Eurythmics

Eurythmics

La palla e la catena del Pop

Due anime contrastanti ma intimamente complementari e un canzoniere di cristallo che ha accompagnato la vita di milioni di persone al mondo cambiando pelle di anno in anno: questa è la storia di Annie Lennox e Dave Stewart in arte Eurythmics, volti di punta degli sfavillanti anni 80 e autori di un ideale "ponte di congiunzione tra Philip Glass e Aretha Franklin"

di Damiano Pandolfini

Folie à deux (francese per "pazzia a due"), o psicosi condivisa, è una sindrome psichiatrica nella quale i sintomi di allucinazioni e convinzioni illusorie vengono trasmessi da un individuo all'altro. Questa sindrome viene spesso diagnosticata quando i due soggetti in questione vivono in stretta prossimità tra di loro e possono essere socialmente o fisicamente isolati e avere dunque poca interazione con altri esseri umani.
Buffo davvero, perché le anime di Annie Lennox e Dave Stewart si sono trovate a Londra ormai oltre quarant'anni fa, perse nel cuore di una metropoli popolata da milioni di persone dove non è poi così facile evitare l'interazione con altri esseri umani - soprattutto se si fa un lavoro che comporta il contrattare col mondo dei discografici e accordarsi con decine di musicisti, produttori e tecnici del suono settimana dopo settimana. Sarà lo stesso Dave a fornire la teoria di un possibile caso di folie à deux durante un'intervista televisiva nei primi anni 80, seguita poi da un momento di "dimostrazione pratica" nel quale lui e Annie si mettono a discutere in una ridicola lingua totalmente inventata. Chiaramente si tratta di una sonora presa per il culo, ma tra le risatine a denti stretti dei due non si può non notare un senso di rara complicità che strappa proprio il sorriso, ma allo stesso tempo invita gentilmente lo spettatore a rimanersene appena fuori dalla soglia della porta. Gli artisti sono tutti un po' autistici, si sa, gente costantemente in bilico tra l'indolenza creativa e quei lampi di genio che, se catturati in tempo, rendono il senso della vita limpido come l'acqua di una piscina. Ma se per lo spettatore è alquanto facile fruire dell'opera compiuta, per gli artisti in questione arrivare alla limpidezza di esposizione formale ed emotiva implica un percorso tutt'altro che diretto, e in questo gli Eurythmics ne rappresentano la perfetta incarnazione - scriveranno pure una sempiterna hit sull'argomento.

La loro storia è come un film. In una prima fase di attività, Annie e Dave saranno invischiati in un morboso rapporto erotico/romantico e suoneranno in una rock band - i Tourists - nella quale non avranno alcun input in sede di scrittura (un fattore di grande frustrazione per entrambi). Nella seconda fase, invece, il loro rapporto acquisterà un'inedita piega artistica proprio nel momento in cui la coppia romantica scoppierà, e questo li porterà a sciacquare in musica i rispettivi panni sporchi, applicandovi sopra tutta l'esperienza accumulata da tale straniante dinamica di amore/odio. Il risultato sarà un'interazione di coppia che spesso tocca - appunto - la folie à deux: nervosi scoppi d'ira e lunghi silenzi di stizza, ma anche rapide occhiate e gesti impercettibili capaci di comunicare l'un l'altra pensieri lunghi una vita tramite un codice tutto loro - segnali impossibili da decifrare per gli ignari presenti in sala, che a volte hanno la sensazione di essere appena atterrati su Marte. Dave è gregario e disordinato, Annie è posata e precisa, in studio comunicano per via emotivo/telepatica, tessendo magicamente le fila di un canzoniere variegato e cangiante delle sonorità più disparate.
Si fa presto oggi a catalogare gli Eurythmics come quel duo che durante gli anni 80 sparò una mitragliata di memorabili singoli contro le classifiche di tutto il mondo - poi raccolti in un Greatest Hits da oltre sei milioni di copie vendute, che ne ha cementato per sempre lo status di icone del Pop britannico del secolo scorso. Ma dal connubio con l'elettronica di stampo teutonico, l'amore per Philip Glass e la new wave fino alla favolosa rivoluzione synth-pop, e poi alla svolta chitarristica a colpi di soul, blues e r&b, questi due pallidi inglesi hanno tratteggiato una delle carriere più particolari e avvincenti di tutti gli anni 80, ripiena non solo di grandi successi radiofonici ma anche di memorabili long playing e piccole chicche sparse un po' ovunque.

Ma chi sono, veramente, questi due folli? Nato a Sunderland nel 1952, David Allen Stewart si presenta con un'aura mistica, accentuata dalla sua mania di nascondersi dietro a occhialini tondi e copricapi da Cappellaio Matto. Quando apre bocca, si rivela un soffice oratore dalle delicate eccentricità British, un amante del nonsense e delle droghe psichedeliche che lo fanno viaggiare verso solipsistici mondi lontani. Polistrumentista eternamente curioso, a proprio agio sia con una chitarra a tracolla che di fronte al più ingombrante dei sintetizzatori, nel corso di una carriera già lunga quasi cinquant'anni avrà modo di lavorare coi nomi più impensabili per i progetti più disparati. Ma in molti non sanno che le sue radici affondano pure in un curioso passato psych-folk-rock come membro dei Longdancer, un quartetto di capelloni freak che nei primi anni 70 pubblicò un paio di album sotto la Rocket Records di Elton John. Il solo scarto stilistico tra un pezzo di questi ultimi e i primi esperimenti sintetici degli Eurythmics è già sufficiente per inquadrare uno dei più eclettici comunicatori musicali del Regno Unito.

annielenn220x270Ma il vero mistero della coppia rimane Ann "Annie" Lennox, algida scozzese di Aberdeen, nata il giorno di Natale del 1954 in una modesta famiglia della classe operaia. Annie arriva a Londra a soli diciassette anni dopo aver vinto una borsa di studio per frequentare la prestigiosissima Royal Academy Of Music, dove suona flauto traverso, pianoforte e clavicembalo. Per la famiglia avere una figlia che studia nella Capitale è un enorme motivo d'orgoglio, ma per la giovanissima Annie il sogno di fare la musicista classica s'infrange fin troppo presto, quando si rende conto che un ambiente accademico così conservatore e privo di fantasia non le consente di esprimersi al di fuori dei canoni prestabiliti. Il che dapprima suona strano sia ai genitori che ai professori dell'Academy, dal momento che la giovane Ann è sempre apparsa come una ragazzina docile e senza grilli per la testa, di quelle vestite a modino e coi capelli ben ordinati da una parte. E invece Annie abbandona gli studi e presto si trova a sbarcare il lunario come può per sopravvivere in una metropoli spietata e alienante, mentre prova anche a inserirsi senza successo nel mondo della musica popolare suonando in varie band locali. Cosa le stia passando per la testa in quegli anni, Dio solo lo sa. Una sera, il suo amico Paul Jacobs la va a trovare mentre lei sta lavorando come cameriera in un ristorante e le presenta un suo conoscente di nome Dave Stewart, il quale - ubriaco fradicio dopo essersi scolato una bottiglia di Jack Daniels - la fissa un attimo negli occhi e le chiede subito:
Mi vuoi sposare?
Al matrimonio non arriveranno mai (per fortuna), ma l'incontro tra Annie e Dave in quella sera del 1976 sarà l'inizio di un intenso rapporto a due, che aiuterà la Nostra a uscire dal suo guscio una volta per tutte e trasformasi in una delle più riconoscibili icone dei coloratissimi anni 80 - ma con garbo. Al contrario di personaggi quali David Bowie, Diana Ross e Grace Jones - che lei stessa accredita come fonti d'ispirazione - Annie non trasformerà mai la propria vita in un'opera d'Arte, rimanendo semmai legata alla frugale e rigida educazione della working class ricevuta da piccola - prova ne sono tutti gli anni di attivismo sociale a scopo benefico che al momento in cui si scrive hanno quasi sostituito la sua immagine di musicista. Annie si porta dentro un forte senso del dovere che non le consente di fare il grande passo, ma paradossalmente non ha problemi a mettersi di fronte alle telecamere e farsi osservare da milioni di persone mentre si cambia con nonchalance una maschera dopo l'altra. Perché Annie Lennox è tante cose; ha due gelidi occhi di ghiaccio e uno splendido volto che appare sempre perfetto da qualunque angolatura la si riprenda, ma è anche androgina fino al punto di vestirsi da uomo - ma senza mai dover perdere tempo a "spiegarsi". Sul palco sa tramutarsi in una carismatica mattatrice da grandi folle, è dotata di una splendida voce tinteggiata da imperscrutabili freddezze passivo/aggressive, ma sa dar fiato a enormi aperture soul che in un primo momento la faranno passare per afroamericana (come nel caso delle colleghe Alison Moyet e Lisa Stansfield). Su video la vedremo rinata come casalinga suicida e Diva in preda alla psicosi, ma nella vita privata affiorano anche le immagini di una fervida femminista e di una donna debole e insicura, un'oratrice fortemente agnostica ma con un suo personalissimo credo, oltre ovviamente a essere una grande icona gay. Un cervellotico caleidoscopio pieno di contrasti, insomma: Annie Lennox è una donna che prova anche a nascondersi e si schernisce da sola con un senso dell'humour tutto nordico, per poi riapparire improvvisamente come una tigre avvolta di piume e gioielli o con una mascherina sadomaso calata sugli occhi. Sarà lo stesso Dave Stewart, l'uomo che forse più di tutti nel corso degli anni si è avvicinato alla sua intimità sia dal punto di vista emotivo che artistico, a sentenziare senza mezzi termini:
Onestamente, non ho la minima idea di chi diamine sia Annie Lennox, e non penso che ci sia qualcun altro al mondo che lo sappia. Forse non lo sa manco lei.
Turisti per caso

thecatch220x270Presto Dave invita Annie a cantare in una band che ha formato con Peet Coombes, amico di vecchia data col quale è cresciuto in quel di Sunderland. In un primo momento si fanno chiamare The Catch e nel 1977 si presentano con una foto amatorialmente simpatica che fa da contorno a un paio di canzoni scritte a sei mani in buona aria disco-soul; il lato A, "Borderline", è venato da una maliconia tutta urbana che fa tanto Steely Dan e lo Stevie Wonder di pezzi come "Living For The City", mentre sul lato B c'è "Black Blood", che mostra un andamento più simile a certa dilatata disco music arricchita da un assolo di tromba e l'immancabile cornice di violini. Si nota subito la bella voce della Lennox, calda e sensuale, ma venata da un nervosismo tutto metropolitano e un timbro che - soprattutto sulla seconda traccia - a momenti si accosta alla nostra Loredana Berté.
Ma il progetto non decolla assolutamente, così pur mantenendo vivo il contratto con l'etichetta Logo, Peet Coombes assume le redini della direzione artistica e con l'entrata in formazione di Eddie Chin al basso e Jim Toomey alla batteria il nuovo quintetto si ribattezza The Tourists. Un peccato, a tutt'oggi l'esperienza dei Catch è l'unico documento disponibile per ascoltare la Lennox che canta la disco - uno di quei piccoli grandi rimpianti che costellano la storia della popmuzik.

Ma Peet Coombes ha altre mire; il caldo-record dell'estate 1976 - tra i più memorabili del secolo scorso nell'immaginario popolare inglese - ha portato siccità e agitato gli animi al punto da accendere la miccia all'ondata del punk, un nuovo movimento che dai marciapiedi della Kings Road nella capitale ha preso piede nel resto della nazione, con tanto di sbarco in Uk dei Ramones e la "rivalità" con gli autoctoni Sex Pistols, che proprio in quei mesi stanno incidendo "Anarchy In The U.K.". Ma anche il glam, il reggae e la new wave fanno proseliti tra i giovani, l'enorme calderone degli anni 70 è al massimo dell'ebollizione stilistica. Da nuovo leader e unico autore delle canzoni dei Tourists, Peet alza il voltaggio delle chitarre ed esorta Chin e Toomey a pestare sulla sezione ritmica. Annie e Dave al momento sono ancora persi nella loro personalissima e alienante luna di miele.
The Tourists (1979) viene addirittura prodotto da Conny Plank, uno dei più celebrati tecnici del suono nel mondo del kraut e dell'elettronica (già al lavoro con Kraftwerk e Neu!), ma nonostante la sua mano riesca a dare un tocco qua e là più raffinato al trattamento delle varie parti, la scrittura dei pezzi mostra una qualità strofa/ritornello davvero troppo generalizzata e senza fantasia, che unita poi alla più classica formazione voce/chitarre/basso/batteria dà vita a un disco mai brutto ma sicuramente molto anonimo - il che forse è pure peggio. Con Peet e Annie entrambi alla voce per gran parte dei pezzi, l'immagine della formazione acquista pure un opaco effetto corale che non dà particolare risalto a nessuna delle due personalità (con tutto che anche Coombes, con la sua attitudine eternamente scazzata, potrebbe tranquillamente passare come una versione più nasale di Bob Geldof).

Dall'attacco del melodico singolo "Blind Among The Flowers" fino alla chiusura con "Just Like You", The Tourists è un disco di pub-rock che si lascia ascoltare con facilità ma dona veramente pochi sussulti. Su "Ain't No Room" si prova un timido andazzo reggae, "Deadly Kiss" si snoda su una vagamente più curiosa struttura in stop&go, mentre la figura solitaria che si staglia nel ritratto di "The Loneliest Man In The World" mostra i semi ancora acerbi di un songwriting dalla potenziale narrativa più raffinata. Con la sua entrata vagamente elettronica punteggiata da una nota di sax e un ritornello accattivante, "Useless Duration Of Time" è forse il momento più suggestivo e al contempo frustrante del lotto: un buon pezzo, ma che non si lascia ancora andare del tutto con la fantasia.
Là fuori ci sono band come i Roxy Music, i Boomtown Rats e i Police, gente con sonorità affilatissime capitatante da leader ultra-carismatici che si slanciano in intepretazioni incendiarie e scrivono liriche surreali e accattivanti. In quel contesto, i Tourists sono un po' la band di quartiere che si esibisce al pub il martedì sera.
C'è comunque spazio per una bella "Fools Paradise", con una di quelle ipnotiche melodie circolari alla Velvet Underground che si potrebbe quasi immaginare cantata da Nico, ma il pulito timbro della Lennox fa comunque la sua porca figura. L'acustica "Another English Day" è un brevissimo momento di poesia decadentista, intonata da Peet col fare di un pendolare che osserva con rassegnazione il paesaggio che scorre fuori dal finestrino di un treno.
The Tourists
viene largamente ignorato sia da una critica poco entusiasta che da un grande pubblico preso d'assalto dai ben più irresistibili nervosismi delle altre band sopracitate. Per guadagnare terreno al più presto, la Logo incita la band a rientrare immediatamente in studio a incidere un seguito.

Prodotto da Tom Allom (già al lavoro con Genesis, Black Sabbath e Judas Priest) Reality Effect (1979) aggiusta un po' il tiro anche se il songwriting di Coombes rimane più o meno ancorato alla solita formula di semplice e innocuo pop-rock. Si nota soprattutto l'insofferenza di un pattern ritmico sempre molto simile a se stesso pezzo dopo pezzo - "In My Mind (There's Sorrow)", "Circular Fever" - un problema che adesso viene solo in parte arginato giocando con intermezzi a effetto e applicando in certi frangenti stralci di sonorità più particolari.
L'apertura di "It Doesn't Have To Be This Way" mostra una più interessante tendenza elettronica, "In The Morning (When The Madness Has Faded)" si colora di un paio di eccentrici intermezzi di pianoforte e un finale da film, "All Life's Tragedy" pure riesce ad alternare un paio di evanescenti momenti di quasi-silenzio al solito andazzo pub-rock del combo chitarra/basso/batteria, ed "Everywhere You Look" parte in quarta con una suggestiva rincorsa di batteria e tastiere. Un piccolo passo avanti per i Tourists, insomma, che nonostante un canzoniere non proprio eccitante, vogliono fare davvero sul serio. La Logo li aiuta pure a creare un elaborato set per la suggestiva foto di copertina, che li ritrae dall'alto vestiti di bianco in una stanza totalmente bianca, con artistiche imbrattature di fiori secchi e vernice sparsi sul pavimento.

annietourists220x270C'è però un inaspettato cambio di eventi che poi sarà il momento clou della loro breve storia; durante le sessioni di registrazione di Reality Effect la band decide quasi per scherzo di cimentarsi con una cover e seguendo l'amore per il vecchio soul di Annie Lennox opta di rifare "I Only Want To Be With You", celebre pezzo che fu un gran successo per Dusty Springfield nel 1964. Nel giro di un paio d'ore la traccia è già pronta e viene inserita in scaletta senza stare a pensarci troppo su. Invece sarà proprio questa a scalare rapidamente la classifica inglese nel novembre 1979, toccando addirittura il n.4 - ma raccoglie anche un bel n.10 in Australia. Improvvisamente i Tourists saltano alla ribalta nazionale, con tanto di apparizioni in Tv, interviste e un tour promozionale.
Ma diventare famosi con la cover di un brano già famosissimo nella versione originale è un brutto colpo per l'ego di Coombes, oltre a fornire un preoccupante indizio su chi sia veramente il pubblico della sua band: altro che teenager in cerca di novità e trasgressione, i Tourists passano per una rassicurante band che sta riaggiornando le vecchie hit del cuore di tutti quei genitori spaesati di fronte ai figli che girano con creste colorate e spille da balia infilate nelle narici! Sta di fatto che anche altro l'altro singolo "So Good To Be Back Home Again" si trascina fino al n.8 in classifica in Inghilterra, e guarda caso anche questo è un rassicurante numero alla Beach Boys condito da uno di quei petulanti testi che tutte le mamme vorrebbero sentir cantare dai propri figli fuori sede:
It's so good to be back here again
Having fun with all my friends
When everybody says hello
You know there's nowhere else to go
It's so good, yeah it's so good
It's so good to be back home again
Ma al successo non si può dire di no, entrambi i singoli spingono l'intero Reality Effect nella Top 30 in Uk e con i primi soldi e le prime attenzioni della stampa, la band è finalmente su di giri. Per Annie e Dave Reality Effect è un titolo quasi profetico, senza questo primo assaggio di successo forse la loro vita artistica non avrebbe mai intrapreso il cammino che li porterà in futuro a trasformarsi nelle iconiche popstar che tutti conosciamo. Ma per il panorama musicale di allora (e per le possibili rivalutazioni a posteriori) un disco come questo non offre grandi spunti d'interesse e finirà presto fuori stampa assieme al resto del catalogo.

Purtroppo la situazione si fa subito più complicata e non per questioni artistiche; dopo una serie di litigi con la Logo, i Tourists vengono scaricati e presto raccolti dalla Rca, enorme major americana, capace sia di creare autentiche popstar che di fare da tritacarne dell'indifferenziata. Perso quindi un po' di momentum, la band torna nuovamente in studio per onorare il nuovo contratto; Luminous Basement vede la luce a tempi record nell'ottobre del 1980, a esattamente un anno di distanza dal precedente disco. Ossessionato dal bisogno di smarcarsi di un passato troppo edulcorato, Coombs continua ad alzare i decibel, mentre Allom in cabina di regia fa del suo meglio per legare i cinque componenti in un organico che suoni più compatto possibile. La grafica di copertina mostra un semplice ma efficace lavoro pop-art molto alla Blondie, band al momento popolarissima in tutto il mondo.

luminous220x270Sul video dello zompettante singolo "Don't Say I Told You So" i Tourists adottano un accattivante look new romantic, con una Lennox vestita e pettinata come una più matura controparte ai popolari volti di Susan Sulley e Jo Catherall, le due famose coriste degli Human League. L'attacco del disco con "Walls And Foundations", condotto dalla voce di Coombes, è sicuramente tra i momenti più scanzonati e divertenti, grazie a un andamento punkeggiante che prende piede soprattutto nell'assolo di chitarra del finale. Ma anche "Week Days" e "So You Want To Go Away Now" suonano come certi energici pezzi dei Pretenders, e di schitarrate a go-go sono piene pure "Round Round Blues" e soprattutto "Let's Take A Walk", la quale arriva condita da uno spiritoso giro di armonica e un finale tutto urla e caciara. Una più inusuale sequenza armonica e la sottile patina elettronica in sottofondo aiutano "Talk To Me" a darsi una svecchiata soprattutto nello sperimentale finale rumoristico che trasporta il pezzo a quasi sei minuti di durata. L'ottimo ritornello di "Angels & Demons" viene invece interpretato con grinta da una Lennox davvero in ottima forma.
Da notare anche il fatto che la versione per il mercato anglosassone del disco contiene un 7" in regalo con due canzoni inedite; "From The Middle Room" è un particolarissimo momento strumentale giocato tra un'umbratile atmosfera elettronica e un pesante ritornello hard-rock stridente e inacidito. Ma "Into The Future" è una mini-scheggia power-pop ormai tipica della band. Nel complesso Luminous Basement esplora solo in parte le possibili "stranezze" produttive che avevano fatto capolino nel disco precedente, preferendo semmai andare al sodo con una tirata di chitarre ruggenti e ritmiche incalzanti per farsi udire anche dai più giovani e trasgressivi ascoltatori, ma ancora una volta il tutto non sempre arriva supportato da un songwriting veramente memorabile.

I rapporti all'interno della band durante l'incisione del disco non sono neanche dei migliori; Coombs è affetto da una grave dipendenza da droghe pesanti che lo rende assente e volatile, mentre Annie e Dave non si sentono più a proprio agio nel limitato e un po' troppo ripetitivo songwriting che gli viene proposto. Accreditata ad Annie Lennox, "One Step Near The Edge" è in infatti un momento dove la musica rallenta e la cantante si concede un'interpretazione vocale elegante, raffinata e ricca di sfumature, tutte caratteristiche che in futuro saranno il suo riconoscibilissimo marchio di fabbrica. Un pezzo del genere dimostra come sia lei che Dave siano ormai più che pronti a impugnare le redini della propria arte - di nascosto dal resto della band, i due hanno già prenotato alcune sessioni private di studio dove intendono sperimentare col lato più elettronico della loro proposta, un pallino che gli è rimasto ficcato in testa dopo quella prima volta che visitarono gli studi di registrazione di Conny Plank a Colonia.
E nel dramma che consegue, le cose andranno paradossalmente proprio a loro favore; Luminous Basement raccoglie scarsissime vendite e riscaraventa la band nei bassifondi della Chart, ben lontana dall'immaginario frizzante e giovanile che i Tourists vorrebbero cavalcare. Pure il tour promozionale organizzato in Asia e Australia, purtroppo, si dimostra un grosso insuccesso: nel momento in cui la band giunge a Sydney, Peet Coombs quasi ci rimette le penne per via di un'overdose ed è costretto a rientrare in Uk per tornare un attimo a posto con la testa. La band continua il tour per onorare la promessa contrattuale, ma senza il leader e principale cantante sul palco andare avanti ancora a lungo non ha più senso. Allo stesso tempo, la relazione sentimentale tra Annie e Dave giunge al termine incrinando ulteriormente i rapporti interni, e la politica da tolleranza zero della Rca nei confronti di una band minore e senza futuro dà il colpo di grazia: al ritorno in Inghilterra i Tourists si sciolgono per sempre.

Da qui in poi Coombs e Chin proveranno a creare un nuovo progetto ma non arriveranno nemmeno a finalizzare delle registrazioni. Coombs morirà nel 1995 dopo una sfortunata vita afflitta da droghe, i rapporti con i suoi ex-compagni purtroppo non si risaneranno più e sia Annie che Dave non saranno presenti ai funerali. Ma dopo la sua scomparsa quest'ultimi decideranno comunque di onorare la carriera della loro vecchia band con un più che esaustivo Greatest Hits di 20 tracce, che ad oggi rimane il loro album più reperibile in commercio. Appare comunque chiaro come il sole che la rivalutazione dei Tourists per le nuove generazioni avvenga ancora oggi principalmente grazie al fatto che tra i loro ranghi militarono gli ingombranti nomi di Annie Lennox e Dave Stewart. Per il resto, la band rimane un culto da amatori, o al massimo una mini-fucina di piccole grandi possibilità che non è mai stata in grado di sfornare un disco davvero all'altezza dei nomi convolti.

Nel giardino che nessuno sa

Disfare una relazione sentimentale e allo stesso tempo formare una nuova band, col rischio di dover passare giornate intere a respirare la stessa aria viziata in qualche angusto studio di registrazione: sembra la più assurda delle ipotesi, ma gli Eurythmics ufficialmente nascono proprio così, un inaspettato bang creativo a seguito di un crash emotivo. Nel mezzo del doloroso travaglio, e con una carriera musicale ormai pericolosamente a rischio di implodere in una bolla di sapone, la testarda Annie Lennox continua ad avere una sola certezza nella vita:
Dal punto di vista creativo non voglio lavorare con nessuno che non sia Dave.
E così il rapporto artistico perdura, sempre sotto contratto con l'americana Rca, la quale - molto ingenuamente - ancora vede nel duo la possibilità di esplorare l'orecchiabile vena pop-rock del successo di "I Only Want To Be With You" dei Tourists. Ma le cose prendono subito una piega diversa, addirittura a partire dalla nuova denominazione prescelta dal duo: Eu perché Annie e Dave si sentono più europei che non strettamente inglesi e rythmic perché il ritmo è la base di ogni musica, ma a tale unione si associa pure la parola eurythmy, una forma di movimento espressivo del corpo ideata dal filoso Rudolf Steiner nei primi del 1900, una pratica che Annie aveva studiato da piccola. Eurythmics: una parola dal significato insondabile e dalla pronuncia sofisticata ma immediatamente memorabile e riconoscibile tra miliardi di altri progetti musicali - uno dei tanti importanti tasselli per il loro futuro successo.

inthegarden220x270Per incidere il loro primo lavoro, gli Eurythmics tornano ancora una volta in Germania negli studi di Conny Plank, un personaggio che ha lasciato un segno profondo nell'immaginario dei duo sin dai tempi del primo album dei Tourists. Alle sessioni di registrazione prendono parte anche una serie di altisonanti personaggi che circolano nella scena rock e avantgarde del periodo e fanno spesso presenza negli studi di Plank; Robert Görl dei D.A.F. (quelli di "Der Mussolini", per intenderci) e Jaki Liebezeit e Holger Czukay dei Can, i quali poi portano in studio Markus Stockhausen (figlio di cotanto compositore) a suonare gli ottoni. Ma il contratto con la Rca ha le braccia un po' più lunghe della sola Europa e così viene mandato in aiuto persino Clem Burke, meglio noto come il batterista dei già platinatissimi Blondie.
Da questo strampalato asse Londra/Colonia/New York nasce In The Garden (1981), un disco di debutto tanto avvincente quanto acerbo nel senso più vergine del termine, forte di un mélange sonoro che non può che muoversi tra l'elettronica più teutonica e prossima al kraut, chitarre new wave e un songwriting tutto spigoli e suggestioni British che salta dalla narrazione dadaista a curiosi ritornelli power-pop - atmosfera perfettamente catturata da una foto di copertina a metà strada tra il sofisticato e l'amatoriale, con Annie e Dave che appaiono in pose artistiche circondati da un fogliame lussureggiante e sovrastati da un carattere curiosamente gotico.

Non c'è davvero modo migliore per descrivere l'umidità estiva della terra d'Albione di "English Summer", grazie alla cerulea pioggia di chitarre di Dave che forma una spessa coltre armonica, mentre la voce di Annie Lennox cattura malinconici quadretti di vita quotidiana ritratti come in una vecchia foto sbiadita. Ma il primissimo singolo degli Eurythmics è "Never Gonna Cry Again" (timido n.63 in Uk nel maggio dell'81), che si muove su una sinuosa linea di basso condita da tastierine spaziali e un assolo di flauto traverso suonato ovviamente dalla Lennox. Il pezzo viene pure accompagnato da un curiosissimo video che infila tutte le possibili eccentricità senza senso che si possono mettere in scena su una triste spiaggia del Mare del Nord con un budget limitato: uno dei più bizzarri biglietti da visita mai proposti da una band emergente.
Ma anche la desolazione elettronica con forte accento sulla linea di basso in aria post-punk di "Take Me To Your Heart" fotografa al meglio uno di quei paesaggi urbani di periferia disabitati e abbandonati a se stessi, con la Lennox che stavolta lamenta con fare sconsolato di un amante freddo ed emotivamente distante - i paragoni con l'appena terminata romanza tra lei e Dave a questo punto si sprecano, accendendo i riflettori su una canzone oltremodo scomoda ma al contempo quasi terapeutica, che è poi una delle chiavi portanti del contrastante songwriting degli Eurythmics. Anche "Caveman Head" si piazza tra le ibride curiosità del disco, condita com'è da stridenti chitarre elettriche e una serie di rumori fuori campo, e così si può dire anche di "She's Invisible Now", che risente molto del lavaggio teutonico delle produzioni di Plank e mostra una soluzione armonica fin troppo inusuale per una canzone pop, ma il conto alla rovescia che parte verso la metà del pezzo - intonato da Annie attraverso un microfono filtrato alla maniera dei Kraftwerk - suona pure come un chiaro omaggio a "Space Oddity" di David Bowie.

Dal lato del pop-rock più melodico, In The Garden offre l'altro irresistibile singolo "Belinda", una canzone che in bocca a Debbie Harry forse avrebbe trovato maggiori consensi di pubblico, ma l'interpretazione di Annie non è da meno: soffice e vellutata, per poi impennarsi verso il finale mostrando un potenziale che in futuro verrà sfruttato nel migliore dei modi. La profetica "Your Time Will Come" si snoda su una strofa dai sapori armonici quasi mediorientali ma si apre successivamente in un arioso ritornello da epica new wave (Czukay su questo pezzo dovrebbe suonare un non meglio identificato strumento tradizionale thailandese a corde). Ed è ancora via di mezzo con "All The Young (People Of Today)", sorta di bagno psichedelico sorretto da un basso dub e un ritornello alla Velvet Underground.
Con "Sing-Sing", però, si sfocia direttamente nel campo del nonsense, una filastrocca snocciolata in lingua francese su un ritmo in punta di piedi e condita nell'intermezzo da cacofonie che sembrano incise con l'intona-rumori. E poi c'è "Revenge" a chiudere il tutto, ancora una ritmica zompettante di basso e batteria con coloriture di tastiere sopra le righe e una Lennox che sperimenta in libertà con una serie di svariati registri vocali (accentuati comunque dalle elettrizzanti distorsioni che Plank applica sui microfoni).

Difficile relegare un disco del genere in un'unica categoria, difficile scindere tra la fascinazione per l'elettronica sperimentale e una Lennox ancora irrigidita dallo studio accademico, con in più chitarre spigolose e sinuose trame di basso dub a confondere i bordi della percezione. Il pubblico non sa assolutamente cosa farsene di un album del genere e le attenzioni sono minime, al punto che l'intero progetto Eurythmics giunge a un passo dal capolinea prima ancora di aver timbrato il biglietto. Alla Rca fanno meno del minimo sindacale per pubblicizzare un lavoro che cade proprio al di fuori dei canoni commerciabili, e pur non scaricando gli Eurythmics il supporto monetario alla band viene gentilmente messo in standby. Spetterà sostanzialmente ad Annie e Dave il compito di andare in tour e farsi un po' di promozione in radio e con un paio di sparute apparizioni in Tv, ma il risultato sarà fisicamente ed emotivamente spossante per entrambi, al punto che a fine tournée i due si troveranno ricoverati in ospedale e senza sapere come andare avanti. La loro carriera al momento pende da un filo.

Considerando quel che diventerà presto la vita del duo sia dal punto di vista del successo che della nuova sofisticatissima direzione sonora, non è difficile guardare a In The Garden come al disco di un'altra band, come la via di mezzo tra i Tourists e gli Eurythmics, o come il classico periodo oscuro di due future popstar milionarie. C'è però un aspetto che non si può proprio ignorare: pur con tutti gli spigoli e le bislacche fascinazioni, non c'è davvero altro disco del periodo che si avvicini alle vergini atmosfere di In The Garden. E questo lo rende un capitolo quasi fuori concorso, un album a suo modo capace di farsi apprezzare sia dall'ascoltatore che proviene dal pop che da quello che vi giunge per curiosità tramite il lungo viaggio del kraut. Mettetelo in cuffia e concedetevi un inedito salto indietro nel tempo, verso un'era ricca delle contaminazioni più disparate.

La leggenda delle 5000 sterline: genesi creativo/finanziaria di un memorabile pezzettino di storia del Pop

Nasce in questo periodo la leggenda di come Dave riesce a strappare un prestito di 5000£ al suo agente di banca. E di vera leggenda si tratta, perché per il protocollo finanziario di una plumbea Inghilterra stritolata dalla morsa thatcheriana, Mr. Stewart non è certo il miglior candidato cui affidare dei soldi, specialmente se lo scopo è quello di ottenerli indietro con gli interessi. Figuriamoci, un musicista squattrinato e con in volto tutti i segni di uno stile di vita sregolato, che si presenta senza credenziali se non un effimero vecchio n.4 in classifica ottenuto con una band ormai estinta come i Tourists (e poi quella canzone mica l'aveva scritta lui!) - ammettetelo: voi stessi non gli prestereste nemmeno un ombrello mentre piove. Lui stesso ricorda così i suoi anni lisergici:
[...] mangiavo una volta ogni quattro giorni, consumavo quantità industriali di anfetamine e non dormivo mai. Oppure uscivo di casa per comprare il pane o dei fiammiferi e mi ripresentavo tre giorni più tardi con un tipo chiamato Circles.
Ma chissà, forse era ora di pranzo e l'agente di banca quel giorno aveva fretta di togliersi di mezzo l'ennesimo rompiscatole. Oppure è vero quando si dice che Dave, per quanto apparentemente sempre silenzioso sotto l'ombra della Lennox, sia in realtà un tipetto tignoso e piuttosto insistente quando vuole ottenere qualcosa. Sta di fatto che quel giorno Mr. Stewart esce dalla banca con un vittorioso sorriso stampato in faccia, in mano tiene un assegno di modestissime proporzioni per quel che intende farci, ma che allo stesso tempo è ben oltre le capacità finanziarie a lui solitamente disponibili. I casi sono due: o la va, o si lavano piatti per i prossimi due anni.

eur1983220x270E qui entra in gioco l'altrettanto leggendaria parsimonia tutta scozzese di Annie Lennox, una donna dalla volontà di ferro che sa sempre dire di no a qualsiasi esosa stronzata passi per la testa del suo collega e la sera gli conta pure i centesimi nelle tasche dei pantaloni. La prima mossa in accordo del duo è quella di affittare un appartamento a Chalk Farm, nel quartiere di Camden, e trasformarlo in un mini-studio di registrazione, dal momento che quelli professionali costano troppo. L'affito è conveniente, Annie è soddisfatta dell'affare, Dave un po' meno: per forza l'affitto è conveniente, l'appartamento è situato sopra una segheria! Ma come si fa a registrare un disco mentre al piano di sotto spaccano tronchi d'abete?
Ecco quindi spiegato il secondo grande investimento di comune accordo del duo: la bellezza di 1999£ (Iva esclusa) spese per l'acquisto di un Movement System Drum Computer, ovvero un'ibrida drum machine creata sui campionamenti del popolare Simmons Drum Synthesizer, ma dotata di uno schermo col quale poter comporre e registrare in digitale (anche mentre al piano di sotto spaccano tronchi d'abete). Su consiglio di amici musicisti in comune, quali Robert Clash e Adam Williams (quest'ultimo suona il basso della celebre band ska The Selecter), Dave si reca di persona a procurarsi uno dei nuovissimi modelli di MSDC, prodotti in un negozio specializzato di Bridgewater, nel Somerset, e passa la notte sul pavimento del locale mentre il macchinario viene messo a punto. Al suo eroico rientro a Londra, gli Eurythmics sono tra i primi al mondo a poter lavorare con tale sintetizzatore (altri celebri esempi di uso del macchinario in quegli anni si riscontrano nei lavori di John Foxx, Mick Karn e la Kim Wilde di "Cambodia").
Ma gli Eurythmics hanno altre idee, guidate soprattutto dal fatto che possono permettersi solo un misero registratore a otto piste per completare l'intero disco; così fanno fuori quasi del tutto i solitamente imperanti strumenti tradizionali del pop quali chitarra, basso e batteria, e uniscono il prezioso suono del MSDC con altri macchinari contemporanei, come l'Oberheim OB-1 e l'EDP Wasp. Durante la fase di missaggio, l'eccentrico Dave tiene una mano dietro la schiena mentre con l'altra impugna un paio di tronchesi da giardino con le quali può operare solo una delle otto manopole alla volta, un modo per auto-costringersi a non sfumare tra di loro le varie parti e mantenere il suono più limpido e pulito possibile. Con pochi soldi gli Eurythmics creano un inedito mèlange quasi totalmente sintetico che è davvero il massimo della sofisticatezza elettronica al momento disponibile: un suono pulito, freddo e robotico, ma con una rotondità nei bassi e una smussatura agli angoli che lo rendono incredibilmente avvolgente, una morbidezza mai registrata prima di allora da qualsiasi altro singolo marchingegno elettronico. Ricorda Annie:
Suonava così sofisticato! ...però dovevamo sempre attendere che la segheria al piano di sotto spegnesse le macchine per poter incidere le parti vocali...
Inutile reiterare la fascinazione dell'uomo per la Macchina; dai Kraftwerk e i Tangerine Dream allo space-rock degli Hawkwind e la disco music di Giorgio Moroder e Patrick Cowley, passando per l'ala anglosassone dei New Order, dei Depeche Mode e degli Human League di "Reproduction", l'applicazione di strumenti elettronici alla musica popolare ormai impone la stessa serietà di trattamento riservata alle sei corde di una chitarra. Il Movement System Drum Computer è ancora tutto da scoprire, ma la sofisticatezza delle sonorità che emette e la creatività del modo in cui gli Eurythmics le mescolano ad altre tastiere sono già ampiamente capaci di trasportare tutto il movimento con prefisso synth- verso nuovi, tersi orizzonti, marchiando idealmente un "prima" e un "dopo" nelle produzioni sintetiche degli anni 80. Dall'alto del suo successo di pubblico Sweet Dreams (Are Made Of This) rimane uno degli esempi più famosi e amati del genere. Il tutto, poi, realizzato con un budget davvero esiguo se pensiamo all'ampissimo raggio del risultato ottenuto.

Ma la tecnica, si sa, compone al massimo solo la metà dell'opera. Se Dave e colleghi perdono giornate intere a programmare il computer eccitati come adolescenti con un GameBoy, la magnetica presenza di Annie Lennox completa il quadro di un'opera adesso davvero definibile come memorabile. Basterebbe anche solo guardarla per farsi subito convincere, ma in realtà c'è solo bisogno di ascoltarla: scrive liriche sintetiche e cattive e poi le intona con una strabiliante vocalità, che passa da algidi e cupi mantra new wave ai timbri accorati del blue-eyed soul. Attraverso le immagini lanciate nell'etere da una neonata Mtv, Annie Lennox diventa presto uno dei volti di punta della Second British Invasion, un personaggio androgino e accattivante ma anche misterioso nelle sue sofisticazioni da scuola d'Arte, che suscita fin dall'inizio lo sbigottimento e la curiosità del pubblico, inclusa la notoriamente più diffidente sponda statunitense.

La cangiante personalità della cantante s'intravede già nei primi tre singoli che gli Eurythmics centellinano timidamente sul mercato durante il corso del 1982. Ad aprile viene pubblicato il pastiche elettronico con seghettature di basso di "This Is The House", la ricezione per un pezzo del genere è ancora pari a zero ma gli Eurythmics stanno chiaramente giocando di sottrazione; con poche parole assemblate in maniera dadaista e per metà cantate in spagnolo, il duo ricrea con estrema efficacia l'esperienza di vita in una casa zeppa di personaggi variegati, che è poi l'universale sensazione di estremo contatto cross-culturale che si presenta a chiunque, ancora oggi, abbandona il paesello per trasferirsi nel caos e nella perdizione di una metropoli cosmopolita (aneddoto famoso: tra le coinquiline del periodo berlinese di Annie antecedente agli Eurythmics, c'era pure la nostra simpatica caciarona Gianna Nannini).
Ascoltare il passo spedito del successivo singolo "The Walk", invece, è come addentrarsi in tarda serata nella nebbia attorno al Tamigi, ma la metropoli cosmopolita adesso ha le sembianze di una donna seducente e pericolosa, interpretata da Annie col fare sornione di una gatta del Cheshire, mentre in coda fanno capolino una notturna tromba noir-jazz e una serie di ipnotiche voci discordanti. Siamo ancora nel giugno 1982 però, per quanto miserabile sia l'estate inglese il pubblico non è pronto alle inflessioni autunnali di un simile pezzo.
Col successivo "Love Is A Stranger", pubblicato nel novembre dello stesso anno, gli Eurythmics mettono comunque a punto uno dei loro pezzi migliori di sempre, nonché il vero manifesto artistico dell'intero progetto (anche se il pubblico se ne accorgerà solo più tardi, quando il brano rientrerà in classifica l'anno dopo, trainato dal travolgente successo del singolo successivo, del quale si parlerà più avanti). La conoscete per forza, ma il riascolto di "Love Is A Stranger" manda brividi lungo la schiena ancora oggi; una pulsazione morbida e ipnotica condita da rumorini di synth che sembrano rubati a un vecchio videogioco, sulla quale Annie recita crude parole d'amore trattate come una dipendenza da droghe e si arrampica su un inimitabile falsetto verso coretti soul in aria di Motown. Il video allegato ci mostra in tutto il suo splendore un personaggio magnetico e fotogenico, tra cambi di parrucca e ammiccanti giochi d'intesa, mentre lo spettatore non riesce a smettere di guardarla nel tentativo di capire una volta per tutte:
Is that boy a girl, or is that girl a boy?
annie220x270Finalmente, nel gennaio 1983 arriva il turno del quarto singolo estratto, e che singolo: "Sweet Dreams (Are Made Of This)" dapprima striscia in sordina stuzzicando solo il pubblico più estetizzante, ma dopo settimane di stazionamento nelle parti basse delle classifiche prende finalmente quota grazie all'altro enigmatico video allegato, e dopo un'avvincente battaglia contro "Every Breath You Take" dei Police arriva a toccare addirittura la vetta in America, trasformandosi di conseguenza in uno smash nel resto del Globo (incluso un bel n.2 in madrepatria) - per gli Eurythmics la vita non sarà mai più la stessa. Cos'altro aggiungere a proposito di tale iconico pezzo? Questa è Annie al massimo del suo crudo, controllato e forzatamente ironico realismo scozzese. Le parole che snocciola con senso d'urgenza - sull'eterno dubbio umano che avvolge chiunque si cimenti con il mondo creativo - vengono raccolte in una specie di mantra religioso pervaso da una rabbia fredda, distaccata e senza fronzoli. Dave dal canto suo ci aggiunge uno dei riff sintetici più appiccicosi di sempre, ritmi di drum machine spietati come frustate tirate su un piano di marmo e continui stop della melodia scanditi dal pianoforte a incorniciare gli scatti nervosi della voce di Annie. In una parola: perfetta. Il pubblico è stregato, la sonorità del pezzo è sfavillante e gli Eurythmics la svendono senza problemi - il macchinario che Dave spippola nell'iconico video di accompagnamento è proprio il Movement System Drum Computer, coccolato come un bambino, manco fosse il terzo membro della band.

Col formidabile successo del nuovo pezzo viene subito ripubblicato anche lo sfavillante "Love Is A Stranger" - che entra in top 30 in America e conquista un bel n.6 in Uk - e al grande pubblico adesso non resta che andare a scoprire il resto dell'album, che era già nei negozi ad aspettarli sin dal 4 gennaio di quell'anno. Nessuna delusione: all'interno di Sweet Dreams (Are Made Of This) si trovano tutti i rimanenti pezzi di un puzzle affascinante ed enigmatico, esattamente come promesso dalla misteriosa copertina che lo illustra.
Il bello di "I've Got An Angel", per esempio, è che si tratta sostanzialmente di un pezzo dall'ossatura dub - in questo caso l'influenza di Adam Williams dei Selecter è lampante - ma la produzione ultra-moderna lo trasfigura in un'apocalittica cavalcata sintetica, mentre Annie vi recita sopra una lancinante nenia e ci suona pure il flauto. E questo per tacere del rifacimento di "Wrap It Up" con ospite Green Gartside degli Scritti Politti, che mette in mostra ancora una volta tutto il potenziale del MSDC quando unito a un songwriting fuori dalle righe (confrontatelo con la versione originale, che era stata scritta da Isaac Hayes e David Porter negli anni 60 per il celebre duo vocale Sam & Dave). Qui il nostro Dave lascia andare il pedale dei bassi e monta una roboante sezione ritmica, arricchita da calibratissimi mini-inserti di chitarra funk nel ponte, mentre Annie letteralmente si smembra in quattro persone diverse: saltella col fare concitato di una bimba che ha appena scoperto il suono della propria voce tramite un microfono col ritorno in cuffia, poi gioca di cacofonie, fa la cantante seria e infine si trasforma pure nella più serafica delle soul-singer mentre dà una divertita strizzatina d'occhio ad Aretha Franklin e alle armonie vocali delle Supremes. Il tutto in soli tre minuti e mezzo di fantasmagorica e spassosissima canzone.
La scorribanda urbana a ritmo di clacson nervoso di "I Could Give You (A Mirror)", invece, proietta ancora una volta Annie nella dimensione di frustrata quanto disillusa chanteuse, ma la sua voce stavolta viene lasciata quasi sempre da sola a comandare la melodia e si mostra al massimo del suo splendore di Diva, tra timbri vellutati, scivolate e falsetti, mentre in sottofondo le tastiere di Dave avanzano col fare ingombrante di una catena di montaggio.

Dal lato più introspettivo del disco, invece, non si può non rimanere affascinati da "Jennifer", sorta di passeggiata cold-wave che riprende la poetica di Lou Reed e la inzuppa in un clima alla "Blade Runner" - semplicemente suggestivo il muro di chitarre inacidite che si erge nell'epico finalone da lacrime. E dopo la misteriosa "Somebody Told Me", pezzo che ancora una volta si muove su una sinuosa linea di synth e sulle paranoiche introspezioni cacofoniche di Annie, ecco arrivare a chiudere il tutto un altro fascinoso momento noir: "This City Never Sleeps", sei minuti e mezzo di tenebroso dub urbano intriso di rumori alieni e il suono di un treno in lontananza, lo scenario perfetto per ascoltare Annie che racconta del silenzio e della solitudine che si prova nel cuore nella notte quando si è persi nella grande metropoli e si sente solo il titubante battito del proprio cuore (ma a suo modo l'interpretazione mostra pure una discreta carica sensuale che non andrà smarrita: tre anni più tardi la canzone sarà inserita nella colonna sonora di "9 settimane e ½").

Con Sweet Dreams (Are Made Of This) si può idealmente chiudere in bellezza la stagione d'oro della musica popolare sintetica inglese di fine anni 70/inizio anni 80, e al contempo aprire un nuovo capitolo nel bombastico trattamento dei synth che da adesso prenderà piede per il resto del decennio. Un album al contempo freddo come la new wave e caldo come il soul, introspettivo come una solitaria serata autunnale e sguaiato come una banshee dal trucco fosforescente sbavato sulle palpebre, avanguardistico ai limiti del concreto eppure così squisitamente Pop allo stesso tempo - una rapida occhiata a tutte le referenze fatte in questo scritto dimostra come un simile lavoro costringa ad andare a pescare tra i nomi più disparati per poterne dare anche solo un'idea a parole. La capacità di Dave Stewart e Annie Lennox sta proprio in questo delicatissimo equilibrio: da un lato la curiosità di pesticciare fuori dal selciato musicale del proprio tempo, dall'altro la capacità di saper piegare anche il sintetizzatore più crudele alla volontà di un canzoniere arguto, originalissimo e sempre emozionante.
Il bello è che per gli Eurythmics la corsa non finisce neanche qua, anzi a conti fatti è appena iniziata. Ma se anche il destino dei due fosse stato meno di brillante di quel che è poi realmente accaduto, Sweet Dreams (Are Made Of This) rimane a verbale per le generazioni future, sempre pronto a graffiare le orecchie con i suoi sinistri e sinuosi sorrisi digitali.

Di un memorabile tocco da maestri (e di remix un po' troppo maldestri)

eurythmicstouchera220x270_01Incredibile davvero la velocità con cui la gente si accorge di volerti bene quando il vento soffia nella direzione giusta. Solo pochi mesi prima per la Rca gli Eurythmics erano in fondo alla lista delle cose da fare, adesso invece - freschi di un bel n.1 in Usa - sono improvvisamente diventati la priorità assoluta. Vengono quindi pompate nuove disponibilità economiche nelle casse del progetto, che vanno a sommarsi alla comunque eccelsa qualità a bassissimo costo del loro mini-studio di registrazione. Del resto siamo negli anni d'oro degli introiti da capogiro ricavati dalle vendite fisiche dei dischi, il music business è veramente un business e alle case discografiche piace troppo vincere facile (lo vedremo meglio poco più avanti, sempre in questo capitolo).
Per il momento quel che interessa alla Rca è la tempestività. Il successo di "Sweet Dreams (Are Made Of This)" non è ancora del tutto scemato dalle classifiche che il pubblico viene già preso d'assalto (e presto nuovamente riconquistato) da "Who's That Girl?", ammaliante e morbida canzone pop condita da lacrimevoli sintetizzatori e intonata da Annie con tutto lo struggimento di una donna gelosa e insicura, ma che - in pieno stile passivo/aggressivo da buona scozzese di Aberdeen - ci aggiunge pure un cavernoso refrain piratesco dove la voce punteggia con decisione:
But there's - Just! One! Thing!
Il budget adesso è più sostanzioso, così gli Eurythmics si divertono a girare un video di accompagnamento per la loro nuova hit che è il classico who's who della scena londinese del momento: Kiki Dee, i Bucks Fizz, il Blitz-kid Marylin e le Bananarama fanno tutti la loro comparsa, accompagnando a turno il puttaniere Dave Stewart a spasso per i club più esclusivi. Ma è sempre Annie a rubare la scena: dapprima interpreta il ruolo di una sconsolata sirena da cabaret, poi si trasforma nella figura maschile del manager di tale cabaret, e sul finale del video l'Annie maschio e l'Annie femmina si scambiano un bacio sornione. Si tratta di un altro iconico successo per gli Eurythmics, con la Lennox che - cambiando di sesso - anticipa un po' le future derive drag king di Cher vestita da Elvis Presley ai tempi di "Walking In Memphis" e l'alter-ego maschile di Lady Gaga - tale Jo Calderone - conosciuto nel video di "You And I" (e come dimenticare Mariah Carey che prendeva per il culo Eminem nel video di "Obsessed"?). Presto le chiacchiere stanno a mille, il pubblico e gli addetti ai lavori sono tutti presi dall'orientamento di genere della Lennox, e in un'ormai storica esibizione ai Grammy del 1984 quest'ultima si presenta sul palco vestita da uomo, con tanto di barba e zazzera rockabilly, intonando "Sweet Dreams" con un registro vocale più basso e rauco. Volevate un uomo? Eccovelo.
Ma al successo di "Who's That Girl?" (n.3 in Uk) presto si aggiungerà pure il chiacchiericcio delle cronache rosa: durante le riprese del video, Dave ha occhi solo per la bella Bananina Siobhan Fahey, e presto tra i due inizia un'intensa relazione erotico/artistica che culminerà nel loro matrimonio quattro anni più tardi. L'ingresso del gotha del Pop è ormai un dato di fatto.

Ancor più straniante però è l'arrivo di "Right By Your Side", pimpante filastrocca calypso con plasticosissimi inserti di marimba, steel drums, tamburelli e fischietti assortiti - adesso gli Eurythmics stanno davvero tirando la corda con un pezzo che oggi non esiteremmo a definire un "tormentone estivo". Eppure ancora una volta non si può liquidare in fretta e furia un pezzo del genere. La prima metà degli anni 80 infatti coincide con un momento economico particolare per il popolo inglese: l'esplosione in popolarità delle cosiddette package holidays, dei viaggi low cost e dei villaggi vacanze all inclusive. Dal fare il bagno nel grigiore del Mare del Nord, adesso anche un lavoratore di medie disponibilità economiche può permettersi di portare la famigliola a farsi una vacanzetta a Malta o nel sud della Spagna - e grazie a loro, località come Benidorm e Lloret De Mar presto diventeranno mete ad altissimo contenuto trash: gente inebriata e col segno della canotta sulla pelle bruciata che si lascia andare allo stato brado come mai oserebbe fare in casa propria (pratica che peraltro perdura tutt'oggi - al momento in cui si scrive sta andando molto di moda Kavos, in Grecia). Ma per gli inglesi la fascinazione per la vita dei ricchi, il sole, le piscine, i cocktail di frutta e le bellezze "esotiche" è peggio della droga; assieme a iconici video/vetrine sui sogni del consumatore-medio come "Club Tropicana" degli Wham! e "Rio" dei Duran Duran, anche le sonorità di "Right By Your Side" degli Eurythmics entrano nell'immaginario "tropicale" del periodo, fotografando con estrema efficacia il bizzarro momento turbo-capitalista di una nazione altrimenti stretta sotto la classista morsa della Thatcher. Ma ancora una volta, ad ascoltare bene l'intonazione di Annie attraverso il pimpante motivetto di una strofa a prova di bomba, viene comunque il sospetto che gli Eurythmics ci stiano sottilmente prendendo in giro (un po' come quando due maniaco-depressivi seriali quali Michael Stipe e Kate Pierson qualche anno più tardi intoneranno "Shiny Happy People" confondendo l'ascoltatore qualunquista: si tratta semmai di una delle canzoni più deprimenti mai incise da un paio di esseri umani).

Ma non sono solo materassini di plastica e fischietti di latta; il rapporto tra Annie e Dave rimane costantemente sul filo tra una perfetta intesa artistica e i disaccordi umorali di due caratteri che si conoscono fin troppo bene. Se alle soddisfazioni di una carriera che ha finalmente preso il volo si sommano pure i momenti di stress che questo comporta, è lecito immaginare che le sessioni di studio dei due a volte ricreino l'atmosfera di una pentola a pressione. Nel loro caso sembra proprio che ogni discussione finisca col portarsi dietro tutti gli strascichi emotivi della vecchia relazione sentimentale, con il solito rinfacciarsi a vicenda di situazioni irrisolte sin dagli anni 70 - il tutto ovviamente condotto tramite una serie di gesti ed espressioni totalmente sconosciuti ai presenti in sala, che rimangono ammutoliti a osservare questa folie à deux. Durante una di queste montanti discussioni, Annie guarda sconsolata fuori dalla finestra, rassegnata all'idea che la situazione presto degenererà nella solita caciara, e sussurra tra sé:
Ecco che torna la pioggia...
Et voilà: "Here Comes The Rain Again" è il vero fiore all'occhiello del nuovo disco, nonché una delle canzoni del duo più note di sempre. Un pezzo dalla melodia sempiterna e un'elegante sezione d'archi a condirne l'estroso ma quadratissimo andamento synth-pop, con la voce della Lennox che brilla veramente di luce propria. La capacità di scrittura degli Eurythmics sta tutta qui: saper trasformare l'indolenza più frustrante in una hit da dare in pasto al mondo intero - l'enigmatico video di accompagnamento, girato sulle impervie scogliere dell'isola di Hoy, nelle Orcadi, aiuta il pezzo a entrare nuovamente nelle classifiche principali di tutto il mondo, registrando un n.8 in Uk e un bel n.4 in America.

eurythmicstouch220x270Pur registrato in sole tre settimane con la Rca a soffiare sul collo, e pubblicato ad appena undici mesi di distanza dal precedente album, Touch (1983) è nuovamente un gran successo. L'iconica immagine di copertina raffigura la Lennox semi-coperta da una mascherina di pelle in aria s&m, ma è l'arancio fosforescente della capigliatura a fornire gli indizi sui toni del lavoro: un disco aggressivo e spigliato, certamente meno elegante e coeso rispetto al precedente album, ma che unisce con successo le tipiche freddezze synth del duo a una scrittura sempre più popolare.
I tre singoli sopracitati sono sicuramente i pezzi più orecchiabili dell'intero Touch, ma gli Eurythmics costruiscono comunque con successo altri momenti di pregevole impatto melodico. Dave Stewart è ormai un maghetto delle tastiere e sa come abbinare l'amato Movement System Drum Computer alle altre sezioni strumentali; vedasi lo spigliato basso funk di "Cool Blue" suonato da Dan Garcia (presto nei Curve) che richiama il Prince di "1999" anche attraverso l'ossessivo ostinato sintetico delle tastiere. Ma va molto bene anche una "The First Cut" che mischia con successo un'attitudine tutta americana nelle (comunque pulitissime) chitarre alla spietatamente quadrata produzione europea. Col fumoso e marziale andamento di "No Fear, No Hate, No Pain (No Broken Hearts)" sembra di tornare dalle parti di "Vienna" degli Ultravox, l'interpretazione di Annie tocca i toni lirici di un contralto dal fortissimo impatto emotivo - una registrazione in studio del pezzo verrà inserita nell'edizione del 1983 di "Pop Goes New Year".

A mantenere vivo il legame col precedente album ci pensano i rimanenti tre pezzi; "Regrets" si snocciola sorniona su un andamento quasi parlato, "Aqua" forse perde un po' di fascino in una ripetitività dove non tutte le parti strumentali riescono a colorare a pieno la monotonia della ritmica, ma a salvare il tutto ci pensa comunque lo splendido finale di "Paint A Rumor": base elettronica super-minimale condita da incastri mediorientali, ottoni greco/romani rubati alla vecchia disco, chitarre imbizzarrite e campionamenti vari, il tutto elegantemente montato assieme in un pezzo che seguire da cima a fondo (soprattutto nella versione extended di otto minuti) è semplicemente una gioia per le orecchie di ogni appassionato di elettronica e songwriting.
Un disco vendutissimo (tocca direttamente la vetta della Chart in Inghilterra), dapprima ritenuto un po' esoso dai fan della prim'ora ma poi giudicato irrimediabilmente intrigante sulla lunga distanza da tutto il resto del mondo: dopo tutti questi anni, Touch è ancora un ottimo esempio di come si dovrebbe fare per cambiare pelle senza svendersi, e gli Eurythmics incassano un altro momento da consegnare ai posteri.

Alla Rca sono contenti del risultato ottenuto, ma per calzare ulteriormente la situazione se ne escono con l'idea di trasformare Touch in un remix-album da mandare in pasto al popolo delle discoteche - pratica sempre più comune ai tempi, come già visto nei casi di Soft Cell e Human League. Gli Eurythmics non ne vogliono assolutamente sapere: per quanto pop possa essere la loro proposta al momento, l'idea di entrare in discoteca è ancora vista come una mossa fin troppo commerciale per la mentalità del periodo. Il duo dunque si dissocia dal progetto e non vi prende parte, ma Touch Dance vede comunque la luce nel maggio 1984. Per chi manda avanti una casa discografica il music business è anche dettato dalla competizione e alla Rca non vogliono assolutamente perdere terreno; al momento sotto la nemica Warner Bros. c'è infatti la scatenatissima Madonna, che sta spopolando nei club di tutto il mondo col suo omonimo album di debutto. Si assoldano quindi John "Jellybean" Benitez (che con Madonna andava pure a letto) e François Kevorkian, nel tentativo di dare ai pezzi degli Eurythmics quel giro necessario per farli funzionare in pista. Touch Dance si presenta come un mini-album di quattro pezzi in versione remix e con tre di questi riproposti anche in chiave strumentale, pronti teoricamente per essere spezzettati e impiegati a piacimento dal dj di turno.
Ma il progetto non prende proprio quota. Due i motivi principali: il primo è sicuramente la natura stessa dei brani degli Eurythmics i quali, per quanto ritmati, provengono comunque dalla rigida e concettuale tradizione kraftwerkiana e non sono proprio concepiti con l'idea d'intrattenimento in discoteca (al contrario di quelli di Madonna, le cui sonorità affondano nelle ceneri della disco music). Ma il secondo è l'assenza di iniziativa da parte della band stessa, che magari avrebbe potuto partecipare al progetto reincidendo alcune parti per renderle più fluide ai fini della pista da ballo (basti guardare alla dedizione alla causa del remix di Mariah Carey, che nei primi anni 90 trasformava di sana pianta le proprie languide ballate in fantastiche epopee gospel-house). Il lavoro di Benitez e Kevorkian è dunque un semplicissimo remissaggio che allunga le tracce senza alcun colpo di scena, senza sostanziali aggiunte di parti strumentali e senza nemmeno uno di quegli estatici crescendo tipici di personaggi del mondo house come Frankie Knuckles e Larry Levan. Un ascolto forse anche piacevole per via dei nomi coinvolti, ma sostanzialmente inutile e pure un po' frustrante.

All'insuccesso generale di Touch Dance contribuisce pure la scelta dei pezzi prescelti, che sono nell'ordine: "The First Cut", "Cool Blue", "Paint A Rumor" e "Regrets" (con i primi tre riproposti poi in versione strumentale). Insomma, con nemmeno uno dei famosissimi singoli del disco originale presenti in scaletta, il progetto manca da subito del traino necessario per incuriosire il grande pubblico - l'album toccherà appena fuori dalla Top 30 in Uk e mancherà del tutto la Top 100 in America. Touch Dance rimane dunque un episodio dimenticato un po' da tutti (Eurythmics per primi); l'idea sarebbe stata anche buona in teoria, ma i disaccordi tra le parti e la poca fantasia nell'esecuzione ne fanno un feticcio riservato a pochi amatori e collezionisti del genere. E dire che solo tre anni più tardi la stessa Madonna metterà a segno uno dei remix-album più venduti della storia con "You Can Dance", mentre nell'88 saranno gli inglesissimi Pet Shop Boys a dare alle stampe il più insindacabilmente bello di tutti i tempi: "Introspective".

L'ultimo bastione elettronico

1984220x270Dicevamo che il music business è anche competizione? Eccone una diretta riprova: nel 1984 entra in contropiede pure la Virgin del mogul Richard Branson, che chiede agli Eurythmics di curare le musiche per un film che ha in produzione - un progetto sensibilmente diverso dunque, ma probabilmente proposto con la speranza di poterli poi soffiare alla Rca e inserirli nel proprio catalogo. Annie e Dave accettano subito l'offerta, i soldi non sono pochi ma soprattutto il film in questione è "Nineteen Eighty-Four", in lavorazione sotto la regia di Michael Radford. Trattasi di un noto dramma basato sul distopico racconto di George Orwell dallo stesso titolo, ambientato in un futuro totalitario da incubo dove si espone la teorizzazione del famoso "grande fratello": tutti temi che ben si adattano alle rigide atmosfere elettroniche degli Eurythmics. Come si fa a dire di no?
Per calarsi al meglio nell'opera, Annie e Dave a questo giro si ritirano in studio per giornate intere e lavorano esclusivamente in coppia, componendo e suonando tutti da soli. L'adattamento su pellicola ovviamente mostra i pezzi in versione edita per favorire la visione, ma su disco il risultato del lavoro viene raccolto in 1984 (For The Love Of Big Brother), un alienante e caleidoscopico magma sintetico di otto tracce condito da percussività tribali e la gelida vocalità della Lennox. Ci sono solo due canzoni propriamente pop tipiche del duo; l'ossimoronica "Sexcrime (Nineteen Eighty-Four)" è un pimpante momento di synth-pop in hi-tech con la voce filtrata al vocoder (estratto come primo singolo dal progetto otterrà pure un gran successo in tutta Europa e in Australia, mentre in Uk diventa addirittura il sesto singolo consecutivo della band a entrare in Top 10). Davvero splendida poi la delicata ballata "Julia" - il personaggio femminile del film - una melodia d'altri tempi che si snoda su soffici strati elettronici e un calibratissimo lavoro nel trattamento vocale a rendere il tutto malinconicamente etereo.
Su resto invece si trovano paesaggi sonori di varia natura, ma sempre permeati da massicce dosi di synth. Si sentono i concitati vocalizzi di Annie sull'introduttiva "I Did It Just The Same" e l'incalzante "Doubleplusgood", mentre "For The Love Of Big Brother" aggiunge gli arpeggi di un sitar campionato, e l'incedere marziale di "Ministry Of Love" si arricchisce di cori di voci africane (sempre tutti incisi dalla Lennox).
L'umbratile ambient tratteggiata da pochissimi filamenti di sintetizzatore di "Winston's Diary", pur nella sua brevità, accenna un tema che sembra ispirato a Vangelis, mentre la bellissima base di "Greetings From A Dead Man", con quei synth perlacei ad accompagnare un andamento da cavalleria, sarebbe anche potuta diventare un'ottima canzone per un disco di inediti. A chiudere il tutto arriva "Room 101" (che nel film è la stanza dove si annida il peggior incubo di ognuno di noi), con organo e ritmo squadrato a disegnare lo squarcio di un futuro svuotato di ogni emozione umana e permeato da un'aura fredda e distaccata, come da finale del film.

Rimane comunque una grossa diatriba ad accompagnare il progetto, che balza alle cronache del periodo; Dave e Annie non erano stati informati, ma Radford aveva già commissionato le musiche per il proprio film e si dirà insoddisfatto del loro lavoro (che gli verrà comunque imposto dalla Virgin). Pertanto il film si trova oggi in due versioni, quella originale con le musiche degli Eurythmics e il "Director's Cut" con lo score orchestrale.
Un album oggi dimenticato dal grande pubblico e spesso ignorato anche da parte della critica in quanto formalmente si tratta di una colonna sonora, 1984 (For The Love Of Big Brother) è invece un ascolto a suo modo davvero affascinante, che illustra la capacità del duo di saper creare atmosfere suggestive e particolari anche al di fuori del formato-canzone, ma senza con questo snaturare la propria nitida firma - il che non è davvero niente male per una band famosa in tutto il mondo colta nel pieno del consenso popolare. Col senno di poi, si può considerare questo disco come il momento conclusivo del periodo elettronico degli Eurythmics, un modo più che decente per chiudere il primo lustro di carriera seduti al synth e iniziarne uno nuovo con la chitarra in braccio.

Una band da singoli?

wetooareone220x270Chitarre ruggenti, fiati infuocati e andamento blueseggiante da dive bar con un'energica sezione di basso e batteria in grande spolvero: e questi adesso chi sono? Sono sempre gli Eurythmics, che col nuovo singolo "Would I Lie To You?" puntano diretti alla famigerata svolta americana che sarà molto ben accetta dalla Rca (che nel caso non si fosse capito, è tra le case discografiche statunitensi più antiche e influenti di sempre). Un salto davvero inaspettato, insomma, ma dopo le svisate sintetiche dei mesi passati Annie e Dave adesso sembrano intenzionati a voler fare nuovamente parte di una rock band a tutti gli effetti come ai tempi dei Tourists - solo stavolta impongono canzoni di finissima fattura pop e una produzione comunque sempre molto elegante. L'interpretazione di Annie Lennox su questo pezzo è superlativa: mostra un incredibile controllo vocale mentre si arrampica su vertiginose scogliere soul senza mai strafare nell'urlo fine a se stesso, e mantiene intatta una pronuncia perfetta - a tutt'oggi nel mondo anglosassone del blue-eyed soul è Annie l'unica vera erede di Dusty Springfield, una di quelle rarissime vocalist capaci di "modificare" il proprio timbro a piacimento e far sembrare il tutto così terribilmente facile. In America "Would I Lie To You?" entra di filato in Top 10, con quella zazzera ossigenata e cappotto di pelle con borchie sfoggiato nel video Annie non sarà forse afroamericana come tutti credevano agli inizi, ma una simile voce le vale tutto il rispetto a prescindere.
Sempre di questi tempi Dave Stewart è pure impegnato alla co-produzione di "Southern Accent" di Tom Petty & The Heartbreaks, e co-firma con Tom pure un paio di brani tra cui la hit "Don't Come Around Here No More" (se guardate il video - ispirato al racconto di "Alice nel paese delle meraviglie" -, il tipo occhialuto col sitar seduto sul fungo gigante è proprio Dave). Insomma, siamo di fronte a una vera e propria allucinazione a stelle e strisce.

Il pezzo della nuova svolta va fortissimo un po' ovunque, ma in una madrepatria ancora sedotta dal synth-pop di "Sexcrime" il nuovo singolo viene ricevuto con meno entusiasmo rispetto alla trafila di hit in Top 10 dei dischi precedenti (si fermerà al n.17). Un dato apparentemente insignificante, ma che illustra il complicato rapporto degli inglesi nei confronti del famigerato sogno americano. Ogni britannico che ama definirsi tale avrà sempre parole di scherno nei confronti delle ex-colonie e di chiunque in quache modo ne subisce il fascino megalomane e "grossolano" - lo scoprirà meglio l'inglesissima Joss Stone molti anni più tardi, quando in Uk si giocherà la reputazione dopo la sua presunta "americanizzazione". Eppure, nel momento in cui gli Stati Uniti aprono le proprie porte, non sono poi tanti quelli che sanno resistere alla tentazione di fare il cosiddetto salto di popolarità - la stampa anglosassone si crogiola nell'idea di una Second British Invasion, mentre in diplomazia si parla spesso di Special Relationship tra i poteri forti inglesi e quelli americani, una pratica che viene riforgiata con ogni nuova elezione di una delle due parti (celebre quella del 2001 tra Tony Blair e George W. Bush). Non mancheranno quindi acide critiche rivolte verso gli Eurythmics nei confronti di questa svolta, ma Dave e Annie vanno avanti spediti per la propria strada, vogliosi solo di seguire una penna che al momento è stata sedotta dal rhythm'n'blues e dal rock'n'roll.

E le atmosfere a stelle e strisce sono ancor più presenti su "Sisters Are Doin' It For Themselves", altro singolo di gran successo che viene originariamente pensato come duetto con la sopravvissuta Tina Turner, ma quest'ultima non sarà disponibile a prendere parte ai lavori (alcune voci di corridoio riportano una versione diversa dei fatti: Tina in realtà non ha alcun interesse a duettare con una coppia di "pallidi anglosassoni"). Poco male, c'è pur sempre la Queen of Soul per eccellenza Aretha Franklin pronta a rientrare in pista, e il duetto tra lei e Annie dà vita a un motivetto orecchiabile ai limiti del parossistico e un testo dai blandi toni femministi un tanto al chilo (la signora Lennox in futuro saprà fornire esempi di orgoglio di donna di ben altra caratura, sia lirica che interpretativa).
Va molto meglio con "There Must Be An Angel (Playing With My Heart)", altro singolo di enorme successo e una delle "firme" del duo, con quel famosissimo giro di armonica suonato dal Maestro Stevie Wonder e un motivetto a prova di bomba che non vale nemmeno la pena stare a descrivere dal momento che la conoscono pure i sassi - sarà pure il loro unico n.1 in classifica in Inghilterra, una bella rivincita per il duo proprio nel momento del famigerato "tradimento". Ma anche "It's Alright (Baby's Coming Back)" diventa presto un motivo riconoscibile da tutti, con la voce della Lennox sempre slanciata a tutto soul come una diva degli anni 60 piovuta per caso negli anni 80.

Be Yourself Tonight (1985) è il disco del cambio di rotta, insomma. Pezzi come "I Love You Like A Ball And Chain" e "Here Comes That Sinking Feeling" mostrano ancora quella vena ironico/depressiva tutta anglosassone nella stesura delle liriche, ma la musica stavolta è un pop-rock schietto e diretto con fiati e chitarre in primissimo piano, congegnato al dettaglio per le radio di tutto il pianeta. Sull'elegante melodia di "Adrian" c'è pure Elvis Costello ai cori (altro britannico notoriamente sedotto dal sogno americano), mentre per "Better To Have Lost In Love (Than To Never Have Loved At All)" l'atmosfera si fa tristemente suadente, ma la sezione ritmica non cede comunque. A guardare al passato rimane dunque solo "Conditioned Soul", pezzo con una di quelle melodie dall'andazzo ripetitivo tipiche dei vecchi dischi ma che viene comunque corredato da stralci di chitarre e un delicato intermezzo di marimba - uno dei pochi momenti di respiro in un disco dai ritmi spinti e i ritornelli sempre in primo piano.
Tra gli album d'inediti di studio Be Yourself Tonight è il bestseller della band, un album immensamente popolare che riforgia l'immagine del duo da sofisticati nerd sintetici a popstar milionarie e volti-simbolo dei luccicati anni 80. E come ascolto distratto sicuramente funziona senza problemi, la costruzione dei pezzi è spesso da manuale. Indubbiamente però, con questo disco se ne va pure via molta di quella patina cross-culturale che aveva fatto degli Eurythmics un "caso" non solo da classifica ma anche da ascolto per l'orecchio più esigente - se gran parte della critica rock a tutt'oggi concede agli Eurythmics poco altro al di fuori dei soliti "ottimi singoli" e della "bella voce" di Annie Lennox, il motivo è proprio la svolta radiofonica di Be Yourself Tonight e la lampante trasformazione da sperimentatori a "semplici" hit-maker.

live220x270Purtroppo Be Yourself Tonight non può essere portato in tour per via di alcuni problemi alla voce di Annie, che in effetti non si è mai veramente fermata da un decennio buono e il dottore le ha imposto un forzato riposo per non danneggiare del tutto le corde vocali (si può solo immaginare quale altro successo avrebbe potuto offrire al disco il supporto di un tour mondiale). Così il duo rientra subito in studio su suggerimento della Rca e appena un anno dopo torna all'attacco delle classifiche mondiali con Revenge (1986). La nuova quaterna di singoli estratti avanza peggio di un carro-armato; "Missionary Man" è nuovamente una schitarrata blues grezza ed energica ma sempre condotta con stile - netto contrasto col video allegato, nel quale una serie di effetti speciali (ai tempi sofisticatissimi) letteralmente "costruiscono" il corpo della Lennox dalle scorie del peccato originale biblico. Ma con "Thorn In My Side" e "When Tomorrow Comes" gli Eurythmics sfiorano direttamente il pantheon del Pop d'Autore stile ABBA e Beach Boys; la prima mostra un memorabile incastro di sax tanto caro agli anni 80 e un andamento dove la strofa e l'intermezzo sono incivisivi tanto quanto il ritornello, mentre la seconda viaggia su un semplicissimo ma magico giro di accordi insostenibilmente emotivo, con la Lennox che entra in contropiede nella strofa e intona uno di quei motivi che davvero non invecchiano mai.
E poi c'è "The Miracle Of Love", meravigliosa ballata lanciata contro un muro di orchestra e chitarre effettate in aria proto-shoegaze - di diritto tra le canzoni più belle mai incise dal duo. Niente da dire fin qui, gli Eurythmics si saranno costruiti la fama di bizzarri e visionari sperimentatori in passato, ma sanno anche scrivere delle ineccepibili canzoni Pop da manuale.

Sul resto di Revenge però si trova anche tanta ordinaria amministrazione di pop radiofonico senz'arte né parte, che purtroppo è spesso la norma per chi costruisce un long playing ma ambisce piuttosto alla creazione della perfetta pop song - cosa ancor più vistosa nel momento in cui tutti i pezzi forti vengono concentrati tutti sul lato A, lasciando il B un po' in disparte. Così all'energica ma vuota "Let's Go!" segue un pezzo che sa di jam session come "Take Your Pain Away" o un motivetto kitsch e quasi natalizio quale "A Little Of You", o anche l'ennesimo momento da sordido e sudaticcio dive bar "In This Town". Solo il finale nostalgico di "I Remember You", con sezione d'archi, rende vagamente un'idea dei bei tempi che furono.
Con Revenge, insomma, non si può proprio non pensare agli Euryhtmics come a una band da singoli, e le vendite del disco nel complesso infatti non raggiungono quelle del precedente lavoro - forse complice anche un pubblico ormai un po' saturo della loro presenza nonostante i continui trasformismi della Lennox. C'è comunque tempo per un tour mondiale, che porta il canzoniere del duo a spasso per il globo, registrando un gran successo. Siamo nel pieno degli anni 80, gli anni dei concertoni e delle folle oceaniche, del Live Aid e del rock da stadio degli U2, dei Guns N' Roses e dei Bon Jovi, e se su disco gli Eurythmics sono forse troppo pop per le platee del rock, dal vivo la band suona compatta e aggressiva, la Lennox ha una voce e una presenza scenica che nulla hanno da invidiare ai colleghi maschi, e i loro show sono una garanzia che aiuta a cementare il nome della band tra i grandi protagonisti degli anni 80.
Certo, dal punto di vista della discografia gli Eurythmics adesso potrebbero quasi fare la fine dei colleghi Culture Club, altra band pluri-platinata che dopo due dischi da urlo ha perso l'ispirazione tra lo stress della fama e i problemi di droga di Boy George. Ma Annie e Dave hanno ben altra tempra.

Can you feel the shame?

Immaginatevi un po' la sorpresa del pubblico quando - nel piovoso ottobre del 1987 - gli Eurythmics si ripresentano con questa roba qui:


Più che una canzone, uno psicodramma musicato con tutti gli effetti sonori e visivi necessari per una resa di massimo effetto: la base elettronica fredda e distaccata, l'ostinato vocale che s'insinua in testa come un pensiero malato e la magnetica presenza della Lennox che si muove di fronte alla telecamera con la disinvoltura di un'attrice professionista, mentre mette in scena l'atto di follia di una casalinga dalla personalità bipolare che sta pianificando il proprio suicidio - vuole strozzarsi con una costosa sciarpina di seta! Un tema nero come la morte, dunque, ma anche uno dei più spiazzanti, originali e affascinanti ritratti di una psiche turbata mai messi a verbale in una canzone pop.

Al ritorno dall'estenuante "Revenge Tour" gli Eurythmics si sono ridotti all'ombra di loro stessi e dopo tutti quei mesi passati on the road non si possono neanche più guardare in faccia; Annie è in preda a un (altro) esaurimento nervoso dopo aver dato tutta se stessa sul palco di fronte a migliaia di persone serata dopo serata, mentre Dave non solo è a pezzi ma deve pure trovare il tempo per sposarsi con l'ormai ex-Bananarama Siobhan Fahey, che lo sta aspettando a casa con le mani piantate sui fianchi. Così le strade si dividono, Annie se ne torna a casa ad Aberdeen e Dave - una volta svolti gli oneri di bravo marito - se ne scappa in Francia (luogo a lui molto caro, come vedremo in futuro durante la prima parte della sua carriera solista). Ed è qui, nella quiete di un casolare di campagna, che Dave torna alle origini di fervido e curioso sperimentatore digitale e butta giù le basi di quello che sarà il nuovo miracoloso disco di studio degli Eurythmics: Savage (1987).
Ancora una volta, al centro della questione troviamo un macchinario all'avanguardia: un sofisticato Synclavier per la precisione, che Dave ha comprato da Buffy Sainte-Marie e sta imparando a programmare con l'aiuto dell'amico e collega Olle Romo. Trattasi di un maxi-sintetizzatore capace di registrare e processare centinaia di suoni, basta solo avere la pazienza di passare le giornate a cancellare tutti quei circuiti sui quali è ancora presente la voce della Sainte-Marie. Ma tra oscillatori, tastiera, bottoni, casse e cavi, lo strumento è anche talmente ingombrante che occupa tutta una stanza e non c'è praticamente posto per ospitare manco un tamburello - il che funziona una meraviglia dal momento che Annie è in esilio dall'altra parte dell'Europa. Dave lavora da solo, incide tutto su una cassetta - sì, avete letto bene, una cassetta - e poi la spedisce ad Annie. Questa dapprima non si capacita della stranezza di certi passaggi e della freddezza di alcuni suoni particolarmente duri, e si dice poco entusiasta del lavoro. Ma presto le parole le verranno fuori come un torrente in piena, e una volta atterrata a Parigi agli studi Grand Armée contribuisce alla stesura di una serie di canzoni tra le più intime, opprimenti, emotive e aggressive mai incise dagli Eurythmics. Savage è un disco veramente selvaggio e pieno di spigoli - del resto è nato per corrispondenza, ma la folie à deux che affligge i suoi due autori li aiuta a comunicare anche attraverso delle registrazioni su una cassetta, due anime che interpretano i reciproci sentimenti più oscuri in maniera quasi telepatica.

L'avanzare spedito di "I've Got A Lover (Back In Japan)" dà vita a una marcetta synth-pop tersa e lucente con le chitarre che danno l'accento nel break del ritornello, mentre Annie racconta di svariate relazioni sparse per il mondo, che stanno però a significare chissà quali altre oscure allusioni personali:
I was bitter when I met you
I was eloquent with rage
Like honey from a poisoned cup
I flowed from stage to stage
Ma questo è nulla se confrontato alle liriche di "Do You Want To Break Up?", che sostanzialmente richiedono la fine di una relazione tramite un demente motivetto da pubblicità di detersivi come la più beffarda delle prese per i fondelli - l'accompagnamento ritmico ideato da Dave non proviene da una drum machine: trattasi della registrazione riprocessata al Synclavier di lui e l'amico Conny Plank che percuotono dei bamboo in una foresta durante un viaggio in Giappone. Ma c'è anche spazio per "You Have Placed A Chill In My Heart", bellissimo e piuttosto fortunato singolo che ricalca le canzoni pop del passato prossimo, snodandosi su una melodia di cristallo e un arrangiamento semplicissimo ma molto d'effetto.
Il corpo centrale di Savage propone due veri pezzi da novanta; "Shame" è scintillante come argento al sole, un fiore elettronico intriso di maliconia e risentimento che sboccia frase dopo frase su un'emozionante progressione di accordi. Le maestose chitarre effettate di elettronica di "Savage" hanno invece il compito di dipingere il più bel sorgere del sole mai visto e fare da netto contrasto al tramonto delle liriche che ancora una volta danno modo ad Annie di espletare al meglio tutte le frustrazioni e dolori inespressi che si porta dentro.

savagebeauty220x270Da qui in poi Savage è un pullulare di trovate e sonorità delle più disparate e idiosincratiche, che lo rendono indubbiamente il disco più eclettico e controverso in catalogo; divertente, fracassone e sguaiatissimo, "I Need A Man" è il vero inno femminista di Annie Lennox, lontano anni luce dai soliti buonismi e intriso di un'ironia e un'emancipazione che la fanno davvero padrona di sé (vedasi anche l'esoso clip di accompagnamento, dove il biondissimo alter-ego della casalinga disperata del video postato poco sopra si dona senza pudore alla telecamera col fare di una Diva pazza e inebriata). Con "Put The Blame On Me" siamo di fronte a un synth-funk alla Prince e un'interpretazione alla Grace Jones, l'impalpabile sintetismo di "Heaven" è avvolto da una nube lisergica e sostenuto dallo zampettare in punta di piedi delle tastiere che richiamano i Pet Shop Boys di "West End Girls", e "Wide Eyed Girl" è un altro momento di electro-funk a presa rapida, con interpretazione aggressiva e sezione ritmica sintetica bella roboante.
Il finale del disco è tutto un programma: totalmente dal nulla ecco spuntare "I Need You", bozzetto acustico voce/chitarra registrato in presa diretta con tutti i rumori e le voci in sottofondo ancora ben udibili, un vero e proprio demo che fa dell'atmosfera lo-fi il suo punto di forza proprio perché gli Eurythmics sono maestri dello studio e hanno sempre dato alle stampe produzioni sonicamente impeccabili - all'interno di un disco sofisticato come Savage poi, il pezzo risalta subito nella sua disarmante semplicità. "Brand New Day" dà il colpo di grazia tramite un gospel a cappella che presto viene spazzolato da calde ventate di tastiere alla Yellow Magic Orchestra e l'entrata della base ritmica ad accompagnarne la coda, la perfetta chiusura a sorpresa di un disco tanto strampalato quanto capace di catturare l'ascoltatore più curioso ed esigente pezzo dopo pezzo.

Ma Savage non è il colpo di testa da parte di due esose popstar milionarie, quanto piuttosto il lavoro di due abili musicisti che non hanno perso il senso di urgenza comunicativa e soprattutto hanno ancora il coraggio di dirlo a proprio modo. Rispetto ai precedenti album, il nuovo disco non venderà molto ovviamente e soprattutto non sarà neanche accompagnato da una tournée, dal momento che le sue atmosfere sono difficilmente replicabili sul palco. Ma gli Eurythmics hanno un'altra idea per dare corpo al proprio lavoro e richiamano a corte un'allora sconosciuta aspirante regista di nome Sophie Muller (che per loro aveva già lavorato ai tempi dello scomparso video di "The Walk" nell'82). Assieme alla magnetica presenza della Lennox, sempre prontissima di fronte alla telecamera, Sophie trasforma Savage in un visual album nel quale ogni pezzo viene descritto da un filmato semplice ma d'effetto, tra cambi di personalità e mini-storie interconnesse tra di loro (come le vicende della biondissima Diva che viene anche raffigurata nella bellissima foto di copertina). A tutt'oggi l'intero visual album non è mai stato ristampato ufficialmente e si trova solo su videocassetta, ma grazie a quest'avventura Sophie Muller si conquista una candidatura ai Grammys dell'88 e per lei inizia ufficialmente quella che ancora oggi rimane come la più stellare delle carriere nel campo del videoclip musicale - la lista dei suoi lavori è davvero impressionante.
In versione audio, Savage rimane uno dei lavori più spigolosi, particolari e affascinanti degli Eurythmics, un disco che ancora oggi spacca gli ascoltatori in due per quel suo posizionarsi fuori sia dagli schemi tipici del duo che da quelli del panorama di metà anni 80. Per chi vi scrive si tratta di uno dei più belli, ma anche Dave Stewart e Annie Lennox lo considerano tutt'oggi come il loro lavoro più riuscito e quello del quale vanno più fieri.

E dirsi ciao...

we220x270Bagno di chitarre blues-rock miste a un andamento da new jack swing e classico videoclip di fine anni 80 girato in studio con un sacco di comparse coreografate come un film: è "Revival", nuovo singolo che nell'agosto 1989 inaugura il ritorno sulle scene degli Eurythmics più radiofonici e rockeggianti. Non un grandissimo pezzo, va detto, per quanto sempre eseguito con lo stile energico e allo stesso tempo controllato tipico del duo. L'altro singolo pop-rock "Angel" presenta una bellissima strofa con la Lennox che racconta di un suicidio (canzone dedicata a sua zia), ma il corale ritornello da stadio ne smorza un po' l'emotività, lasciando un vago amaro bocca. Molto meglio l'altro bagno di chitarre effettate di "(My My) Baby's Gonna Cry", che indica le sonorità che andranno a comporre il primo disco solista di Dave Stewart che seguirà pochissimi mesi più tardi assieme alla sua nuova band, The Spiritual Cowboys. Siamo giunti agli sgoccioli insomma, e "The King And Queen Of America" è il penultimo memorabile singolo di casa Eurythmics, che parte in quarta con un'ingombrante introduzione da musical e invece si costruisce al meglio su un'instancabile interpretazione della Lennox che riflette sulla lunga, travagliata e fortunata storia artistica del duo.

Non a caso Annie e Dave lo chiamano We Too Are One (1989), titolo che vuol mettere in chiaro la loro inscindibile simbiosi artistica anche a fronte di un addio, e lo infarciscono di quasi tutto quello che ha fatto la fortuna del marchio Eurythmics nel corso di un decennio di carriera mozzafiato. La traccia che dà il titolo al disco, infatti, è un altro blues da bar con armonica a bocca e ritmo sciancato, "You Hurt Me (And I Hate You)" ricalca il solito impianto basso/chitarra/batteria per dare alla Lennox modo di sfogare tutta la frustrazione di un amore andato a puttane, e la sua interpretazione vocale è sublime anche a fronte di un ritornello non proprio ispirato. Il suono di una drum machine arriva a condire l'andazzo di "How Long", altro pezzo dal regolare impianto pop-rock ideato per farsi cantare in coro dalle platee durante i loro concerti. Del tutto particolare invece la splendida ballata "Sylvia", pezzo dove l'assenza di sezione ritmica lascia al solo tratteggio delle tastiere il compito di portare avanti una melodia barocca che non sarebbe sfigurata nel canzoniere della coppia Lennon/McCartney (curiosità del periodo: sempre nel 1989 la "rivale" Madonna manda alle stampe un pezzo curiosamente giocato sui simili toni, "Dear Jessie"). Il gran finale di "When The Day Goes Down" è il tramonto in riva al mare, lentazzo con chitarre in lacrime ed enfasi ritmico/interpretativa ideata per dare il colpo di grazia e chiudere il sipario con eleganza, baci e abbracci.
Otto album in nove anni, una carriera partita dalla new wave e dal synth-pop e approdata sull'r&b, sul rock e sul blues, infilando diversi album di pregio e una mitragliata di singoli che li consegna alla Storia come una delle coppie musicali di più gran successo del Regno Unito. Annie Lennox e Dave Stewart ne hanno passate fin troppe assieme, è giunto il momento di mollare le redini e dedicarsi alle rispettive carriere soliste - e lo fanno di comune accordo, in maniera più che dignitosa e ricordando al mondo intero: We Too Are One.

Ma gli Eurythmics non sarebbero gli Eurythmics se lasciassero le cose come stanno, l'ambiguità della loro relazione personale deve comunque dare l'ultima zampata di dubbio e amarezza per lasciare l'ascoltatore sulle spine a domandarsi come mai a volte la vita è così crudele. C'è una Lennox vestita di paillettes che piroetta con nonchalance sul palco di un jazz club, la band sta compostamente seduta ad aspettarla, Dave l'accompagna alla chitarra mentre la osserva in cagnesco; "non chiedermi perché non ti amo più" implora lei tramite un'interpretazione di scintillante cattiveria mascherata da rassegnazione, mentre scivola via tra l'andante scorrevole delle strofe e del ritornello montate con la grazia di un Burt Bacharach e arricchite da una serie di piccoli ma fondamentali accorgimenti - l'uso della doppia voce sulla parola "why" a creare un'eco insostenibilmente emotivo, Dave che nel ponte accarezza la sei corde con la struggente delicatezza di un Mark Knopfler. Più che una semplice canzone pop, si tratta di un momento di vita vissuta catturato con rara lucidità e tradotto in quattro minuti e mezzo di musica. Non è mai facile né tantomeno corretto stabilire con certezza assoluta quale sia "il più bel pezzo di una band", ma nel caso degli Euryhtmics la genuina ispirazione, la perfezione formale e il languore emotivo tipici del loro songwriting confluiscono come un fiume in piena tra i solchi di questo raro e prezioso momento chiamato "Don't Ask Me Why":

Miracle of miracles
Look what the night dragged in
It's a pocket full of misery
And trouble on the wind
You spoiled the best years
Of your life
You took them all in vain
Now you think that you're forgiven
But you can't be born again

And you say
Why?
You say why?
You say why?
Don't ask me why

I don't love you anymore
I don't think I ever did
And if you ever had
Any kind of love for me
You kept it all so well hid

Promises sweet promises
You kept them from your mind
Like all the lost forgotten things
You never seemed to find
Like all the disappointments
You displayed upon your shelf
Now you've got no one to turn to
You've got no-one but yourself

And you say
Why?
You say why?
You say why?
Don't ask me why

I don't love you anymore
I don't think I ever did
And if you ever had
Any kind of love for me
You kept it all so well hid

You spoiled the best years
Of your life
You took them all in vain
Now you think that you're forgiven
But you can't be born again

And you say
You say
I don't love you anymore
I don't love you anymore
I don't love you anymore
I don't love you anymore

You say why?
Don't ask me why

Revival


Per la fine del "Revival Tour" nel 1991 il prolifico Dave Stewart ha già inciso due (ottimi) album con i suoi Spiritual Cowboys, mentre con la bella sassofonista Candy Dulfer ha ottenuto un enorme successo in Europa e in America grazie a un pezzo strumentale come "Lily Was Here", uno dei più celebri "temi erotici" del periodo, originariamente inserito nella colonna sonora del film olandese "The Cashier".
ll marchio Eurythmics, invece, si concede il lusso di dare alle stampe sempre nel 1991 un celebre Greatest Hits di diciotto brani (nell'edizione europea) senza nemmeno un inedito a fare da traino, tanta è la quantità e qualità di materiale che hanno a disposizione (viene piuttosto rimandato in stampa il vecchio singolo "Love Is A Stranger"). Purtroppo nella lista manca in toto il periodo di In The Garden, che pure sarebbe stato fondamentale per dare un'idea della varietà del loro stile alle origni della band, ma il duo riesce comunque a inserire il singolo "Sexcrime (Nineteen Eighty-Four)" dal catalogo Virgin, e anche se ovviamente sul resto della produzione Rca può mancare qualcosa a seconda dei gusti, la trafila di singoli che viene messa in scaletta è impressionante e il risultato sarà un successo strepitoso in quasi tutto il mondo, con dieci settimane di permanenza in vetta alla classifica in Uk e uno smercio di oltre sei milioni di copie in tutto il mondo - a tutt'oggi il disco rimane il loro bestseller assoluto, nonché il momento in cui gli Eurythmics diventano ufficialmente parte della storia del tessuto musicale inglese, alla faccia degli anni 90 che dovrebbero spazzare via ogni rimasuglio di lustrini e spalline del decennio precedente.
Ma non va male nemmeno il Live 1983-1989 (1993), un doppio cd che mette in fila in ordine cronologico le esibizioni dei loro pezzi più famosi registrate attorno ai tempi della pubblicazione degli stessi, per ricreare quell'idea di "era" tra un album e l'altro - e dal vivo la band se la cava sempre molto bene. Esiste in commercio pure una golosa versione deluxe del Live 1983-1989, che aggiunge un terzo di cd di sei tracce registrate al Palazzo dello Sport di Roma il 27 ottobre 1989.

peace220x270Ma per il resto degli anni 90 le strade di Annie e Dave viaggiano su binari paralleli; lui darà vita a una serie di progetti più disparati (e otterrà un altro piccolo successo nel 1994 col singolo "Heart Of Stone"), mentre lei raggiungerà nuove vette di popolarità con due album di studio, lo splendido "Diva" (1992) e la raccolta di cover "Medusa" (1995).
Ma verso la seconda metà del decennio arriva un inaspettato omaggio tramite il costante airplay di Mtv: Marylin Manson ha realizzato una popolarissima cover di "Sweet Dreams (Are Made Of This)", e il video allegato salta alle cronache come uno dei clip horror più marci e paurosi mai realizzati in musica, un feticcio capace di stregare milioni di fan in giro per il mondo e lanciare la carriera del Reverendo verso lo stardom.
Sarà forse anche per via di questa inusitata spinta che gli Eurythmics decidono di rientrare in pista con Peace (1999) e si presentano con un singolo di lancio davvero di tutto rispetto: "I Saved The World Today" è una delicata bossa nova con ricchi e vellutati arrangiamenti orchestrali e una melodia di puro Pop come solo loro ormai possono tirare fuori dal cappello così fuori tempo massimo. Per quanto ovviamente questi due ultraquarantenni non facciano più sfracelli in classifica, il pezzo viene ben ricevuto un po' ovunque, e in Uk conquista il n.11 della Chart. Con "Seventeen Again" si torna dalle parti di un terso pop-rock da effetto-nostalgia e un testo che richiama gli anni della gioventù e delle prime scorribande, ed è questo il tono che si respira sul resto di Peace: un disco elegante e maturo, a tratti sicuramente un po' vetusto e troppo rassicurante, ma interpretato, suonato e arrangiato con la solita classe di sempre. Curioso notare anche che esattamente nello stesso anno si ripresentano in piazza pure gli altri redivivi figli degli anni 80 Culture Club con un nuovo disco di inediti - "Don't Mind If I Do" - e messi a confronto i due lavori, in effetti, si accomunano non poco per l'atmosfera matura e ripulita che li pervade.

Certamente lo schietto pop-rock di "Power To The Meek" e la ballatona soft-rock "Peace Is Just A World" danno una chiara indicazione della nuova virata da militanti delle cause benefiche che sia Annie che Dave hanno ormai intrapreso a tempo più o meno pieno, e bisogna ammettere che nel mezzo ai nuovi messaggi di pace se ne va un po' di quel fascino che aveva reso la loro musica così elettrica anche nei momenti più calcolatamente radiofonici. Le altre interpretazioni da mamma accorata di "Anything But Strong" e "My True Love", la dolcezza semi-acustica di "Beautiful Child" e un davvero evitabile momentaccio di rock come "I Want It All" mostrano sia la stoffa che i limiti di questi due veterani del Pop che non hanno più niente da provare a nessuno, ma che allo stesso tempo potrebbero anche fare molto di più.
Ci sono comunque pezzi quali "I've Tried Everything", che nel suo melodramma mostra una Lennox nel pieno della sua miglior vocalità, e quella "Forever" dall'epico giro melodico talmente anni 70 da far affiorare alla mente contemporaneamente sia David Bowie che Elton John e i Queen. Ma anche il finalone di "Lifted" ha il suo perché, tra un ritmo al rallentatore, acciacchi di tastiere, cascate di chitarre, un assolo di flauto e lunghi strascichi corali. Ma sono solo piccoli sprazzi, riascoltato oggi Peace ci appare piuttosto come un modo coerente ma non proprio memorabile per gli Eurythmics di dire davvero addio alle scene (almeno nel momento in cui si scrive).
Da qui in poi i due si presenteranno assieme per qualche premiazione o celebrazione del proprio passato, e nel 2005 tramite Sony Bmg l'intero vecchio catalogo Rca - quindi tutti i dischi di studio escluso 1984 (For The Love Of Big Brother) - viene ristampato in versione deluxe con B-side allegate e libretti zeppi di foto, credits originali, aneddoti e curiosità assortite (fonti ampiamente consultate per realizzare questo scritto).

Con le diciannove tracce della Ultimate Collection (2005) si chiude dunque la storia degli Eurythmics, altra raccolta che rimette in fila tutti i principali successi del duo, aggiungendo però due singoli di Peace e un paio di inediti. Tra questi ultimi risalta comuque l'ibrido pop elettronico di "I've Got A Life", sorta di conclusione appassionata e non scontata per due piccoli grandi eroi del Pop anglosassone degli ultimi quarant'anni.

Eurythmics

Discografia

THE CATCH
Borderline (7", Logo, 1977)
THE TOURISTS
The Tourists (Logo, 1979)
Reality Effect (Logo, 1979)
Luminous Basement (Rca, 1980)
Greatest Hits (raccolta, Epic, 1997)
EURYTHMICS
In The Garden (Rca, 1981)
Sweet Dreams (Are Made Of This) (Rca, 1983)
Touch (Rca, 1983)
Touch Dance (remix album, Rca, 1984)
1984 (For The Love Of Big Brother (Virgin, 1984)
Be Yourself Tonight (Rca, 1985)
Revenge (Rca, 1986)
Savage (Rca, 1987)
We Too Are One(Rca, 1989)
Greatest Hits(raccolta, Rca, 1991)
Live 1983-1989 (disco dal vivo, Rca, 1993)
Peace (Rca, 1999)
Ultimate Collection (raccolta, Rca, 2005)
Boxed (box-set, Rca, 2005)
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 THE TOURISTS
  
I Only Want To Be With You
(videoclip da Reality Effect 1979)
  
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Love Is A Stranger
(videoclip da Sweet Dreams (Are Made Of This), 1982)
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(videoclip da Touch, 1983)
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(esibizione televisiva, 1983)
Would I Lie To You?
(videoclip da Be Yourself Tonight, 1985)
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(videoclip da Revenge, 1986)
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(videoclip da Revenge, 1987)
I Need A Man
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Revival
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(videoclip da Peace, 2000)
  

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