo le due componenti anche alla popular musical, ampliandone così orizzonti e prospettive. Bacharach si pone in questa veste come primo genio anomalo del "pop", un genio poco moderno e poco appariscente, poco loquace e poco rock, troppo bello-borghese perché potesse creare clamori in quell'America anni 50-60 infiammata dal nuovo credo del rock'n'roll , a suo modo un anti-eroe che ha trasportato la pop-song su strade nuove. Come giustamente dice Robin Platts: "...semplici emozioni si traducevano in musiche e parole costruite ad arte, canzoni che erano davvero molto più complesse di come suonavano. Bacharach le faceva apparire facili, ma non lo erano. Aveva spinto il songwritingverso nuove, eccitanti frontiere, con un uso innovativo di parole, ritmi e melodie".

Bacharach è uno dei più grandi geni della musica popolare americana. Le sue canzoni superano le aspettative di ciò che una pop-song dovrebbe essere. Armonie avanzate, mutazioni di accordi con imprevedibili modulazioni, improvvisi cambi di ritmo... Ma fa apparire tutto così naturale che non te ne rendi conto e non puoi fare a meno di metterti a fischiettarlo.
(John Zorn)

Non vergognarti mai di scrivere una melodia che puoi fischiettare.
(Darius Milhaud a Burt Bacharach)

La grandezza della musica di Bacharach dischiude arcane emozioni, lievi e allo stesso tempo inquietanti con la leggerezza del suo tocco bach-arachiano unico e inconfondibile. Non c'è musicista pop o rock o jazz che non si sia inchinato al suo talento: da Frank Zappa che ne ammirava la sofisticatezza (“prima di lui ben poco era stato fatto nel pop americano nell’ambito delle armonie bitonali e politonali”, gli riconoscerà), a Brian Wilson, che lo ha eletto come suo songwriter prediletto, agli Steely Dan ("Io e Walter Becker eravamo grandissimi fan dei dischi di Burt, ci hanno influenzato profondamente", rivelerà Donald Fagen a Melody Maker nel 1993) a Stan Getz e McCoy Tyner, che hanno inciso due separati album tributo dallo stesso titolo ("What The World Needs Now"), e a una schiera di musicisti così disparati che citarli tutti sarebbe impossibile: Rem, Elvis Costello (con cui produrrà l'immenso "Painted From Memory"), Mark Hollis, Diana Krall, Sterelolab, Luther Vandross, Love, Oasis, White Stripes, Pretenders, Laura Nyro, Belle and Sebastian, Cardinal, Divine Comedy, Kyoto Jazz Massive, Isaac Hayes, di cui bisogna ricordare la strepitosa cover di "Walk On By" nell'album "Hot Buttered Soul", curiosamente coverizzata anche in versione post-punk dagli Stranglers nell'Ep allegato all'album "Black & White" del 1978... la lista sarebbe davvero infinita.
John Zorn dirà di lui nelle note introduttive alla "Great Jewish Music": "Burt Bacharach è uno dei grandi geni della musica popolare americana. Le sue canzoni superano le aspettative di ciò che una pop-song dovrebbe essere. Armonie avanzate, mutazioni di accordi con imprevedibili modulazioni, improvvisi cambi di ritmo... Ma fa apparire tutto così naturale che non te ne rendi conto e non puoi fare a meno di metterti a fischiettarlo".

Per anni la sua musica è stata relegata a semplice muzak, easy listening, almeno fino all'esplosione della lounge music negli anni Novanta, che di fatto ha sdoganato anche Bacharach alle nuove inebetite generazioni musicofile: Nme del 1996 parla di lui come "Lounge Wizard", Mojo nel 1998 lo definisce "A gentleman who prefers diminished sevenths", e Q nel 1996 si spinge a ritrarlo come "a man imprisoned in music's metaphorical lift for years". In realtà sarebbe bastato informarsi tempestivamente per scoprire che nella formazione di Bacharach non c'è mai stato posto per l’easy listening. A cominciare dalle cruciali lezioni del maestro francese Darius Milhaud, amico di Erik Satie e componente del Gruppo dei Sei, che ebbe tra i suoi allievi personaggi come Karlheinz Stockhausen, Dave Brubeck, Philip Glass e Iannis Xenakis. Non esattamente degli habitué della musica per ascensori. Ma fu proprio Milhaud a dare a Bacharach il suggerimento decisivo: “Non vergognarti mai di scrivere una melodia che puoi fischiettare”. Lo prenderà in parola per tutta la vita.
Ma è difficile anche trovare un altro hitmaker pop che sia stato allievo di Henry Cowell e si sia nutrito di Ravel e del jazz di Dizzy Gillespie, Thelonious Monk e Charlie Parker. C'è stata la reale difficoltà di comprendere da parte di molta critica coeva il professionismo del grande artigiano, dell'uomo che ha letteralmente inventato un modo nuovo di scrivere la pop song componendo di fatto quella che chiameremmo la "chamber pop sonata". Laddove Phil Spector opera su lente accumulazioni e stratificazioni sonore per raggiungere il climax adatto della canzone (il famoso Spector Wall of Sound), Bacharach lavora di fioretto, con una lenta ed estenuante attività di arrangiamento e produzione: "Un perfezionista, ci facevamo impazzire a vicenda", dirà Hal David nel 2003.

Volevo solo andare in strada a giocare a palla come tutti quelli che conoscevo. Vivevo a Forest Hills, ero ebreo ma non volevo che nessuno lo sapesse. Ero troppo basso perché una ragazza notasse anche solo che ero vivo. E mentre avrei potuto trovare me stesso imparando davvero a suonare il pianoforte, non c’era niente al mondo che odiassi più di quello strumento.
(Burt Bacharach)

Manhattan transfert

Burt Bacharach con Marlene DietrichNato a Kansas City nel 1928 da Irma e Bert Bacharach, discendente da una famiglia di ebrei tedeschi, il giovane Burt (chiamato Happy in famiglia per non fare confusione con il padre), è un ragazzino insicuro, quasi disadattato: la leggenda lo ritrae come un nerd ante-litteram, con l’apparecchio fisso ai denti e un flacone di colluttorio Listerine sempre con sé, per improvvisare gargarismi d’emergenza. Ha il vizio del jazz e una smodata passione per la musica dodecafonica. Ma l'abbrivio non è marchiato dal sacro fuoco della vocazione. È la madre, pittrice e cantante mancata, a spingerlo a prendere lezioni di piano dalla zelante Miss Rose Raymond, fin dall'età di 8 anni. Ma lui non ne vuole sapere: “Volevo solo andare in strada a giocare a palla come tutti quelli che conoscevo - racconterà - Vivevo a Forest Hills, ero ebreo ma non volevo che nessuno lo sapesse. Ero troppo basso perché una ragazza notasse anche solo che ero vivo. Leggevo ‘Fiesta’ e mi portavo dietro un nome come Happy. E, mentre avrei potuto trovare me stesso imparando davvero a suonare il pianoforte, non c’era niente al mondo che odiassi più di quello strumento”.
Un rapporto controverso con la musica, dunque. Con alcuni punti fermi, però. Come Debussy. Oppure quella partitura di Ravel – la Suite n. 2 per orchestra del balletto “Dafni e Cloe” - che leggeva di nascosto durante le lezioni di spagnolo al college. Burt studia musica – pianoforte e violoncello - alla McGill University e alla Mannes School of Music. Ma la vera infatuazione è il jazz: a 15 anni si infila, carta d'identità falsa alla mano, nei club della 52ª a Manhattan, è qui che Dizzy Gillespie lo folgora sulla via del pentagramma. Si appassiona in particolare al be-bop degli anni 40 (Parker, Gillespie, Monk) del quale approfondirà le ritmiche, ma anche al pop orchestrale di Henry Mancini e Ray Connif e alla bossa nova.

Se due persone fanno l’amore, non ci si dovrebbe alzare dal letto per scrivere ciò che ci risuona nella testa e dire: "Il sol passa a bemolle, non a la minore. Funziona, baby”.
(Burt Bacharach)

I suoi primi passi, negli anni Cinquanta, lo vedono in veste di pianista, arrangiatore e direttore del gruppo che accompagnava Marlene Dietrich nei suoi spettacoli. Sarà proprio la sempiterna diva tedesca a certificarne la trasformazione da adolescente complessato a uomo affascinante: “Incarnava qualsiasi cosa una donna potesse desiderare. Era premuroso e sensibile, galante e coraggioso, forte e sincero”, lo ricorderà la musa di “Lili Marlene” nella sua autobiografia. Niente flirt, almeno con lei, però un rapporto fatto di premurose attenzioni. Lo stesso Bacharach racconterà di come un giorno sorprese l'algida Marlene a lavargli maglietta e calzini usati per il tennis, una volta che erano insieme a Las Vegas per una serie di concerti.
Il sodalizio durerà fino al 1965, anche se Bacharch – come rivelerà candidamente – non ha mai amato le canzoni della Dietrich. Ma quell'esperienza si rivelerà preziosa per la sua successiva attività di compositore. Della sua attività di indefesso tombeur de femmes, invece, nessuno più dubiterà. Il suo matrimonio con l'attrice Paula Stewart durerà dal 1953 al 1958. Nel 1965 sposerà la bionda Angie Dickinson, attrice americana celebre per le gambe da favola, con la quale romperà nel 1981. Tra un divorzio e l'altro, i flirt con la top model Slim Brandy. Poi, le nuove nozze, con la sua collaboratrice Carole Bayer Sager e, dal 1993, il quarto matrimonio, con Jane Hanson. Ma l'unico innamoramento costante, ai limiti dell'ossessione, resterà quello musicale, al punto che, un giorno, ci scherzerà su: “Se due persone fanno l’amore, non ci si dovrebbe alzare dal letto per scrivere ciò che ci risuona nella testa e dire: ‘Il sol passa a bemolle, non a la minore. Funziona, baby’”.

Al Brill Building era come essere nell'esercito e avere a che fare con ogni sottotenente. Nessuno aveva scampo.
(Burt Bacharach)

La fabbrica delle canzoni

Burt BacharachLa sua avventura musicale inizia nel corporativismo produttivo di stampo fordiano del Brill Building, al 1619 di Broadway, fra la 49esima e la 53esima strada, nel cuore di Manhattan. L'aspetto meccanico, riproduttivo e ripetitivo viene sapientemente equilibrato con una incredibile creatività artistica, supportata da un raro talento melodico. Ai tempi la factory del Brill fu stigmatizzata nella visione dell'industria-apparato, troppo inautentica per i canoni rock che venivano a formarsi in quegli anni.
Se da un lato il Brill era davvero una industria produttiva di canzonette da vendere come saponette, dall'altro l'esplosione di nuovi sistemi tecnologici di registrazione permise ai suoi "operai" di portare il linguaggio pop su livelli di ambizione mai prima esplorati. L'esigenza commerciale e quella artistica trovarono alla fine un sano modo di coesistere. Tra questi "operai", oltre a Bacharach, entrato nel Brill Building nell'estate del 1956 per la Famous-Paramount Music di Eddie Wolpin, vanno almeno ricordati altri nomi da leggenda, come Gerry Goffin e Carole King, Phil Spector, Paul Simon, Jerry Leiber e Mike Stoller, Laura Nyro.
Come dirà Bacharach: "Era come essere nell'esercito e avere a che fare con ogni sottotenente. Nessuno aveva scampo". E infatti fu un periodo di compromessi e frustrazioni per il giovane Burt ("Lavorai proprio male a New York e scrissi alcune canzoni davvero banali") e anche il suo materiale compositivo risulta ancora anonimo: "Era come se quel materiale l'avesse composto qualcun altro", scriverà Michael Ancliffe.
In quel periodo inizia a scrivere numerose canzoni tra cui “Baby It’s You” (Shirelles), “Please Stay” (Drifters), “Tower Of Strenght” (Gene McDaniel). E riesce a piazzare un paio di colpi ad effetto, come "The Story Of My Life" – prima grande hit del duo David & Bacharach - incisa da Marty Robbins e destinata a issarsi al n. 15 in classica, grazie al suo hook fischiettante, seguita da quella “Magic Moments”, che, affidata all’ugola da crooner di Perry Como, si aggiudica il primo disco d'oro certificato dalla RIAA (istituito proprio in quell’anno, il 1958).

Servirebbe praticamente un corso di musica per saper maneggiare le sue partiture.
(Dionne Warwick)

Un altro aspetto che per tanto tempo ha paralizzato la critica è stata l'apparente complessità e sofisticatezza della sua scrittura musicale, aliena al rock e molto accademica, che poco si prestava alla comprensione "linguistica" per tutta una generazione di musicisti rock illetterati con nessuna formazione musicale alla spalle. Come dice la sua musa Dionne Warwick: "Servirebbe praticamente un corso di musica per saper maneggiare le sue partiture". Perché la musica di Bacharach è colma di innovazioni: la complessità dei tempi, molto diversi dai "soliti" 4/4 comuni nella musica pop (abbondano i 12/8, 6/8 etc. etc.), variegati anche all'interno della stessa canzone (caso-limite "Promises Promises", con cambi di tempo anche ogni due battute per la delizia di cantante e interpreti). Non parliamo poi degli accordi "strani" - diminuite etc. - e dell'arrangiamento "lussureggiante", che però conserva sempre leggerezza ed eleganza.
Insomma, trattasi di accuse risibili quando si parla di arte musicale, accostabili a quelle rivolte negli stessi anni al nuovo sound della Motown, definito troppo "slick". Due estetiche musicali, quella di Gordy e quella di Bacharach, per alcuni versi accostabili (basta sentire la cover di "This Guy's In Love With You" delle Supremes con i Temptations per rendersene conto): grande professionalità, grandi arrangiamenti e grandi melodie. Una freschezza di sound che ancora oggi resta intatta.
Questa mutua "incomprensione linguistica" si è poi stemperata quando il rock è riuscito a elaborare quella "complessità compositiva" adattandola con i suoi mezzi alle sue necessità. Quando il rock si è evoluto dal rock‘n'roll ha trovato sì fonte di ispirazione nella letteratura, nel cinema e nella pittura, ma ha dovuto e voluto guardare e imparare dalla classica, dal jazz e dalla musica contemporanea per non sentirsi "linguisticamente" e "psicologicamente" meno preparato.
Dopo aver imparato a suonare già da piccolo il pianoforte, il violoncello e la batteria, come abbiamo visto, Bacharach aveva attinto per la sua formazione “classica” dagli impressionisti francesi (Ravel, Debussy), dai post-impressionisti Poulenc, Satie, Milhaud (praticamente il music hall francese di stampo anche cabarettistico) fino ad arrivare a Berg, Webern. Vivendo a Kansas City e a New York, ha poi scovato e assimilato ritmi dal jazz be-bop degli anni 40 (la sacra trimurti Monk-Gillespie-Parker). Dal cerebralismo dell'avanguardia minimale-elettronica (Cage, Stockhausen) ha invece carpito il rigore dell'incisione. Stanco poi dell'alto si è rivolto al basso, al pop orchestrale dal sound anche fin troppo perfetto di Ray Conniff.

Nel Brill Building, grazie a Wolpin, Bacharach incontrerà Hal David, colui che diventerà il suo storico paroliere. Un sodalizio fortunato che si reggerà su una complementarietà perfetta: mentre Bacharach realizza armonizzazioni e accordi complessi per le sue musiche, David riesce abilmente a catturare subito il suono delle parole con liriche duttili e immediate. Del resto, come scrive Mauro Ronconi, “Bacharach e David avevano due personalità completamente diverse, il primo un romantico ottimista, l’altro un disincantato al limite del cinismo. Proprio da due caratteri così opposti nascerà l’elemento distintivo della loro opera, ovvero il contrasto tra la leggerezza delle musiche e i testi disillusi e realisti”.
La formula r'n'b degli esordi non aveva prodotto alcun risultato artistico di rilievo: il rock'n'roll non era la strada da battere. Bacharach dovrà quindi arrivare al 1962 per la "svolta", non prima di essersi scrollato l'esperienza negativa ma formativa, sotto la direzione artistica di Mitch Miller, del Brill Building.

A Dionne ero solito dare suggerimenti. Ora non più. So che quello che farà sarà sempre un gioiello.
(Burt Bacharach)

Il maestro e le sue muse

Burt Bacharach con Dusty SpringfieldNel 1962 la canzone "I Just Don't Know What To Do With Myself", con Bacharach alla direzione dell'orchestra, Phil Ramone come ingegnere del suono e la produzione di Leiber e Stoller, esce passando inosservata come B-side di "And I Never Knew" per il singolo di Tommy Hunt, cantante black di r'n'b. Due anni dopo, completamente riarrangiata e con una interpretazione vocale mozzafiato di Dusty Springfield, arriverà al terzo posto delle classifiche Uk: "Chi non avrebbe voluto cantare una canzone come questa? Era uno scrittore che stava cambiando profondamente il suono della pop music", ricorderà la stessa Springfield.
La canzone diventerà il primo vero manifesto della poetica ed estetica musicale del duo. Possiamo affermare di avere di fronte una B-side storica alla pari di una "Rain" dei Beatles, tanto per intenderci. Troviamo già i tratti tipici della produzione successiva del duo: un ennui, un malessere ormai adulto non più adolescenziale, che partendo dall'Elvis Presley di "Are You Lonesome Tonight?" ci condurrà al "Man Alone" di Frank Sinatra.
Il lavoro come direttore d'orchestra per Marlene Dietrich (iniziato nel 1958 e protrattosi fino al 1965) apre la strada a Burt ai grandi esperimenti sugli accordi (i suoi famosi accordi sospesi) e sugli arrangiamenti e alla effettiva costruzione della new pop song.
Avendo ora il pieno controllo degli arrangiamenti e della fase produttiva del sound, Bacharach svilupperà finalmente tutto il suo enorme potenziale creativo, perché - come spiega lui stesso a Hubert Saal, nel 1970 – “puoi avere una canzone strepitosa, ma un arrangiamento o una produzione scadenti la rovineranno sempre”.

Siamo arrivati a una fase storica dove la dicotomia arte alta-arte bassa viene definitivamente frantumata e riconciliata su vette per i tempi impensabili: ricordiamo che siamo in anni, quelli a cavallo tra i 50 e i 60, dove l'incomunicabilità tra alto (avanguardia) e basso (popular music) era ben netto e definito. Bacharach conosce e ammira il lavoro dei vari Cage, Stockhausen, LaMonte Young, ma è anche consapevole della loro scarsa presa a livello popolare, per l'intrinseca difficoltà d'ascolto della loro musica. Rimodernizzando uno dei temi più banali ma allo stesso tempo più complessi da trattare, il discorso amoroso nelle sue infinite sfaccettature, Bacharach attuerà la svolta del grande successo popolare degli anni a seguire. Non è un tema nuovo, tutta la Tin Pan Alley Story si è costruita sulla canzonetta d'amore, ma è il nuovo modo di produrre il sound che creerà la leggenda. Una leggenda che si alimenterà con il contributo essenziale di un altro personaggio: Dionne Warwick, la perla nera dalla voce di filigrana e dal timbro melanconico, cresciuta cantando gospel in chiesa con la zia Cissy Houston. All’anagrafe Warrick, conserverà per sempre il cognome col refuso presente sulla copertina del suo primo singolo, “Don't Make Me Over”, la splendida ballata sentimentale pennellata per lei dal duo David-Bacharach. L’incontro fatale avviene durante una seduta di registrazione del 1962 in cui Dionne faceva da corista ai Drifters per “Mexican Divorce”. Capace di affrontare e le difficoltà ritmiche-armoniche delle composizioni di Bacharach (fate caso alla naturalezza con la quale riesce a divincolarsi dai 5/4 ai 4/4 per poi passare ai 7/8 in "Anyone Who Had A Heart", il suo secondo successo) e quelle espressive di veicolare feeling complessi, la Warwick si ritrova la voce perfetta per le canzoni del duo: "Ero solito darle suggerimenti. Ora non più. So che quello che farà sarà sempre un gioiello", dirà di lei Bacharach.
Sarà soprattutto nel 1964, con “Walk On By” (inizialmente lato B di “Any Old Time of The Day”), che Dionne si consacrerà stella mondiale e musa suprema dell’uomo di Kansas City. “Walk On By” condensa infatti tutta la genialità del Bacharach compositore e arrangiatore, a partire dal quel ritmo sornione vagamente bossa nova, assecondato da una chitarra acustica, con l’ugola venata di gospel della Warwick - fraseggio elegantissimo, intonazione adamantina, ottima estensione vocale - a irrompere sui rintocchi del piano, e gli archi, inizialmente relegati sullo sfondo, che si gonfiano per poi ritirarsi ancora, mentre il ritornello prende vita tra stranianti punteggiature di flicorno. Un capolavoro per la musica tutta, destinato, come si diceva, a una sequela inarrestabile di cover.

"The Look Of Love" era la cosa più erotica che potesse essere cantata da una ragazza bianca e inglese nel 1967.
(Luca Sofri)

Da allora, Dionne Warwick conserverà una sorta di primogenitura sulle canzoni del duo David-Bacharach. Nel suo “The Book of Love”, Giampiero Vigorito la immagina come “un fenicottero di una razza sconosciuta, che vola leggero scivolando tra le sete colorate”. Niente meglio di questa immagine rende l’idea di cosa sia stata la più grande musa di Burt Bacharach. Non l’unica, però. A reclamare un posto alla destra della divina Dionne è quantomeno Dusty Springfield, la regina bianca del soul, icona di canto e di stile British, con un impatto sul costume del Regno Unito paragonabile a quello di una Dalida in Francia o di una Mina in Italia. Bionda, occhi pesantemente bistrati e voce sensualissima, la Springfield cantò per prima la celeberrima “The Look Of Love”, ribattezzata “la cosa più erotica che potesse essere cantata da una ragazza bianca e inglese nel 1967” (Luca Sofri), oltre alla sopracitata “I Just Don't Know What To Do With Myself”, alla vellutatissima “Wishin’ And Hopin’” (n.6 in Uk nel 1964) che non aveva precedentemente trovato fortuna con la Warwick come lato B di "This Empty Place", e a tante altre canzoni firmate dal duo.
E se nell’empireo delle interpreti bacharachiane non può ovviamente mancare Aretha Franklin, che portò al successo “I Say A Little Prayer”, una menzione d’obbligo spetta anche a Jackie DeShannon, altra voce sensuale e fatata, nonché una delle prime cantautrici del rock’n’roll, con un pedigree di tutto rispetto (lavorerà negli anni con Marianne Faithfull, Jimmy Page, Randy Newman, i Byrds, e scriverà anche “Bette Davis Eyes”). Sarà proprio la bionda Jackie a cantare per prima “What The World Needs Now Is Love”, la commovente ballata del 1965 che resterà tra le più amate in assoluto della premiata ditta Bacharach & David.

“Little Red Book” è stata l’unica volta in cui ho cercato di comporre rock’n’roll, e con esito disastroso, insieme ai Manfred Mann. Avevano difficoltà a capire le mie armonie e gli accordi. Fu un flop totale. Tre anni dopo, i Love, ne cambiarono la melodia, cosa che non mi piacque, cambiarono gli accordi, cosa che non mi piacque, e ne fecero un successo... cosa che mi piacque moltissimo!”.
(Burt Bacharach)

The hook of love

Burt BacharachMa Bacharach ha voglia anche di mettersi in gioco da solo. Sedendosi al piano e suonando i suoi successi. L’album d’esordio, Hit Maker! Burt Bacharach Plays His Hits, esce nel 1965 e vede la partecipazione come session men dei futuri Led Zeppelin Jimmy Page e John Paul Jones.
Sono presenti già alcuni capolavori, seppur ancora in cerca di piena definizione, con le parti vocali affidate ai sussurri sensuali di tre vocalist – Barbara Moore, Gloria George e Margaret Stredder – riunite sotto il moniker The Breakaways (una sorta di equivalente britannico delle Blossoms). Ma raramente il loro contributo regge il raffronto con le future versioni degli stessi brani affidate a vere e proprie interpreti.
"Walk On By", ad esempio, figura in versione quasi completamente orchestrale, con qualche vocalizzo a corredo, e suona assai meno affascinante di quella resa immortale dall’ugola di Dionne Warwick; eppure continua a strabiliare per quell’apertura melodica avvolgente, pennellata dagli archi e punteggiata dai rintocchi del piano. L’altrettanto maestosa “A House Is Not A Home" soffre di arrangiamenti un po’ ridondanti: troverà vesti più consone nelle sue future incarnazioni discografiche, ma già trabocca di quel senso di contrita malinconia che la renderà un monumento.
Le rapinose armonie di "Anyone Who Had A Heart" (incisa per l'Italia da Petula Clark con il titolo "Tutti quelli che hanno un cuore") si snodano in una scia di fiati vellutati e archi struggenti, con improvvisi sussulti orchestrali da music-hall. È invece una tromba a scavare la linea melodica di “Don’t Make Me Over” – altra prodezza destinata a miglior sorte (sarà il primo singolo della Warwick) – con gli archi a gonfiare di pathos una cornice un po’ demodé. La traccia in cui la sensualità al velluto delle vocalist riesce forse a emergere di più è "Wives And Lovers", con i suoi saliscendi melodici in 5/4 già spediti da Jack Jones al n.14 delle chart e riproposti in chiave quasi lounge.
All’interno dell’album trovano posto anche le due facciate di un singolo uscito nello stesso anno: "Don't Go Breaking My Heart" e il retro (di maggior successo, n.4 in Uk) "Trains And Boats And Planes", griffato da un piano elettrico distorto e da un incedere sostenuto che mima il senso del viaggio.
Già appare chiaro, comunque, che in Bacharch anche le briciole sono oro: si prenda ad esempio il motivetto apparentemente vacuo di “Blue On Blue” e li si proietti in una discoteca del Duemila: riapparirà magicamente campionato e rivitalizzato in salsa elettronica in una splendida canzone dei Royksopp (“So Easy”).
Hit Maker!  passa quasi inosservato negli Usa, ottenendo invece un notevole successo commerciale in Gran Bretagna. La sensibilità arcadica di questo nuovo pop non poteva passare inosservata all'ascoltatore britannico, sempre così ricettivo verso stati della mente nostalgici e romantici.

Nello stesso anno Bacharach lavora alla colonna sonora di What’s New Pussycat di Clive Donner, il primo film sceneggiato da Woody Allen, con un cast stellare comprendente Peter O'Toole, Peter Sellers, Ursula Andress, Romy Schneider e lo stesso Allen. Il titolo, invece, è l’unico lascito del protagonista mancato Warren Beatty: era la frase scherzosa con cui era solito rispondere al telefono (!).
“È stata l’unica volta in cui ho cercato di comporre rock’n’roll, e con esito disastroso! – racconterà Bacharach - Ci recammo in studio con i Manfred Mann, un gruppo rock britannico dell’epoca, ma loro avevano difficoltà a capire le mie armonie e gli accordi. Fu un flop totale. Tre anni dopo una band del sud della California, i Love, ne cambiarono la melodia, cosa che non mi piacque, cambiarono gli accordi, cosa che non mi piacque, e ne fecero un successo... cosa che mi piacque moltissimo!”. Si riferiva in particolare a “Little Red Book”, uptempo in realtà tutt’altro che disprezzabile, con quel suo piglio ringhioso che i Love avrebbero avuto gioco facile a trasformare in un inno garage-rock. La sarabanda di “What’s New Pussycat”, affidata allo stentoreo crooning di Tom Jones, spalanca il sipario su un musical broadwayano ad ampio respiro, mentre “Here I Am” (successivamente reinterpretata da Warwick) regala alcune sognanti atmosfere pre-lounge da cocktail al tramonto.

Passa piuttosto inosservata, invece, la successiva soundtrack firmata da Bacharach e David per After The Fox, commedia italo-inglese del 1966 con Peter Sellers, diretta da Vittorio De Sica. Non convince appieno l’idea di sposare le sontuose orchestrazioni pop del maestro americano a miniature folkeggianti che sembrano riesumare motivetti italiani un po’ stereotipati, mentre il tema principale viene affidato agli Hollies, con intermezzi semiseri recitati da Sellers, per un esito di non irresistibile efficacia. Il resto – l’ariosità, la grazia melodica, la leggiadria del tocco – naturalmente non viene meno.

Ma l’operazione principale alla quale sta lavorando il compositore di Kansas City è un nuovo album, in cui i suoi complessi strati emozionali, supportati da un perfetto equilibrio formale, verranno compiutamente raggiunti. E il preludio è un nuovo contratto discografico.

Lord, we don't need another mountain
There are mountains and hillsides enough to climb
There are oceans and rivers enough to cross
Enough to last till the end of time
("What The World Needs Now")

Alla ricerca dell’Out

Burt Bacharach con Dionne WarwickNel 1967 Bacharach firma per la A&M Records dei fondatori Herb Alpert e Jerry Moss. La casa discografica ha nel logo in basso una tromba, segno distintivo della "politica sonora" portata avanti dal duo. La A&M Records si rivolge a un pubblico di ascoltatori poco interessato al rock psichedelico allora in gran spolvero e più orientato su forme classiche e adulte di ascolto. La Tijuana Brass, la Baja Marimba Band, i Sandpipers, Sergio Mendes & Brasil '66, ecco che la latin-exotica music entra a gran ritmo nel "carnevale" discografico del pop commerciale.
Bacharach si ritrova a lavorare non più nella claustrofobica e verticale Manhattan, ma sulla West Coast di Los Angeles dagli ampi spazi e dal cielo solare. Le frizioni e ambientali e psicologiche West-East Coast si riveleranno essere fonte di ispirazione creativa notevole per tutti i successivi lavori del musicista, con i suoi frequenti spostamenti sulle due sponde oceaniche.

Il primo frutto di questo nuovo corso è il capolavoro intimista Reach Out, che esce nell’ottobre 1967. Bacharach riprende materiale quasi tutto già scritto in precedenza con Hal David, vecchi "semi-hit" e lavori per lui non riusciti del tutto, come l'album prodotto per Dionne Warwick "The Windows Of The World" (1967). Li riarrangerà tanto da trasformarli in modo prodigioso, con tempi più lenti e soffusamente jazzati, e un uso meno invadente dell'orchestra, che diviene più sostegno ritmico, visto che il lavoro melodico e armonico è svolto ora dai singoli strumenti solisti - tra tutti piano, hammond e tromba. C’è inoltre una ricerca più sul sound che sulle parole, che spesso vengono proprio o tolte del tutto o relegate a sostegno corale. Burt vuole raggiungere l'Out, il suo personale shining, quel quid indefinibile che diventerà il tratto tipico della sua musica. Riuscirà a dare coerenza tematica al suo progetto solista legando sottilmente tutte le canzoni a un unico tema, quello universale dell'amore. Quelle del disco sono infatti "piccole storie amorose", mini-spezzoni di possibili provini filmici, finali aperti di partita dal retrogusto amaro.
La copertina "cinematica" è già un manifesto della sua estetica e poetica musicale, oltre che un celato omaggio alla celeberrima cover delle Variazioni Goldberg suonate da Glenn Gould nel 1955. Le undici tracce nei bizzarri e repentini cambi di ritmi, tempi, sensazioni, svelano questo cammino di stupori fanciulleschi: bisogna anche da adulti avere conservato l'Out per capirne la grandezza.
“Reach Out For Me”, incisa per primo da Lou Johnson nel 1963 e poi inserita nell'album "Make Way For Dionne Warwick" del 1964, si fa lievemente jazzata, con piano di Bacharach che sostituisce la voce di Dionne e la tromba finale in bella evidenza, con voci femminili e quel tocco leggiadro di esotismo che si sprigionano e incastrano alla perfezione. “Alfie”, scritta nel ‘66 per l'omonimo film diretto da Lewis Gilbert, viene interpretata da Cher con l'arrangiamento di Bono negli States, mentre in Uk si avvale della voce di Cilla Black, per poi entrare definitivamente nella leggenda grazie alla lucentezza vocale della Warwick nel suo "Here Where There Is Love". Qui diviene un pezzo solo strumentale molto più possente tra bellissimi ritmi "saltellanti" di samba bossa e un lussuoso tappeto orchestrale di archi incastrati tra il pianismo liquido di Burt e la dominante tromba che dispiega la meravigliosa melanconica melodia. Anche senza il supporto del testo di David, la finezza psicologica dello strumentale ben descrive il carattere ambiguo del personaggio del film "Alfie", un Michael Caine combattuto tra brame libertine-libertarie e voglia di normalità.
In “Bond Street” - conosciuta come "Home James, Don't Spare The Horses", per la colonna sonora "Casino Royale" – domina l’hammond di Paul Griffin, sostenuto da ritmi samba, con la puntuale orchestra a sostegno: un gioiello in grado di far sculettare ancora oggi intere generazioni in frenesie da snob shopping londinese. “Are You There (With Another Girl)” cantata già dalla Warwick nel suo "Here I Am" e uscita come singolo nel 1965, viene rallentata, con l'hammond che sostituisce il piano e con tromba e orchestra che si fondono come al solito in modo magistrale.
Resa già immortale dalla grazia della biondina Jackie DeShannon, “What The World Needs Now Is Love” merita un capitolo a parte. Nella sua semplicità melodica e nel suo messaggio diretto, senza falsi pudori, è di una bellezza devastante. Un inno speranzoso per anime rimaste innocenti. Prima dei Beatles di "All You Need Is Love". Gli accordi sono decisi, forse anche troppo, per una infastidita tromba con sordina che fa il suo ingresso esplicando sussurrante il tema melodico; viene in sostegno un sax che dialoga con la tromba e suoni di celeste preannunciano l'orchestra, ora impegnata a costruire sognanti atmosfere sospese. Con in sottofondo meravigliosi echi poliritmici di rullanti e morbide spazzole che accarezzano il budello dei tamburi, ecco Dionne invocare il Signore a donare il dono, quello più prezioso, dell'Amore Perso ("Lord, we don't need another mountain/ There are mountains and hillsides enough to climb/ There are oceans and rivers enough to cross/ Enough to last till the end of time"). Il pathos emotivo si innalza, il ritmo diventa jazzato con l'orchestra ben spiegata per l'ultima quasi disperata invocazione corale finale "What the world needs now is love, sweet love/ no, not just for some/ oh, but just for every, every, everyone".
“The Look Of Love” è altra gemma cristallina, una di quelle canzoni che valgono una carriera. Una intro già leggenda delle leggende, lounge ante-litteram. Se l'umanità ha ritrovato l'Amore, ecco allora qual è il suo look: ammaliante, fugace come lo sguardo di Ursula Andress ("...the melody came from just watching Ursula"). Burt la spoglia del testo, lascia che la musica parli da sola tra meravigliosi echi di chitarra bossa nova con tromba, hammond, orchestra a scambiarsi il tema melodico. In poco più di due minuti, ci ritroviamo svelato uno dei soggetti più indicibili dei quali è inutile parlare perché "the look of love is saying so much more than just words could ever say".
“A House Is Not A Home” è uno dei capolavori di Bacharach, tanto che si avvale della sua emotiva interpretazione vocale, la prima in assoluto. Incisa già nel 1964 dalla Warwick, viene riarrangiata e allungata; il piano di Burt e il suo canto quasi da crooner, prima del finale orchestrato, fanno decollare il pezzo su vette di alto struggimento. Se l'amore intravisto in "The Look Of Love" è potenzialmente fugace e doloroso, qui invece è intimo, malinconico, "pure soul music". È la storia eterna di amori fugaci e inappaganti da bordello, con Hal David che si supera scrivendo uno dei testi più belli di sempre: "Darling, have a heart/ Don't let one mistake keep us apart/ I'm not meant to live alone/ Turn this house into a home/ When I climb the stair and turn the key/ Oh, please be there still in love with me". Jazzisti del calibro di Bill Evans e Sonny Rollins hanno inciso questo pezzo, diventato ormai uno standard del jazz. Per chi ancora crede che la musica di Bacharach sia "pure cheesy music" è ora di ricredersi e aprire le orecchie.
“I Say A Little Prayer” è un altro classico immortale del duo Bacharach-David. Scontento dell'arrangiamento frettoloso per l'album di Dionne "The Windows Of The World", il perfezionista Burt ha ben preciso in testa il sound che vuole per le sue incisioni ed è probabile che per questa canzone mai l'abbia trovato: il pezzo cantato dalla Warwick è una "Every Breath You Take" rivoltata in positivo: è un amore totale e totalizzante quello a cui aspira la lirica di David ("My darling, believe me for me there is no one but you..."). “The Windows Of The World”, dominata dai fiati tromba e sax, è forse il pezzo più debole dell'album: incisa solo strumentale, senza il testo da vento di protesta dei tempi, perde un po' in efficacia, con una intro di piano che ricorda un carillon e l'immancabile tromba, l'ascolto forse soddisfa di più nella versione bucolica alla Judy Collins e tutta giocata su nuances atmosferiche, con una bellissima chitarra acustica in sottofondo, data da Dionne Warwick per l'omonimo album del 1967.
“Lisa”, altra gemma lirica, è anche l'unico inedito dell'album: in pochi versi si dispiega la malinconica storia di questa moderna eroina, una delicata storia di un amore irraggiungibile, arrangiata a ritmo di valzer moderno. Si domanda retoricamente chi scrive di lei: "How can anyone so beautiful be mine, love?". Lisa che non riesce ad amare e non è amata diventa una figura simbolo dell'umanità tutta che anela all'amore. “Message To Michael” conclude magistralmente l'album, con un arrangiamento più solido country-bluesy, uno strumentale che raggiunge alte vette quando all'improvviso fa la sua comparsa un sax a dispiegare la melodia, ben sostenuto dall'orchestra.

Con Reach Out, a quasi quarant'anni, dopo un percorso lungo e faticoso, Bacharach trova la sua maturità artistica. La sua musica non è più solo produrre hit o qualche film score, ma anela ad altro di più sostanzioso. Avendo trovato una sua identità forte, è diventata come un prezioso vaso di Pandora. Traendo linfa vitale da oscuri giochi emotivi, più sensuale e velatamente erotica, avvolge l'ascoltatore nella sua immediatezza, per lasciargli poi uno strano retrogusto di sentimenti sospesi, che vanno dalla gioia per arrivare allo scoramento assoluto.
Saranno proprio Reach Out e il successivo Make It Easy On Yourself gli anelli mancanti tra il "Pet Sounds" dei Beach Boys e il "Sail Away" di Randy Newman. Nell'acuta osservazione di Skip Heller, i due dischi dimenticati che legano "the teenage symphonies to the God" al cantautorato più maturo di Newman. Ma potrebbe benissimo essere anche il legame con il "Tapestry" di Carole King o il "Closing Time" di Tom Waits.

Bacharach ha il tocco inconfondibile del maestro della commedia musicale; sembra che le sue canzoni cantino, parlino e ballino allo stesso tempo.
(Jack Roll, Newsweek, 1968)

Da Hollywood a San Jose

Burt Bacharach con Hal David e Dionne WarwickNello stesso 1967, come abbiamo visto, Bacharach compare anche nella colonna sonora del film di 007 Casino Royale (con “The Look Of Love” cantata da Dusty Springfield e la title track strumentale a cura di Herb Alpert & Tijuana Brass), oltre che in quella del tv-movie On the Flip Side.
Bacharach e David collaborano anche con il produttore broadwayano David Merrick al musical Promises, Promises del 1968, ispirato alla commedia di Billy Wilder “L'appartamento” di otto anni prima, con Jack Lemmon, Shirley MacLaine e Fred MacMurray. Frutterà due nuove hit: la radiosa title track (trasformata in “Promesse… promesse…” dal duo Dorelli-Spaak nell’omonima versione italiana del musical) e la tenerissima "I'll Never Fall In Love Again", entrambe destinate a Dionne Warwick. La seconda, in particolare, è un piccolo compendio della genialità melodica bacharachiana, con il suo mood contrito da fine di un amore, che deflagra in malinconia cosmica nell’afflato orchestrale di fiati e archi. Gli fa da contrappunto un testo che rievoca sardonicamente l’episodio della polmonite contratta da Burt: “What do you get when you kiss a girl/ You get enough germs to catch pneumonia”. Sarà anche una sfilza di cover a preservare nel tempo la magia di questo altro piccolo, grande capolavoro di artigianato pop. “Bacharach ha il tocco inconfondibile del maestro della commedia musicale; sembra che le sue canzoni cantino, parlino e ballino allo stesso tempo”, scriverà Jack Roll su Newsweek all’indomani del debutto dello spettacolo.

Ma il nuovo, enorme successo per il duo Bacharach-David giunge nel 1969 con un’altra colonna sonora, quella da Oscar per il western Butch Cassidy And The Sundance Kid con Paul Newman e Robert Redford, diretto da George Roy Hill.
In appena 26 minuti di musica, il duo d’oro del pop a stelle e strisce sforna una sequenza di prodezze, a cominciare dall’evergreen "Raindrops Keep Falling On My Head". Rifiutata da Bob Dylan, al quale era stata inizialmente offerta, conquisterà anche la statuetta per la Miglior canzone nella versione dell'americano B.J. Thomas. Con il suo andamento dinoccolato e le sue favolose ritmiche dai tempi dispari, "Raindrops Keep Falling On My Head" è l’epitome della levità bacharachiana, sposata alla raffinatezza degli arrangiamenti - l’intro di chitarra acustica, la batteria accarezzata dalle spazzole, i suoni spiazzanti di ukulele e tack piano, gli affondi di tromba nel finale movimentato - e a una melodia che definire “a presa rapida” è riduttivo. È la pop song per antonomasia, da canticchiare in eterno. Volenti o nolenti.
Ma la colonna sonora si fa valere anche per alcuni preziosi temi strumentali – la contagiosa ouverture "The Sundance Kid", la languida bossa nova "Not Goin' Home Anymore" (sulla strada tra Rio de Janeiro e il West), il vaudeville di "The Old Fun City", la morriconiana "Come Touch the Sun" (con un solo di tromba che rievoca l’epos polveroso di “C’era una volta il West”). E svetta anche quella swingante "South American Getaway" tutta giocata su vocalizzi assortiti maschili e femminili che richiamano ancora alla mente il repertorio di maestri come Morricone e Umiliani.

Il momento è propizio, insomma, per tirare ancora le fila di questo processo di rinnovamento della light-song, che armonizza melodia e arrangiamenti in un corpo solo, mescolando Tin Pan Alley e il jazz di Cole Porter, musical alla Broadway e scenari cinematici hollywoodiani. A sintetizzare con rinnovata efficacia l'alchimia sarà Make It Easy On Yourself (1969), raccolta di undici brani freschi e leggeri come ali di farfalla, eppure impregnati di un'aura malinconica che non lascia scampo. Tutto è dosato con cura e raffinatezza: le scansioni ritmiche, i fraseggi strumentali, la tenerezza delle modulazioni, gli stacchi improvvisi, le sfumature degli arrangiamenti. Perché – come ricorda Mauro Ronconi – “per lui anche il pop, come il jazz o il blues, pretende un rigore che oltrepassa il limite del rispetto e dell’atteggiamento encomiastico”.
Dal musical “Promises, Promises” vengono recuperati cinque episodi: il brano omonimo, una “I'll Never Fall In Love Again” ancora più soul e rilassata (interpretata dalla Warwick), “Knowing When To Leave” (smooth-music d'alta scuola, al confine tra melodramma e pop barocco), “Wanting Things” e “Whoever You Are I Love You”, altra incursione in languori lounge ad alto tasso di sensualità, da sorseggiare piano, come un bicchiere di vermouth.
La musica di Bacharach continua a vivere prodigiosamente in un delicatissimo incastro di tempi e metri dispari, come se tutte le infinite sfumature del jazz si ricomponessero magicamente nell'involucro – apparentemente semplice - della pop song. E ancora una volta si aprono all'ascoltatore squarci melodici di malinconia sconfinata, come nella formidabile “Make It Easy On Yourself”, già trascinata nei quartieri alti delle classifiche da Jerry Butler (1962) e dai Walker Brothers (che la portarono anche al n. 1 in Uk), e ora sacralmente riconsegnata all'ugola divina della Warwick, per viaggiare verso vette melodiche celestiali, in una cornice di impressionismo elegiaco. Leggenda vuole invece che la stessa Warwick fosse molto dubbiosa sulla possibilità di interpretare "Do You Know The Way For San Jose?". Quel nuovo prodigio di grazia atmosferica e di exotica ante-litteram aveva un testo troppo semplice: “Sembrava di cantare una filastrocca – racconterà Dionne - Dissi ai ragazzi: 'Ormai non sono più una bambina, sono conosciuta in tutto il mondo; c'è proprio bisogno che canti questa roba?'. Loro insistettero, dissero che avrebbe fatto fortuna. Ci teneva soprattutto Hal David: lui era molto legato a San Jose perché vi aveva trascorso i primi tempi del servizio militare in Marina". Per nostra fortuna, alla fine Dionne accettò, legando per sempre i suoi vocalizzi da usignolo a quella partitura di nostalgia infinita e incanti sospesi sulle strade della California.
“Any Day Now” - già passata attraverso le voci di Chuck Jackson, Alan Price e sua maestà Elvis Presley - risplende nella sua nuova orchestrazione organistica, ma sono irresistibili anche le ballate più romantiche (“She’s Gone Away”, “This Guy’s In Love With You”) e le metamorfosi strumentali di “Pacific Coast Highway”, numero pop-jazz reso avvincente dai continui cambi di tempo.

La nuova Arcadia pop di Bacharach è un avvincente "romanzo musicale" – come lo definisce Vigorito - che s'illumina nei teatri di Broadway e nei trionfi delle tournée, che risuona di “canzoni d’amore lucenti e cromate come il cofano di una Corvette”, di colonne sonore e musical, di orchestre in smoking e chanteuse d'eccezione. Ma dietro la patina vellutata e seducente delle canzoni, si nasconde l’amarezza e l’inquietudine di un uomo, di una generazione prigioniera di nuove angosce, di una società americana alla disperata ricerca dell’innocenza perduta.

Devo staccarmi dal piano per capire cosa ho davvero in mano, perché se ci rimango non vedo la prospettiva orizzontale. Bisogna guardare tutto in orizzontale e capire cosa succede da quel punto di vista. E poi rimettersi ai tasti, sistemare le cose, scriverle, riguardarle.
(Burt Bacharach)

La prospettiva orizzontale

Burt Bacharach con Hal DavidAppare quindi ormai chiaro che Bacharach non sia una semplice macchina da hit, bensì un compositore forbito, prestato alla pop music. Anche il suo metodo di scrittura è fuori dagli schemi. “Devo staccarmi dal pianoforte per capire cosa ho davvero in mano – ricorderà - Ho sempre fatto così: lascio il pianoforte, mi siedo in poltrona e ascolto quello che succede nella mia testa. Sento anche l’armonizzazione. Ma devo allontanarmi dalla tastiera, perché se ci rimango non vedo la prospettiva orizzontale. Bisogna guardare tutto in orizzontale e capire cosa succede da quel punto di vista. E poi rimettersi alla tastiera, sistemare le cose, scriverle, riguardarle”.
Con questa maniacalità compositiva mette mano anche a un altro album-capolavoro, l'omonimo Burt Bacharach del 1971, pieno di grandi canzoni e arrangiamenti spericolati. Mai l’easy listening – se così si può ancora definire – era stato così complesso, pieno di cambi di ritmo, di soluzioni sonore spiazzanti, eppure, al tempo stesso, così soffice e accattivante.
Lascia stupefatti, ad esempio, la nuova versione di un brano di dieci anni prima, "Wives And Lovers", spettacolare nella sua veste audacemente jazzata, con fiati tirati a lucido, assoli fulminanti in sequenza e intervento vocale conclusivo dello stesso Bacharach. La splendida “(They Long To Be) Close To You” - già passata attraverso le voci di Richard Chamberlain, Dionne Warwick e dei Carpenters (ai quali valse un Grammy Award) - viene qui rallentata ad arte e trasformata in una sfibrante romance sentimentale, con il suo glissando di piano e le sue melodie celestiali da sogno, che continueranno a piovere per sempre su innumerevoli sequenze cinematografiche sentimentali. Il pop orchestrale di “All Kinds Of People”, imbevuto di fragranze soul, trascina e seduce con il ritmo di un musical broadwayano, mentre la suite strumentale di "And The People Were With Her" trasporta in un cocktail party in piscina al tramonto, con i suoi umori lounge, i suoi archi e le sue trombe jazzate.
Trova posto in apertura di scaletta quella “Mexican Divorce” che fruttò il fatale incontro con la Warwick (al tempo corista dei Drifters) e che qui rivive in tutto il suo corredo di suggestioni esotiche e fragranze latine. E se le vaporose atmosfere pianistiche di “The April Fools” (dall’omonimo film) risentono di un sinfonismo un po’ demodé, "One Less Bell To Answer" fa rivivere tutta la maestosità del soul, attraverso il canto di un’icona potente come Cissy Houston (sì, proprio la zia di Dionne Warwick). Bacharach è però sempre al centro della scena, e ne approfitta anche per qualcuna delle sue rare (e non memorabili, a dirla tutta) incursioni al microfono: in "Hasbrook Heights", però, il suo crooning timido è centrato e aggiunge fascino a una canzone tutta sussurri, fiati e carezze pop.
Tra i momenti più toccanti del disco e dell’intera saga bacharachiana va poi ascritta “Nikki”, dedicata alla figlia, affetta dalla Sindrome di Asperger e condannata a un destino tragico (morirà suicida nel 2007). Per lei Burt scrive uno strumentale arioso, con archi dalle tinte delicate e un coro angelico su cui si insinua un sax che disegna una melodia dal candore infantile. Il testo originale, scritto da Hal David per la versione cantata del brano, cercherà di condensare tutta la tenerezza del mondo per una creatura così delicata.
Ennesima testimonianza del talento del compositore, Burt Bacharach è anche e soprattutto un saggio supremo della genialità dell’arrangiatore, tra armonie jazz, pattern sincopati, fraseggi irregolari, cambi di ritmo e modulazioni imprevedibili. Un gioiello imprescindibile per chi ama scrivere Pop con l’iniziale maiuscola.

"Lost Horizon" è stato un disastro, un’esperienza imbarazzante. Ho odiato quel film.
(Burt Bacharach a Nme)

Il tempo dei divorzi

Burt Bacharach con Angie DickinsonAll’apogeo della sua arte, però, l’hitmaker di Kansas City inizia a veder scricchiolare il suo mondo. L’annus horribilis è il 1973. Bacharach e David vengono incaricati di scrivere le musiche per Lost Horizon, remake dell’omonimo film del 1937. Sarà la loro Waterloo. Non solo la pellicola si rivela un fiasco colossale, ma anche la colonna sonora scatena un putiferio, provocando addirittura una diatriba legale tra il compositore e il paroliere. La rottura dello storico duo che aveva fatto decollare la sua carriera, porterà anche Dionne Warwick a interrompere, con grande amarezza, la sua collaborazione con Bacharach e David che aveva portato in classifica ben 33 successi tra il 1962 e il 1971.
“È stato un disastro, un’esperienza imbarazzante. Ho odiato quel film”, confesserà Bacharach qualche anno dopo al Nme. La fine del sodalizio con David (che si ricomporrà fugacemente solo nel 1975, per il secondo disco di Stephanie Mills, “For The First Time”) apre il periodo più buio, quantomeno a livello commerciale, per il compositore americano.

Apparentemente minori, sicuramente poco fortunati, i suoi dischi degli anni 70 aggiungono tuttavia nuove idee e soluzioni musicali al repertorio di un compositore sempre abilissimo a cesellare la cornice sonora ideale per le sue canzoni.
Bacharach si siede ancora al piano per le dieci tracce di Living Together (1973), ma sembra più propenso ad affrancarsi dai canoni commerciali, inseguendo arrangiamenti sofisticati e inafferrabili. Eppure, le canzoni restano la portata principale. Alla bossa nova zuccherosa di "Something Big" manca solo la voce della Warwick per bissare l’exploit di San Jose, mentre la zia di Dionne, Cissy Houston, duetta con Tony Middleton tra le sinuosità soul di "I Come To You” e il tema “maledetto” di “Lost Horizon”, ripreso in versione estesa e sognante, dimostra che avrebbe meritato miglior sorte, così come un altro pezzo tratto da quella sventurata colonna sonora, ovvero "Living Together, Growing Together", già hit regalata ai Fifth Dimension e qui arricchita da raffinate armonie vocali.
Non mancano anche le consuete ambientazioni broadwayane (lo strumentale "Long Ago Tomorrow"), le inflessioni jazzy (l’altra pièce "Monterey Peninsula") e gli hook orchestrali alla Mantovani ("Walk The Way You Talk") per un disco che va senz’altro annoverato tra i più sottovalutati della sua produzione.

La durezza del rock aveva fatto a brandelli ogni concetto di eleganza, bandendolo come vacuo e reazionario. L’easy listening era ormai relegata a musica per vecchi playboy in disarmo, con i vestiti impregnati di acqua di colonia, i guanti per guidare l’auto sportiva, un sorriso di fresco dentista e l’abbronzatura perenne.
(Giampiero Vigorito, "The Book Of Love")

Burt BacharachAltro album all’apparenza minore, Futures (1977) è il primo lavoro pubblicato dopo la “separazione” da David, rimpiazzato da parolieri di rango come Norman Gimbel, Neil Simon e James Kavanaugh, mentre alla console viene richiamato il produttore di Reach Out, Phil Ramone. Il risultato sono alcuni dei brani più complessi e stratificati della produzione di Bacharach. Non c’è più l’immediatezza dell’hitmaker, il tocco leggero resta, ma al servizio di composizioni in cui la bellezza si sublima in costruzioni armoniche più astratte, in cui le emozioni sono quasi interiorizzate, implose tra le distese libere di fiati e di archi. È la muzak più vicina all’avanguardia – si perdoni l’ossimoro – mai concepita. Altrove (Amg) viene catalogata come "underground adult contemporary", e la definizione è piuttosto calzante. A dar man forte al piano-man di Kansas City, un pugno di cantanti eccellenti, come Jamie Anders (che dona i suoi vocalizzi preziosi a "When You Bring Your Sweet Love To Me"), Joshie Armstead (presente in quattro brani) e Peter Yarrow, che riscalda la tela smooth di "The Young Grow Younger Every Day". C’è dell’autoindulgenza, del narcisismo nelle soffici trame strumentali di “Another Spring Will Rise”, ma c’è pure quel grumo denso di malinconia che resta il cuore pulsante dell’arte bacharachiana.
Con l’ottimismo incrollabile incarnato dalla sua stessa effigie di copertina - un Bacharach in insolite vesti sportive da sciatore ritratto all’interno di una funivia – il compositore americano cavalca gli anni 70 sacrificando la fama sull’altare della sua libertà espressiva e forgiando un modello di canzone nuova, capace di travalicare i decenni superando la prova del tempo.

Ancor più distante da qualsiasi prospettiva commerciale è Woman (1979), l’album registrato in collaborazione con la Houston Symphony Orchestra. È la sintesi di una session di ben quattro ore tenutasi il 2 novembre 1978 al Jones Hall di Houston, Texas, sulla base di un progetto originariamente ideato da Bacharach e Michael Woolcock.
Prevalentemente strumentale, all’insegna di soffuse atmosfere jazzy e baroque pop, con ottoni e archi in grande spolvero, il disco si avvale delle performance vocali di Carly Simon ("I Live In The Woods"), Libby Titus ("Riverboat") e Sally Stevens ("There Is Time").
In questo trionfo di sinuosità jazzate e groove funky, si intravede in controluce la filigrana melodica preziosa dell’universo di Bacharach, seppur un po’ sacrificata alla sontuosità degli arrangiamenti e appannata dal mestiere.

Nello stesso anno, il 1979, è tempo di una nuova colonna sonora, per il film Together? (remake americano dell’italiano “Amo non amo” con Jacqueline Bisset, diretto da Armenia Balducci). Una storiella romantica alla quale Bacharach presta le sue seducenti partiture jazzate, avvalendosi dei contributi vocali di Michael McDonald, Jackie DeShannon e Libby Titus, e ingaggiando Paul Anka come autore dei testi. Sarà però un altro flop, soprattutto per il film, e la colonna sonora ne pagherà le conseguenze, finendo rapidamente fuori stampa, prima di essere riedita in Giappone nel 2012 e negli Usa nel 2014.

A chiudere un decennio difficile, controverso, pieno di nuove intuizioni musicali, ma anche di amarezze, arriva anche la fine del matrimonio con Angie Dickinson. Paradossalmente, però, l’ennesimo divorzio sarà anche il motore di una piccola rinascita per Bacharach che, trovata una nuova moglie nella cantautrice Carole Bayer Sager, ne farà anche la sua paroliera, colmando così quel vuoto ingombrante lasciato dalla rottura del sodalizio con Hal David.

Se non convinci una donna a venire a letto con te dopo aver ascoltato un pezzo di Burt, vuol dire che non ne valeva la pena.
(Noel Gallagher)

Il Coolfather del pop

Burt BacharachGli anni 70 non erano passati indenni per la musica di Bacharach. Come ricorda Vigorito, “la durezza del rock aveva fatto a brandelli ogni concetto di eleganza, bandendolo come vacuo e reazionario” e “l’easy listening era ormai relegata a musica per vecchi playboy in disarmo, con i vestiti impregnati di acqua di colonia, i guanti per guidare l’auto sportiva, un sorriso di fresco dentista e l’abbronzatura perenne”.
Le canzoni di Bacharach erano così tollerate con sarcasmo, come “fossili di un’epoca scomparsa”. Eppure, in modo lento ma inesorabile stava iniziando un percorso di riscoperta di quella musica, che non era solo “un Martini da bere per inaugurare l’impianto dell’aria condizionata nella villa” o “il trucchetto per trasformare l’ennesimo barbecue in giardino in un party mondano del jet set in un superattico di Manhattan”. Una riscossa che coinvolgerà anche i destini commerciali delle sue canzoni.

Ciò che le colonne sonore hanno tolto, le colonne sonore restituiscono. Se il flop di Lost Horizon fu foriero di un decennio di insuccessi e divisioni, sarà il film “Arturo” (1981) a riportare alla ribalta il nome di Burt Bacharach nelle classifiche. Merito di un instant classic come “Arthur's Theme (Best That You Can Do)”, che manderà in gloria il carneade Christopher Cross, coautore del brano assieme a Bacharach, alla Bayer Sager e a Peter Allen (ex-marito di Liza Minnelli, protagonista del film insieme a Dudley Moore). Proprio ad Allen – a quanto pare – ideò il celebre verso del refrain “When you get caught between the moon and New York City”, mentre il suo aereo stava tentando di atterrare all'aeroporto newyorkese Jfk. Classica ballata da mattonella senza tempo, con i suoi archi ariosi e la sua melodia romantica, “Arthur's Theme” si aggiudicherà nel 1982 sia il Premio Oscar che il Golden Globe come miglior canzone da film.

Burt Bacharach con Dionne WarwickIl sodalizio Bacharach-Bayer Sager produrrà altre hit come “Heartlight” (Neil Diamond), “Making Love” (Roberta Flack), “On My Own” (Michael McDonald con Patti LaBelle), sempre all’insegna di arrangiamenti e trattamenti orchestrali finissimi, e, soprattutto, la più memorabile: “That's What Friends Are For” (1985). Non tanto per il brano in sé – un’onesta ode all’amicizia ad alto tasso di saccarina – quanto perché suggellerà la riappacificazione artistica con Dionne Warwick dopo oltre un decennio. La diva nera, in realtà, era già riapparsa a fianco del Maestro due anni prima nel tema della serie televisiva “Finder Of Lost Loves” ( Detective per amore ), poi con brani come “ Love Power”, “Take Good Care Of You And Me”, “Stronger Than Before”, ma sarà soprattutto con quella ballatona spaccaclassifiche - in origine interpretata da Rod Stewart nella colonna sonora di “Nighshift”, e poi riproposta per la Warwick insieme a Stevie Wonder, Elton John e Gladys Knights – che lo storico sodalizio tornerà a conquistare le luci della ribalta (il brano raccoglierà oltre tre milioni di dollari a favore della lotta contro l’Aids).
Il suggello definitivo a un rapporto unico verrà poi nel 1990 dall’imprescindibile “Dionne Warwick Sings The Bacharach & David Songbook”, raccolta di 22 interpretazioni stellari di altrettante hit del duo americano.

Non certo paragonabili, per intensità e genialità melodica, ai successi della stagione d’oro, i brani di Bacharach degli anni 80 mostrano comunque una buona capacità di adattamento ai tempi, ribadendo un “mestiere” che ormai è diventato marchio registrato del pop, nel senso più nobile del termine. A consolidare il suo mito, provvedono anche i suoi concerti, spesso al fianco di prestigiose orchestre, in giro per il mondo.
Nel frattempo anche l’unione artistica e sentimentale con Carole Bayer Sager finisce presto: dopo la separazione, nel 1993, Bacharach si sposerà (per la quarta volta!) con Jane Hanson.

A colmare il vuoto di un altro periodo di scarsa ispirazione artistica, giunge - quasi inaspettata - la riscoperta della musica dei decenni precedenti da parte delle nuove generazioni (anche di musicisti), affascinate in particolar modo dalle sonorità lounge degli anni 50 e 60, soggette a una imponente opera di riscoperta e rivisitazione nel decennio 90, dal trip-hop di Portishead & C. alle ninnananne dei Belle & Sebastian fino alle nuove schiere del britpop. Ma, osservando con più attenzione, l’ombra del Bacharach-sound - quel mix irresistibile di archi e morbide frasi di piano impreziositi dalle sospensioni del jazz e dai ritmi vellutati della bossa nova - aleggiava già da tempo sul pop inglese più raffinato, dai tempi del new cool 80’s di Style Council, Sade, Matt Bianco ed Everything But The Girl (stupenda la “Alfie” reinterpretata da Tracey Thorn), o del sophisti-pop di Prefab Sprout, Lloyd Cole & The Commotions, Blow Monkeys, Aztec Camera e Deacon Blue (autori nel 1990 di un pregevole Ep con 4 cover di Bacharach). Un omaggio costante nel tempo, alimentato da una messe di cover, dalla “(There's) Always Something There To Remind Me” dei Naked Eyes (una delle più gradite dal maestro) alla “Make It Easy On Yourself” di Ash e Divine Comedy, dalla “(They Long To Be) Close To You” dei Cranberries fino alla stupefacente “I Just Don't Know What To Do With Myself” dei White Stripes, profeti del rock-revival del Duemila (con tanto di torrido videoclip diretto da Sofia Coppola, con protagonista una conturbante Kate Moss in versione lap-dancer). Alla new wave bacharachiana si è unito anche il cinema: da “American Beauty” a “Forrest Gump”, passando per “Big Fish” e cult d’autore come “Paura e delirio a Las Vegas” (Gillian), i brani del compositore americano hanno (ri)cominciato a inondare il grande schermo.
Questi e tanti altri omaggi lo hanno consacrato Coolfather del pop. E, al tempo stesso, si è riaccesa anche la vena creativa del compositore americano. Grazie soprattutto a una nuova, intrigante collaborazione, al fianco di uno dei cantautori più forbiti ed eclettici della stagione post-punk: Elvis Costello.

Quando il pezzo decolla veramente, Burt ingrana una marcia che non conosco. Il risultato è quel senso di oscurità e di dubbio che è presente anche nelle sue canzoni più solari e rende la sua musica senza tempo.
(Elvis Costello)

 I Dipinti della rinascita

Burt Bacharach con Elvis CostelloPerché un musicista "rock" quarantenne che ha composto i suoi successi più famosi negli anni 80-90 improvvisamente si unisce a un compositore ultrasessantenne che negli stessi anni veniva considerato impresentabilmente kitsch? (ce lo vedete un fan di Costello and the Attractions che, dopo aver ascoltato "Everyday I Write The Book", fischietta "Raindrops Are Falling On My Head"?).
In realtà, la collaborazione è assai meno casuale di quanto possa sembrare. A partire dalle cover di “Please Stay” e di “I Just Don’t Know What To Do With Myself”, Costello aveva già dimostrato la sua ammirazione per le orchestrazioni melodiche di Bacharach. La prima volta con il maestro avviene durante le registrazioni di “Spike”, nel 1989. Bacharach ha un’impressione positiva di Elvis e, quando i produttori del film “Grace Of My Heart” (liberamente ispirato alla storia di Carole King) gli chiedono di comporre un brano per la relativa colonna sonora, risponde entusiasta all’idea di farlo assieme all’inglese con gli occhiali. I due iniziano a lavorare con veloci incontri agli Atlantic Studios e i risultati vengono presto a galla. “God Give Me Strenght” si trasforma in un successo planetario, vincendo addirittura un Grammy Award. Ci vuole poco per fare una somma: insieme si può creare qualcosa di importante, un intero album di inediti.

Parole e voce di Elvis Costello, arrangiamenti e orchestrazioni di Burt Bacharach: Painted From Memory (1998) è l’inusuale, affascinante incontro al vertice che punta dritto a rinverdire la stagione d’oro del Brill Building e del più nobile artigianato pop. La cifra stilistica timbrica verrà molto influenzata da Bacharach: alla fine saranno scelti più di 70 musicisti per suonare una gamma di strumenti degna di un'orchestra sinfonica. Dodici tracce che affrontano le solite piccole grandi cose di tutti i giorni: l'amore, la vulnerabilità, l'incertezza, la solitudine... Il tutto filtrato da un lieve distacco, come spesso avviene nella vita reale.
In “What’s Her Name Today?” l’alchimia svela la sua formula più o meno segreta: il classicismo di Bacharach accoglie la voce pop di Elvis, contaminandosi senza snaturamento alcuno. Il maestro abbraccia il suo allievo più talentuoso sulle note del piano lacrimante della title track, squarciata da aperture degne della più enfatica Broadway. E l’allievo non teme di superare il maestro quando chiama l’ex-organista pazzo Steve Nieve e detta il ritmo per tastiere di “The Sweetest Punch”.
Un gioco ben congegnato, dunque, che, in “The Darkest Place”, mette in cerchio orchestrazioni intime, cori soul e piccole derive jazz, condite da un’intonata voce al miele. È un sound ricco, colto e tremendamente sexy nella sua malinconia onnipresente, “trombeggiante” in “Toledo” (con fiati alla Herb Alpert di “Casino Royale”), psicodramma vibrato in “This House Is Empty Now”.
Miracolo acustico di un lirismo crescente, “I Still Have That Other Girl” è una grande interpretazione di Costello su un pezzo che unisce una melodia apparentemente semplice ma che perfora le nostre emozioni con un'orchestrazione e un arrangiamento da brivido. Tra romantiche armonie soul (“Such Unlikely Lovers”), vecchie ballate da camera (“My Thief”) e fiati da Broadway (“The Long Division”), i tasti di Bacharach sembrano stemperare i melodrammi di Costello, portando in dote un antico sapore pop screziato di jazz tra le gocce di pioggia di “Tears At The Birthday Party”.
È un modo splendidamente inattuale di fare musica, eppure, Painted From Memory si presenta nella sua freschezza, maturata attraverso due carriere ricche e raffinate, esplodendo nel finale jazzy di “God Give Me Strenght”, lamento di un amante tradito immerso in un tripudio di archi e ottoni, per coronare una delle collaborazioni più riuscite degli ultimi decenni.

Abituato a cantanti tecnicamente perfetti, e spesso un po' algidi, Bacharach si ritrova, con Costello, a fare i conti con un interprete più grezzo, ma vivo e caldo, capace di far intravedere il "sangue, sudore e lacrime" dei sentimenti reali. Con uno stile quindi più impulsivo e immediato rispetto alle melodie cristalline di Bacharach, ma, al contempo, più vicino alla sensibilità contemporanea. "Ho contribuito anch'io alla scrittura della musica ma quando il pezzo decolla veramente, soprattutto nel motivo principale, Burt ingrana una marcia che non conosco – gli renderà merito a sua volta Costello - Il risultato è quel senso di oscurità che è nella sua musica e che io riconosco nelle mie corde: c'è quel senso di dubbio anche nelle sue canzoni più solari, che rende la sua musica senza tempo".
Painted From Memory viene accolto con grande entusiasmo dalla critica e si piazza molto bene in classifica, nonostante le riserve della PolyGram che avrebbe voluto un disco più jazz con la collaborazione di Bill Frisell. The Sweetest Punch (Universal Classic, 1999) verrà poi effettivamente pubblicato per rileggere Painted From Memory in chiave jazz, con il talento chitarristico di Frisell e la voce di Cassandra Wilson). E intanto i due nuovi eroi del pop porteranno i loro brani in giro negli Usa.

I won't spend a happy day
till you're back in my arms
("Nikki")

Il leone ferito

Burt BacharachMentre si concede dei cameo in vari spettacoli cinematografici e televisivi, tra cui i tre film di Austin Powers, arrangia per l’icona R&B Ronan Isley “Here I Am”  (n.1 nella classifica R&B/Hip-Hop Billboard) e continua a regalare canzoni a nuove talentuose interpreti (nel 2005 è la volta di “Trouble” per la cantautrice e pianista jazz Chiara Civello), Bacharach non rinuncia a pubblicare album a sua firma. Spiazzante, nel 2005, At This Time. Dopo sessant’anni di canzoni d’amore, il compositore americano sposta la sua attenzione verso l’indignazione per la condizione del mondo affrontando per la prima volta temi sociali e politici, figli anche del disorientamento e dell’inquietudine dell’America ancora stordita dal bagno di sangue dell’11 Settembre.
Un disco orgogliosamente demodé, pieno di lunghe suite strumentali, di suoni lounge anni 60 e di elettronica soffusa, ma anche delle consuete melodie accattivanti e di nuovi collaboratori doc: da Rufus Wainwright, che irrompe con il suo inconfondibile crooning a declamare dubbi amletici sul loop ipnotico di “Go Ask Shakespeare” (“La vita è un racconto senza senso/ non lo so, chiedilo a Shakespeare”), a Elvis Costello, che impreziosisce con il suo canto graffiante la bella “Who Are These People”, fino a Dr.Dre, guru hip-hop che porta in dote qualche loop di batteria in grado di aggiornare l’armamentario retrò del maestro, sempre riconoscibile col suo corredo di piano, fiati e archi. Ed è lo stesso Burt a impugnare il microfono con il suo filo di voce da attempato crooner per rendere ancor più struggente l’elegia – quasi in lacrime - di “Where Did It Go?”.
La frequente rinuncia al formato-canzone, tuttavia, snatura un po’ l’essenza del Bacharach-sound, cui non giovano anche testi piuttosto retorici e convenzionali, come quelli firmati insieme a Tonio K. (“C’era una canzone, mi ricordo, che diceva ‘ciò di cui il mondo ha bisogno oggi…’ – canta autocitandosi in apertura di disco - Dov’è l’amore, dov’è finito, chi ha spezzato i nostri cuori? Dobbiamo saperlo. Dove sono i sogni che conoscevamo? Per favore spiegatecelo”).
Si fatica insomma a riconoscere il cerimoniere in smoking di “What The World Needs Now” nei panni dell’indignado in abiti casual (come da copertina) di un disco che appare come un lodevole quanto malriuscito sforzo di giovanilismo, ad opera di chi già da giovane era antico come il fascino delle sue canzoni. Ma ai più sensibili non potrà sfuggire la sincerità di questo grido di dolore, di questo canto contro la guerra ad opera del più imprevedibile dei cantautori di protesta.
A sorpresa At This Time si aggiudicherà il Grammy come Best Pop Instrumental, mentre un anno dopo il suo autore sarà insignito del Grammy alla carriera.

La vita di Bacharach, però, viene segnata da un tremendo colpo al cuore. La mattina del 4 gennaio 2007 il corpo della figlia Nikki viene trovato senza vita nel suo appartamento di Los Angeles. “Suicidio per soffocamento con un sacchetto di plastica gonfiato con l’elio” - il gelido referto di Mike Feiler, il coroner di Ventura County. “La ragazza ha commesso suicidio in modo quieto e tranquillo per sfuggire alla devastazione inflitta al suo cervello dalla Sindrome di Asperger. Amava i gattini e i terremoti, le piogge di meteoriti e la scienza, i cieli senza nuvole e i tramonti, e amava Tahiti. È stata una delle più belle creature della terra e ora lei è in una luce bianca, in pace”, reciterà invece lo straziante comunicato diffuso da Bacharach con l’ex-moglie Angie Dickinson. E tornano così alla mente le parole regalate da Hal David alla dolcissima ballata di “Nikki”: “I won't spend a happy day till you're back in my arms” (“Non ho passerò un giorno felice finché non tornerai fra le mie braccia”). Tragicamente fatali e premonitrici.

Lo stesso Hal David verrà a mancare, in seguito a un infarto, a Los Angeles nel 2012. Insieme a Bacharach, aveva portato 39 dischi nelle classifiche per 10 anni. Il paroliere di canzoni immortali come "I Say A Little Prayer", "Walk On By", "Raindrops Keep Falling On My Head", "Anyone Who Had A Heart", "Alfie", "(They Long To Be) Close To You", "Make It Easy On Yourself", "The Look Of Love" e tante altre, aveva firmato anche "We Have All The Time In The World" (Louis Armstrong) insieme a John Barry. Quasi impossibile immaginare la musica di Bacharach senza le sue liriche, e non mancheranno infatti commossi omaggi all’ex-sodale nel corso degli innumerevoli concerti tenuti dal compositore di Kansas City in giro per il mondo: i suoi due anni di esibizioni sold-out in Australia saranno racchiusi in Burt Bacharach Live At The Sydney Opera House With The Sydney Symphony, mentre Burt Bacharach Live (2008) va annoverato come il suo primo disco dal vivo a tutti gli effetti.

Sulla mia tomba vorrei fosse scritta una semplice frase: "Ha cercato di essere una brava persona".
(Burt Bacharach)

A tracciare un consuntivo di amori, dolori, successi e fallimenti provvederà nel 2013 l’autobiografia “Anyone Who Had A Heart” (Harper Collins, 2013), in cui Bacharach racconterà per la prima volta la sua storia. Incluse confessioni toccanti: “Non ho mai voluto leggere, anche se la tengo sempre con me, la lettera che Nikki mi lasciò prima di morire – rivelerà – perché so già quello che c’è scritto”. Poi dirà ancora di sé, a mo’ di testamento: “La vita è stata molto buona con me. In un certo senso mi fa piacere restituire qualcosa di quello che ho ricevuto. Sulla mia tomba vorrei fosse scritta una semplice frase: ‘Ha cercato di essere una brava persona’”.

Ma nonostante un palmares da spavento - 73 hit in America e 52 in Inghilterra, tre Oscar, sei Grammy, per non parlare degli innumerevoli altri premi, incluso il Lifetime Achievement Award della Recording Academy che nel 2009 lo ha definito “il più grande compositore di musica in vita” – Bacharach non ha mai rinunciato a mettersi in gioco, confrontandosi con le nuove generazioni.
Nel 2011 incide When Ronan Met Burt, insieme a Ronan Keating (leader dei Boyzone), conquistando il terzo posto nelle classifiche inglesi, nel 2015 con il suo A House Is Not A Home Tour, irrompe addirittura, alla veneranda età di 87 anni, sul palco del Glastonbury Festival, uno dei santuari del rock mondiale, davanti a una folla di giovani in delirio. “È stata una di quelle occasioni che capitano una volta nella vita – commenterà - Credo sia dovuto al fatto che le mie canzoni hanno avuto la fortuna di attraversare le generazioni”.

Al netto dei lifting, il suo viso è solcato dalle rughe, oltre che dalle cicatrici della vita, il corpo è appena un poco incurvato dal tempo, ma il Signore del pop americano è ancora lì: seduto al piano, a capo chino sui tasti, circondato dalle sue cantanti flessuose e dalle sue orchestre impeccabili, integrate di recente dal giovanissimo figlio Oliver alla tastiera. Ed emoziona ancora. Oggi, come sessant’anni fa.

Le canzoni di Bacharach hanno il suono dei giovani cuori e delle anime vulnerabili, delle loro lacrime e delle loro risate, dell'amarezza della realtà e del sollievo dei sogni, di chi vive in questo complicato, vertiginoso mondo moderno.
(Giampiero Vigorito, "The Book Of Love")

Il suono dei giovani cuori

Burt Bacharach a Glastonbury 2015Burt Bacharach non svende la sua arte al sogno americano fatto di certezze e conquiste, piuttosto disvela una nuova dimensione musicale, sfumata, illusoria, spirituale. Anela a ricatturare una innocenza perduta, persa in sua identità a-storica priva di un apparente legame con i suoi tempi. Non è il voler raccontare certo melieu sociale, quello della middle class americana in bilico tra ansie e minacce e voglia di sicurezze, che preoccupa l'ebreo tedesco Burt, ma qualcosa di più inquietante e profondo e indefinibile da riportare sul pentagramma. Come cime tempestose e cuori di tenebra in perpetuo conflitto lottano per la loro sopravvivenza, così il turbine di flussi emotivi bacharachiani miscela schegge di vita dove gioia e dolore indissolubilmente si legano. Come la saudade brasiliana, il suo segreto risiede nel capire e accettare l'insoddisfazione perenne insita nel vivere, il "mal du vivre", sublimandolo in arte musicale. Facendo profonda l'ambiguità ed elevando l'ambivalenza su vette vertiginose, è riuscito a creare una gamma di mood espressivi ai tempi ancora poco esplorati nella pop music. I suoi magistrali accordi, sempre fluttuanti tra tonalità maggiori e minori, sprigionano il fascino discreto della caducità dell'esistenza. Dietro l'apparente giocosità (tonalità maggiori) del suo sound si cela e svela lentamente l'alito morboso (tonalità minori) che tutto deve perire.
Questo è Burt Bacharach, l'uomo che, come ricorda Vigorito, “con il fruscio di un battito d'ali di farfalla ha fatto atterrare sugli anni 60 i suoi capolavori e ha inondato il mondo occidentale con torrenti di lacrime di gioia”. E riuscendo nella più difficile delle alchimie. Perché dietro quei ritornelli zuccherosi, quelle orchestrazioni falsamente lievi e ottimistiche c'è "il suono dei giovani cuori e delle anime vulnerabili, delle loro lacrime e delle loro risate, dell'amarezza della realtà e del sollievo dei sogni, di chi vive in questo complicato, vertiginoso mondo moderno".

 

Burt Bacharach è morto nella sua casa di Los Angeles l'8 febbraio del 2023. Aveva 94 anni e fin quasi al suo ultimo giorno ha pensato, suonato e cantato musica in giro per il mondo.

 

Bibliografia

 

Serene Dominic - Burt Bacharach - Song By Song (Schirmer Trade Books, 2003)
Giampiero Vigorito - The Book Of Love (Coniglio, 2008)
Roberto Valentino - Non solo canzonette: l’arte del “dubbio” di Burt Bacharach (2013)
A House Is Not A Homepage | The Music of Burt Bacharach

Burt Bacharach

Discografia

Hitmaker! Burt Bacharach Plays His Hits (1965)
What's New Pussycat (colonna sonora, 1965)
After The Fox (colonna sonora, 1966)
Reach Out (1967)
Casino Royale (colonna sonora, 1967)
On The Flip Side (colonna sonora Tv, 1967)
Make It Easy On Yourself (1969)
Butch Cassidy And The Sundance Kid (colonna sonora, 1969)
Promises, Promises (1969)
Burt Bacharach (1971)
Portrait In Music (antologia, 1971)
Portrait In Music Vol.2 (antologia, 1973)
Lost Horizon (colonna sonora, 1973)
Burt Bacharach In Concert (live, 1974)
Living Together (1974)
Futures (1977)
Together? (1979)
Woman (1979)
Arthur (colonna sonora, 1981)
Night Shift (colonna sonora, 1982)
Arthur 2: On The Rocks (colonna sonora, 1988)
Burt Bacharach And Friends - The Definitive Collection (antologia, 1995)
One Amazing Night (1998)
Painted From Memory - con Elvis Costello (1998)
The Best Of Burt Bacharach (Millennium Collection) 20th Century Masters (antologia, 1999)
The Look Of Love: The Burt Bacharach Collection (antologia, 3 cd, 2001)
Motown Salutes Bacharach (antologia, 2002)
Isley Meets Bacharach: Here I Am con Ronald Isley (2003)
Blue Note Plays Burt Bacharach (antologia, 2004)
At This Time (2005)
The Definitive Burt Bacharach Songbook (antologia, 2 cd, 2006)
Burt Bacharach & Friends Gold (antologia, 2 cd, 2006)
Colour Collection (antologia, 2007)
Marlene Dietrich with the Burt Bacharach Orchestra (2007)
Burt Bacharach: Live At The Sydney Opera House With The Sydney Symphony Orchestra (live, 2008)
Magic Moments: The Definitive Burt Bacharach Collection (antologia, 3 cd, 2008)
When Ronan Met Burt - con Ronan Keating (2011)
Anyone Who Had A Heart - The Art Of The Songwriter (box, 6 dischi, 2013)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Dionne Warwick - Walk On By
(live, 1965)

Jackie DeShannon - What The World Needs Now Is Love
(live, 1965)

Dusty Springfield - The Look Of Love
(da Casino Royale, 1967)

Burt Bacharach full concert
(in Canada, 1977)

 

Dionne Warwick and Burt Bacharach live
(Live at The Rainbow Room, 1996)

 

Toledo (con Elvis Costello)
(videoclip da Painted From Memory, 1998)

 

I Still Have That Other Girl (con Elvis Costello)
(live at The Late Show With David Letterman, da Painted From Memory, 1998)

 

God Give Me Strength (con Elvis Costello)
(live at The Late Show With David Letterman, da Painted From Memory, 1998)

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