Khruangbin

Khruangbin

Il villaggio globale psych-funk

La loro "musica della Terra" copre un vasto range di influenze, dalla psichedelia al soul passando per una world music speziata di thai funk. Ma tutto evolve continuamente nel loro flusso sonoro venato di elettronica. L'ascesa in punta di piedi del trio texano di "Pelota"

di Tommaso Carelli

This is what we do, and we’re not gonna try and go outside the box too much. We’re gonna explore the box we’re in. I’ve always been a big fan of that. Music should never be just for the sake of being experimental. Before you even start, you have to know what you’re experimenting with first!”
(Mark Speer)

A volte, per qualche strana ragione, per comprendere la cifra stilistica, il pensiero e la filosofia che stanno dietro a un intero percorso musicale basta leggere tre o quattro brevi frasi. L’idea su cui si basa il progetto composto da tre musicisti che per un’altra costrizione umana, quella anagrafica, arrivano da Houston, Texas, ma che potrebbero essere originari tanto del Sud degli Usa quanto di Bangkok o Islamabad, è semplice ma stupisce nella stessa dichiarazione, così opposta alle ormai canoniche e vuote mire espansionistiche che sentiamo ogni giorno. Esplora la scatola in cui ti trovi; prima di sperimentare con quello che è lontano da te, guarda dentro di te. E contemporaneamente, non porti limiti geografici nel farlo, prendi ispirazione ovunque, tanto dalle Antille Francesi quanto dai chitarristi di flamenco spagnoli. Sono così, i Khruangbin, fanno quello che sanno fare bene ma si fanno influenzare da tutto, contengono moltitudini avrebbe detto Whitman, per formare un contenitore fluido in grado di ammaliare, attirare e alla fine convincere, rimanendo fedeli sempre e solo a loro stessi.

Cronologicamente, il progetto Khruangbin (parola thailandese la cui traduzione migliore potrebbe essere “motore volante”, ma che nel parlato significa banalmente aeroplano) ha due momenti decisivi. Il primo avviene nel 2004 nella gospel band della chiesa metodista di St. John’s di Houston, Texas, fondata dal noto predicatore Rudy Rasmus e tuttora uno dei centri più multietnici della Chiesa americana tutta. Mark Speer è un giovane venticinquenne con gusti musicali estremamente particolari: nato come adoratore dei vari progetti nati tra gli anni 70 e 80 dal genio musicale di George Clinton, presto si innamora di quel genere tanto vago quanto affascinante denominato world music, ispirato in particolare dal mondo etnico mediorientale e incoraggiato dai lavori preziosi di gruppi come i Dead Can Dance. Suona la chitarra nel complesso della chiesa, e qui incontra Donald DJ Johnson, che in queste occasioni si diletta all’organo ma ha nella batteria il suo strumento preferito e nell’hip-hop old school degli anni 90 la sua matrice musicale.

La seconda sliding-door si manifesta sei anni dopo, nel 2010, quando Mark Speer e Laura Lee, un’amica alla quale lo stesso Mark ha insegnato a suonare il basso, vengono scelti dal versatile Yppah per suonare nel gruppo che avrebbe aperto il tour americano di Bonobo. Questa esperienza convince Mark e Laura a far decollare definitivamente il progetto Khruangbin, coinvolgendo DJ alla batteria per una formazione estremamente classica. Nonostante le differenze enormi tra i tre componenti sotto tantissimi aspetti, il risultato delle prime jam session è un suono particolare, fluido e davvero ben coeso. La band sceglie come quartier generale un vecchio fienile nella piccola cittadina di Burton, 300 anime a un centinaio di chilometri da Houston, e lì dà ufficialmente inizio all’avventura che li porterà in pochi anni a stregare buona parte dei circuiti indipendenti Usa e non solo con uno stile unico e davvero interessante.

Dopo il breve tour con Bonobo, il producer e dj britannico include la loro traccia “calf born on winter” nella sua compilation “Late Night Tales” nel 2014. La traccia è la prima a essere pubblicata in assoluto sotto il nome Khruangbin, e oltre a segnare il debutto della band nel mondo, ottiene anche un discreto successo grazie alla cassa di risonanza fornitale da Bonobo. La band è in buono stato creativo e, approfittando di questo momento favorevole, l’etichetta britannica Night Time Stories (già compagna sia di Bonobo che della serie di compilation “Late Night Tales” citata precedentemente) non si lascia scappare l'occasione per far firmare un contratto ai tre ragazzi texani.

Dopo un paio di brevi Ep pubblicati durante il 2015, i nostri sono pronti per l’esordio sulla lunga distanza. The Universe Smiles Upon You esce il 6 novembre 2015, prodotto dagli stessi Khruangbin insieme all’ingegnere del suono Steve Christiansen, anch’egli di Houston e con alle spalle già un grammy per il miglior disco folk per “Townes” di Steve Earle, anche se in un genere completamente differente. Il titolo è emblematico: il sound della band si fa largo già dalla prima traccia, “Mr. White”, e dà una chiara idea sia dell’impostazione scevra da una chiara classificazione (si possono trovare tracce di psichedelia, di world music, di etno, dello spesso citato thai funk, anche di soul, ma è tutto miscelato in un composto in cui è difficile distinguere le varie componenti) ma soprattutto del talento dei musicisti. Il groove di basso di Laura Lee è appiccicoso, coinvolgente in maniera silenziosa ma efficace, DJ è una sorta di metronomo supremo sotto forma di essere umano, una presenza misteriosa che c’è sempre in un angolo della canzone, preciso come un orologio analogico prodotto in qualche casolare delle valli svizzere, ma discreto, quasi silenzioso.
E poi la chitarra di Mark è subito sorprendente: gira a profusione come in un’eterna jam session, e ci accompagna in un loop dal quale sembra impossibile uscire. “Two Fish And An Elephant” placa gli animi e introduce qualche elemento più rassicurante, come un coro a metà della canzone, ma le peripezie da ottovolante di Mark dominano ancora, e questo genere che fino a poco prima non si era mai sentito sotto queste particolari dinamiche sembra già quasi familiare, casalingo, ci si accomoda sopra senza alcuna difficoltà.
Per trovare il primo testo cantato bisogna aspettare fino a “White Gloves”, uno dei maggiori successi della band e probabilmente vertice del disco. L’atmosfera è balneare, evoca un tramonto sulla spiaggia mentre ci vengono sussurrate frasi sconnesse su una regina che rimpiange il suo passato, mentre alcune note liquide della chitarra di Mark ammiccano alla vera regina dalla quale tutte le canzoni di questo tipo non possono prescindere, “On The Beach” di Neil Young.
Il mood malinconico dura giusto il tempo di accorgersene, perché “People Everywhere (Still Alive)” riparte con un ritmo sferzante che ci fa apprezzare entrambe le versioni dello stile Khruangbin. In queste due tracce, nel cuore del disco, risiedono i vertici creativi dell’intera produzione del 2015, talento puro, difficile da negare. Sul finale, interessante anche “Balls & Pins”, dove vengono fuori maggiormente le influenze della world music canoniche, con atmosfere che ricordano quelle di “Passion” di Peter Gabriel.

The Universe Smiles Upon You è un disco incompleto, non ancora pienamente a fuoco a causa della ripetitività di certi stilemi che a volte da punto di forza diventa tallone d’Achille (la stillness di “Dern Kala” e “August 12”, che roteano davvero molto su sé stesse), ma è anche un disco di talento focoso, forte e diretto, uno statement dello stile unico della band, che fa presagire anni a venire di soluzioni interessanti.
L’uscita di The Universe Smiles Upon You, sebbene non porti ai Khruangbin ancora alcun tipo di riconoscimento di pubblico, permette al terzetto texano di iniziare a farsi un nome nel circuito “indipendente” americano. Il gruppo viene scelto come “new band of the week” nella rubrica del Guardian, nonché come gruppo apripista da diversi autori di livello quali Father John Misty e Massive Attack per i loro tour del 2016. Per l’intero 2017 la band, dopo un tour che la porta anche a suonare al Glastonbury, si dedica alla composizione del proprio sophomore, il quale esce ufficialmente il 26 gennaio 2018. Insieme alla Night Time Stories, i Khruangbin pubblicano questa volta anche per Dead Oceans, una sorta di mostro sacro della musica indipendente del Nord America e dell’Inghilterra (Slowdive, A Place To Bury Strangers e, più recentemente, Phoebe Bridgers, tanto per fare dei nomi che possano provare a definire uno “spazio” musicale). La produzione è sempre affidata a Christensen insieme alla band (principalmente Mark Speer, tanto leader “musicale” e sonoro quanto personalità schiva e lontana dai riflettori, ai quale invece si presta leggermente di più la bella voce e la personalità intrigante di Laura Lee). Il titolo del disco è un rimando al padre della bassista, per l’appunto, il quale non poteva accettare alla domanda “Como me quieres?” (“quanto mi vuoi bene?”) altra risposta che “Con todo el mundo”. E “Como me quieres” è anche il titolo dell’apripista, simbolico collegamento con il disco precedente, che ne riprende le sinuosità, i contorni e le fattezze, quasi come per rassicurare l’ascoltatore, farlo ritornare nella comfort zone che The Universe Smiles Upon You aveva creato e consolidato.

Ma l’influenza delle origini messicane e latino-americane di Laura non si percepisce solo nei titoli e nei riferimenti alla vita quotidiana delle citazioni. Con todo el mundo è sì la risposta alla domanda “como me quieres”, ma è anche un rimando all’imprinting cosmopolita della matrice Khruangbin, questo contenitore da riempire con i colori più disparati e con più bandiere e culture possibili. “Lady And Man” attinge a piene mani dalla cultura ispanica, alle spalle di un testo come al solito ermetico e sfuggente. Per questa canzone, il gruppo ha dichiarato di essersi ispirato a una scena della teen comedy “Clueless” (“Ragazze a Beverly Hills” nella versione italiana). Una pratica che a quanto pare utilizzano i Khruangbin durante le loro jam session è guardare film senza audio sul vecchio televisore del fienile di Burton: proprio durante una scena di un battibecco tra due personaggi della succitata commedia, Mark e Laura hanno cercato di dare voce ai personaggi con i loro strumenti, ottenendo come risultato questo duetto tra chitarra e basso presente per tutto il contorcersi ciclico della traccia.
I ritmi serrati e il riff graffiante di “Maria Tambien” fanno della terza traccia uno dei pezzi meglio riusciti del lotto (particolarmente bella la versione live di questa canzone suonata al Tiny Desk Concert, disponibile su YouTube). Se la matrice dichiarata del primo disco erano il thai funk e la Thailandia alla quale i Khruangbin devono anche il loro nome, per Con todo el mundo il terzetto ha confessato come ispirazione non solo le radici ispaniche di Laura ma anche gli ascolti con origini iraniane di Mark, che fanno capolino nelle atmosfere create dal mellotron di “Maria Tambien”. DJ che, manco a dirlo, fa il suo come un treno sempre in orario, completa questi tre minuti, tra i migliori della discografia Khruangbin.
Un altro esperimento interessante è quello alla base di “August 10”. Per la composizione il gruppo ha preso spunto da un’altra traccia della band, “August 12” contenuta in The Universe Smiles Upon You, suonandola al contrario, e su questa base Mark ha improvvisato un attraente contorno di chitarra, con qualche coro sottile di Laura a fungere da ottimo accompagnamento.
Se il resto del disco non aggiunge molto alle prime tracce in termini di innovazioni o di messaggi un discorso a parte merita “Evan Finds The 3rd Room”, aperta e chiusa dal groove dance 70's di Laura, con un testo basato su tre o quattro frasi rappresentanti inside jokes della band e con la chitarra di Mark che a sua volta sembra inizialmente prendere ispirazione a piene mani da Nile Rodgers, per poi lasciarsi andare nel ritornello ai consueti ghirigori svolazzanti, libera nell’aria e a fuoco come non mai.

Con todo el mundo segna un passo avanti, non solo una conferma del talento a disposizione del terzetto texano ma anche un ulteriore, ammirevole tentativo di includere quante più matrici musicali possibili in una soluzione incredibilmente in grado di rimanere sempre fedele a sé stessa e ai propri ideali. Le canzoni sembrano più a fuoco, gli escamotage creativi e la fantasia compositiva si confermano un punto forte della band; insomma, il percorso di crescita è in atto senza alcun dubbio, e laddove The Universe Smiles Upon You rimaneva a volte un po’ ancorato a stilemi ripetitivi, Con todo el mundo ha la capacità di rinnovarsi costantemente, pur sempre mantenendo, come non ci si stanca mai di ripetere, l’inimitabile stile Khruangbin.

Il sophomore del gruppo texano è un successo di critica e riesce anche piano piano a entrare, in punta di piedi, in qualche classifica (il Belgio, su tutti, sembra essere il paese in cui in percentuale il gruppo viene maggiormente apprezzato). La band inizia un sodalizio artistico con il cantautore americano Leon Bridges, aprendo i concerti del tour di quest’ultimo in un rapporto che porterà qualche anno dopo a una collaborazione creativa interessante. Nel 2019, invece, prendono il via i lavori per la registrazione del terzo disco.
Nel mezzo, però, il 7 febbraio del 2020, i Khruangbin pubblicano un Ep in collaborazione con Leon Bridges, appunto, dal nome Texas Sun. Sono 4 i brani presenti in questa pubblicazione che si apre con la title track, dove Leon ci canta del sole dello stato che accomuna le origini dei quattro musicisti in questione, sopra una chitarra vagamente country e ancora una volta debitrice del Neil Young di “On The Beach”. Una bella canzone folk che sa di deserto, di caldo secco e di ranch, che sarebbe stata bene nella soundtrack di “Breaking Bad” per le ambientazioni che richiama. Mentre “Midnight” e “C-Side” non aggiungono molto a questa formula seppur interessante, discorso diverso è quello di “Conversion”, la più “Khruangbin sound” delle quattro, con la solita atmosfera chill ed elegante evocata dal trio di Houston, sulla quale Bridges intona un gospel che è anche il primo testo mai scritto dal giovane cantante texano. Un bel risultato, nel quale due elementi apparentemente in contraddizione (la natura gospel/tradizionale del testo e il sound psichedelico/etno della band) si sposano in maniera estremamente gradevole.

Ma tornando al percorso “solista” della band, ormai gli ingredienti sono in pentola: una costante crescita, un’affinità sempre forte e una evoluzione, anche sul piano personale e culturale, dei membri della band donano nuovi stimoli e influenze al suono Khruangbin. A tutto ciò va aggiunto un crescente successo di pubblico che li fa arrivare a inizio 2020 in rampa di lancio. Il terzetto di Houston non si lascia sfuggire l’occasione e piazza il colpo da 90.

Mordechai (titolo ispirato ancora una volta da un amico di Laura Lee) esce il 26 giugno del 2020, anticipato in piena pandemia dal singolo “Time (You And I)”, per chi scrive probabilmente la migliore canzone mai pubblicata a nome Khruangbin. Le premesse, insomma, non lasciano delusi. Questa volta Mark mette davvero il poster di Nile Rodgers in studio prima di suonare e fa uscire un giro di chitarra direttamente dalla fine degli anni 70 e, seguito a ruota da Laura Lee, ci accompagna a un ritornello estremamente catchy, tramite il solito testo immaginifico ed evocativo di Laura. Questo sono il surf rock, la psichedelia, anche la world music, perché no, all’inizio del decennio più impronosticabile da anni, anche musicalmente. La traccia svanisce con una outro meravigliosa, dove un Mark Speer al massimo della forma disegna forme e immagini mentre Laura canta in tutte le lingue del mondo, un festival della celebrazione e della diversità. Magnifico.
Non che il resto del disco sia da meno: “Connassais de face” introduce uno spoken word sussurrato, debitore di Serge Gainsbourg, mentre in “Father Bird, Mother Bird” emerge ancora una volta tutto il talento di Mark Speer, adagiato su un tappeto composto dal solito incessante rullante di Dj e dal basso di Laura che a volte segue la chitarra come un padrone dal quale prendere ispirazione, a volte invece se ne distacca come in una danza evocativa.
La malinconica hit “Pelota” è la più chiara ammissione di ispirazione al flamenco e alla cultura spagnola, e potrebbe essere uscita da una delle tante scene di triangoli amorosi del film di AllenVicky Cristina Barcelona”, mentre “Shida” rinnova il debito alla cultura mediorientale, e in particolare iraniana, della band, sia nei suoni che richiamano alcuni stilemi presenti in Con todo el mundo sia nel titolo stesso, ispirato a una ragazza iraniana conosciuta dai membri del gruppo. L’altro pezzo da novanta del disco è “So We Won’t Forget”, dove una chitarra soft nostalgica del passato incastra note da singolo perfetto sopra il solito groove (che leggenda vuole registrato al primo colpo), una specialità che Laura riesce ad azzeccare sempre quando i pezzi si fanno più uptempo; un’altra canzone destinata a diventare un classico della discografia Khruangbin, capace di unire il lato più pop e quello fedele alle origini.
I due singoli sono ancora una volta, come era già successo con The Universe Smiles Upon You ed in parte in Con todo el mundo, la migliore espressione del suono Khruangbin e del periodo che i componenti della band stanno attraversando. Il loro stile è tirato a lucido, gli ingranaggi funzionano alla perfezione, Mordechai è il disco giusto al momento giusto per il trio texano che infatti, grazie alla sua terza fatica in studio, cavalca le classifiche di mezzo mondo, riuscendo a trovare spazio anche in patria dove fino al 2020 non era mai entrato.

Ma, al di là del successo di pubblico, che non è mai sembrato essere un elemento indispensabile per la band, il terzo album aggiunge un prezioso tassello a un percorso di crescita costante, in bilico tra il legame forte a certi capisaldi e la costante voglia di nuove influenze. Un percorso che sinora è stato sempre in grado di analizzarsi e migliorarsi. Il che, se non altro, ci fa ulteriormente ben sperare per quello che verrà.

Khruangbin

Discografia

A Calf Born In Winter(Ep, 2014)
The Infamous Bill (Ep, 2014)
The Universe Smile Upon You (2015)6,5
Con Todo el Mundo (2018)7
Texas Sun Ep (feat. Leon Bridges, 2020)
Mordechai (2020)8
Pietra miliare
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