Les Négresses Vertes

Les Négresses Vertes

Una famiglia numerosa

Les Négresses Vertes è il nome del più brillante ensemble emerso dalla scena parigina di fine anni  Ottanta. La loro musica è un'irresistibile miscela di suoni gitani, reggae, ska, chanson français e ritmi nordafricani,l'incontro perfetto di tradizione mediterranea e rock anglosassone. Un circo itinerante che almeno per un biennio ha ridato voce e speranza a chi non ne ha: le classi più povere, gli invisibili, gli emarginati

di Giuseppe D'Amato

Se avete mai visitato il museo del Louvre a Parigi, sicuramente vi sarà capitato di dare un'occhiata alla Gioconda di Leonardo da Vinci. Tanti anni fa, però, raggiunse inaspettata notorietà un'opera del pittore russo Vladimir Tretschikoff, soprannominato “il re del kitsch”, che nel 1950 ritrasse su tela il mezzo busto di una ragazza dai lineamenti orientali conosciuta a San Francisco, ma subito dopo ebbe la brillante idea di scarabocchiarle il volto di verde: quel dipinto si intitola “La ragazza cinese”, i più attenti lo avranno notato in un'inquadratura del film “Frenzy” di Alfred Hitchcock o in alcuni episodi dei Monty Python. Col tempo è diventata una delle stampe in assoluto più riprodotte, talmente popolare da essere ribattezzata scherzosamente “La Gioconda'” Oltraggio. Ai francesi la cosa non piace affatto, così gli affibbiano il nomignolo “La negra verde”, espressione dispregiativa che  entra presto nell'uso comune degli ambienti xenofobi, da rivolgere come insulto verso gli immigrati di qualunque provenienza il cui colorito non rispecchi fedelmente quello immacolato e stilisticamente perfetto della Monna Lisa. Così quando nell'estate 1987, in una delle tante serate fatte  di piattezza e noia sub-metropolitana, alcuni sbandati di origine nord-africana si presentano in un club di rue du L'Orcque completamente ubriachi e con i capelli tinti di verde, si scatena una rissa e la polizia li sbatte fuori in malo modo, urlando loro “Sortez d'ici, les négresses vertes!”, ossia “fuori di qui, negre verdi!”. I ragazzi  non si offendono, anzi la prendono a ridere, la loro è una gang multietnica abituata da tempo a subire atteggiamenti ostili di questo tipo, ormai hanno le spalle larghe e non ci fanno più nemmeno caso. Però se la legano al dito e decidono, per ripicca, che sarà proprio quello il nome della band che stanno per fondare.

Voilà Les Nègresses Vertes

Quella dei Negrèsses Vertes è la storia di un qualsiasi gruppo di ventenni con pochissimi sogni e ancor meno possibilità di realizzarli, che un bel giorno riescono a capovolgere un destino già scritto e a sottrarsi a una vita di sofferenza e umiliazioni. Un film già visto e rivisto chissà quante volte...  ma in questo caso è proprio una storia vera, si svolge nella Francia della seconda metà degli anni Ottanta e vede attori protagonisti nove amici che danno vita a un gruppo-rock: i loro nomi sono Noël Rota (alla voce, in arte “Helno” o “Helno Rota de Lourqua”), Joe Ruffier des Aimes (al piano, detto “Jo Roz” o anche “l'Ami Ro”), Stèfane Mellino (“Cheb”, alla chitarra) ,  Jean-Marie Paulus (o “Casio Paulus”, al basso), Gaby (“Gaby le Magnifique”, alla batteria), Matthias Canavese (semplicemente “Matias” alla fisarmonica), Michel Ochowiak (“Mich”, alla trombetta), Abraham Sirinix (o “Abraham Braham”, al trombone) e Iza Mellino (ai cori). Questa la line-up originale della band, che grazie a un paio di azzeccatissimi album e a una serie di performance grandiose riscrive il finale di un copione affatto scontato.

Sono tutti figli di immigrati, la maggior  parte di loro algerini, che si incontrano frequentando i bar fuori mano e le discoteche underground del nord-est di Parigi, dei poveri reietti messi insieme dalla vita prima ancora che dalla musica, nell'esigenza di guardarsi le spalle a vicenda in una scena locale fatta di soprusi e violenza razzista. Vanno in giro con i capelli impomatati, il gilet e la cravatta, sono un po' zingari e un po' punk col vizietto di alcol e droga. Ma soprattutto sono terribilmente squattrinati, motivo per cui hanno assoluta necessità di trovare un lavoro: così, in un barlume di lucidità, hanno la folle idea di metter su una band, e iniziano a suonare negli androni dei condomini, sui marciapiedi e nelle stazioni della metropolitana di Parigi. I ragazzi sono grandemente influenzati dalla cultura popolare e della classe operaia anni 30:  musica andalusa e nord-africana e una smodata passione per le danze vecchio stile tipo valzer, polka e flamenco, oltre all'inseparabile fisarmonica sempre a portata di braccia. Suoni tradizionali, mescolati a rock moderno: è questo il loro marchio di fabbrica, un po' stravagante, ma che si rivelerà da subito vincente. Sono gli anni in cui certe commistioni le propongono solo i Gipsy Kings, anche se in maniera piuttosto rudimentale e banalotta, ed è lo stesso anno in cui nasce la patchanka dei Mano Negra, che trae origine dalle stesse radici mediterranee ma si incammina subito verso una direzione più ostinata e contraria. Quello dei Nègresses Vertes, invece, è un  mix vivace e dalle mille sfaccettature, che porta in strada un piccolo circo itinerante cui accorrono, via via sempre più numerosi, spettatori e curiosi di ogni fascia, indole ed estrazione. Così una Francia ormai dimenticata si ridesta improvvisamente dal suo torpore per riscoprirsi multietnica e felice di esserlo, e inizia ad ammirarsi allo specchio sotto una nuova luce, quella dai mille colori proiettata dal caleidoscopio dei Nègresses Vertes. E anche per i ragazzi la grande occasione non tarda ad arrivare.

Tutto bene

Les Negresses Vertes - HelnoOttengono un paio di esibizioni nei locali di cabaret, dove una sera vengono ascoltati da un produttore della piccola etichetta indipendente Off The Track, che li invita a incidere un demo. Il loro primo singolo “200 Ans d'Hypocrisie”, del 1988, è una sorta di hardcore un po' inusuale per loro, una canzone di forte protesta che serve subito a mettere le cose in chiaro: viene lanciato in risposta alle celebrazioni del Bicentenario della Repubblica di Francia e fa da apripista al loro album d'esordio, che vede la luce di lì a poco. Mlah esce nel 1989 ed è un successo annunciato: questi suonatori di strada avevano già conquistato tutti prima ancora di entrare in studio di registrazione, grazie a un melting-pot energico e avvincente, fatto di raì, danze francesi e suoni gitani, slavi o spagnoleggianti fa poca differenza, la band raschia a fondo ogni angolo del proprio barile musicale, rispolvera i suoni delle radici e li riadatta alle nuove cadenze rock dall'accento anglosassone.
Mlah (che in arabo vuol dire “tutto bene”) è una festa sfrenata, giocosa e aperta a tutti, il cui miglior biglietto d'invito è confezionato da “Voila l'etè” e “Zobi la Mouche”, due grandi classici del loro repertorio che al grido di “alzarsi e ballare” portano in pista una ventata di freschezza e modernità completamente sui generis,  così come “La Valse” e “Les Yeux de ton pere”. Difficile fare accostamenti nel panorama rock contemporaneo , se non ai Madness più disimpegnati (viene in mente la loro “Our House”) o ai Clash meno riottosi e più sandinisti. In Italia qualcosa del genere provano a proporla i Mau Mau. Ma attenzione a lasciarsi fuorviare da atmosfere fracassone e ritmi scatenati, i testi infatti sono intrisi di rabbia e malinconia, legati a doppio filo a un passato impossibile da cancellare, fatto di dolore, soprusi e ingiustizie. Le Negre Verdi si fanno portavoce del disagio sociale di coloro che son “respinti”, il loro slang si nutre di una quotidianità fatta di sopravvivenza tra sacchi dell'immondizia, odore di marcio e bottiglie rotte sui marciapiedi, ultimo souvenir dell'ennesima alba tirata in strada alzando il gomito e, se necessario, le mani. Le stesse “Orane”, “II” e “Marcelle Ratafia” sono pezzi rappresentativi, a pieno titolo, di questo girotondo un po' retrò un po' zigano, che  esporta agli occhi della gente un nuovo modello di francesità, non quella elegante dei caffè e dei bistrot dei quartieri romantici per sposini in luna di miele, ma quella che  nasce sull'altra sponda della Senna, tra le banlieues e i ghetti dell'immigrazione, quella dei figli di un colonialismo relegato ai margini, gente per cui le paroline magiche libertè, egalitè, fraternitè suonano ogni giorno come un beffardo scherzo del destino, un miraggio che passa davanti agli occhi ma è impossibile da afferrare.
Pochi gruppi in questo ambito possono vantare un album d'esordio già così competitivo in quanto a maturità lirica e compositiva. “L'Homme des Marais” e l'autocelebrativa “La Danse de Lès Nègresses Vertes” impreziosiscono una tracklist di per sé già piuttosto ricca, i cui ritmi goderecci e contagiosi riescono persino a mascherare parecchie lacune tecniche: tutti i membri della band sono autodidatti e la maggior parte di loro alla primissima esperienza col proprio strumento di competenza, eccezion fatta per il solo Helno che era il vocalist dei Béruriers Noirs, formazione rock di un certo successo da queste parti. Matthias, Gaby e Paulus, invece, si fanno tutti e tre le ossa nella punk-band Les Maîtres, ma fondamentalmente lavoravano come clown e acrobati per il Cirque Zingaro Horse, fin quando Matthias non è costretto ad abbandonare a seguito di un incidente. Il chitarrista Stefane, ad esempio, ha un background completamente differente, riparava reti da pesca in un piccolo villaggio nel sud della Francia prima di partire alla volta della grande città per tentare l'avventura musicale.

Se in patria riscuotono da subito consenso unanime, è in Inghilterra che sbancano letteralmente: si recano in tour Oltremanica per la prima volta nell'ottobre '89 e vengono accolti, a sorpresa, in maniera a dir poco entusiastica da un popolo tradizionalmente noto per essere non certo benevolo nei confronti dei prodotti musicali (e non) provenienti dal suolo francese. La stampa adora “questo gruppo etnico che riesce a mettere a soqquadro i dancefloor” con il suo stile unico e sfaccettato, ma questi Nègresses Vertes esercitano un certo fascino soprattutto sulla gente comune, che si lascia sedurre volentieri dal loro look da scugnizzo: berretti in testa, camicie a righe e stivali Doctor Martens alla moda, oltre ai comportamenti  chiassosi e coinvolgenti. Sbancano tutti i club di Londra dove si esibiscono e il successo supera ogni più rosea aspettativa, tanto che vengono invitati a incidere dei brani per alcune importanti compilation internazionali, prima fra tutte “Red, Hot And Blue”, promossa nel 1990 dalla Red Hot Organization per raccogliere fondi contro l'Aids (è un album/tributo a Cole Porter cui partecipano parecchie star, loro si prestano con la cover di “I Love Paris”) e “L'Ultima Tentazione di Elvis”. Madonna  se ne innamora al primo ascolto, tanto che li indica come uno dei suoi gruppi preferiti e li vuole assolutamente a collaborare con lei nella colonna sonora di “Dick Tracy” (partecipano con “Hou Mamma Mia”).
Così la loro fama giunge oltre oceano. Anche l' America li accoglie con una certa benevolenza: le loro radici parte francesi, parte algerine e parte spagnole si innestano alla perfezione sulla tradizione Nashville e la cultura urbana a stelle e strisce, se poi aggiungiamo una certa teatralità circense e alcune influenze street/jazzy, il gioco è fatto. Con 350.000 copie vendute, Mlah rimane il loro successo più grande, risultato insperato per un prodotto comunque lontano da certi canoni rock/pop convenzionali.

L'anno successivo la band torna a Parigi e dopo essersi esibita a gennaio in tre concerti a La Cigale, si imbarca per un tour frenetico, terminato il quale però si trova a fronteggiare una lunga battaglia legale con la propria etichetta discografica Off The Track, rimasta spiazzata dal clamore suscitato da Mlah e dalle naturali richieste di adeguamento del contratto, motivo per cui inizia a mettere un po' i bastoni tra le ruote alla band, ritardandone i piani per l'uscita del secondo disco e costringendoli a registrare i pezzi prima a Parigi e poi a remixarli a Londra, dove il lavoro sarà messo nelle mani sapienti di Clive Martin, fido produttore di Sting.

Le controversie legali obbligano il gruppo a un periodo di silenzio forzato, ciononostante, in un concerto tenuto presso L'Espace Cardin a Parigi il 23 aprile 1991, viene eseguito comunque dal vivo il materiale che costituirà l'ossatura del nuovo album, che dopo un parto travagliato vede finalmente la luce nel novembre 1991. S'intitola Famille Nombreuse ed è il disco della consacrazione. Viene distribuito in Francia e altri dieci paesi europei, e raccoglie ancora una volta grandi favori di pubblico, trainato dai singoli “Hou Mamma mia”, “Sous le soleil de Bodega” e dalla quasi-title track “Famille Hereuse”, che invadono subito le chart   lanciati dagli innumerevoli passaggi in radio.
Rispetto al primo Mlah la band non cambia quasi nulla del suo stile peculiare, salvo raffinare piccoli dettagli, e questa si rivela senz'altro una mossa vincente perché il loro è un brand già consolidato: chitarre zigane, trombone, percussioni africane, fisarmonica, fiati, corni, urla, schiamazzi e risatine: raramente si è visto in musica un gruppo di nove persone più affiatato, dove i difetti dell'uno trovano naturale compensazione nelle qualità dell'altro, altrimenti … pazienza, ci si diverte comunque e si va avanti, in fin dei conti è proprio questo il segreto più grande dei Nègresses Vertes, non a caso qualcuno li ha definiti una gang o una tribù più che un gruppo musicale. Eppure, paradossalmente, la loro formula incarna al meglio lo spirito rock: un gruppo di persone radunate in una stanza con degli strumenti, pronti a divertirsi e litigare ma soprattutto a incoraggiarsi l'un l'altro nella loro imperfezione.  “Perpetuellment Votre”, “Face à la mer” e “Infidele Cervelle” aggiungono un pizzico di pepe e calore a questo imperdibile carnevale, fatto ancora una volta di danze vorticose e ritmi incalzanti. E' facile da amare, questa band dove tutti sono amici nella vita prima ancora che sul palco, e in fondo vogliono solo farci sentire quanto si divertono nel fare musica. Una famiglia felice aperta a tutti, tanto che intervengono qua e là anche amici, mogli, fidanzate, impossibile elencarli tutti, salvo una doverosa menzione al nuovo batterista in pianta stabile Zè Verbalito (o Zè Zè) e a un nuovo percussionista/corista (Julot, o Julo).
Unica nota dolente: la dipendenza da eroina che inizia ad annebbiare le capacità di scrittura di Helno, che  su Famille Nombreuse è costretto a cedere parecchi testi al chitarrista e co-writer Stefane Mellino. Non però quello più oscuro e auto-biografico di “Car C'est un Blouze”, tristemente premonitore di un destino che non tarderà a bussare alla sua porta. La canzone ci racconta di come spesso sia la vita a prendere il sopravvento, e per quanto possiamo essere combattenti coraggiosi, a volte se ne esce  sconfitti anche nel fiore degli anni. Persino i madrelingua francese hanno avuto parecchie difficoltà a decifrarne il testo, costruito su argot arabico (l'argot è un particolare modo di scrivere messaggi in modo da renderli criptati e comprensibili solo a un determinato gruppo di persone) e su quel giochino verbale da sempre caro a Helno di scomporre le parole e invertirne le sillabe (il suo stesso nome d'arte Hel-no  non è altro che l'inversione del suo nome di battesimo No-ël)

E' questo il periodo d'oro dei Negrèsses Vertes, che vengono invitati a esibirsi a Beirut per quello che rimarrà uno degli episodi salienti della loro carriera e a suo modo un evento epocale: organizzato dal noto promoter parigino Assaad per la serata del 21 dicembre 1991, è il primo concerto che si tiene in Libano dall'inizio della guerra del 1975, e si conclude con una standing ovation del pubblico. La grande copertura mediatica dell'evento li rende ancora più amati in Europa, dove ripartono subito per un lungo tour che tocca Paesi Bassi, Scandinavia e Spagna. Migliaia di fan gli riservano un'accoglienza trionfale quando rientrano a casa, con le serate in grande stile tenute all'Olympia Concert Hall di Parigi (4 e 11 maggio 1992) e nelle altre  province francesi per tutto il resto dell'anno. Ma se fortuna, pubblico e critica premiano questa compagnia dai mille colori, il '93 è un anno tutto nero per la storia della band.

Helno è morto, viva Helno!

Les Negresses Vertes - HelnoLa mattina del 22 gennaio Helno viene trovato morto per overdose nel letto di casa della madre, nella stessa stanza che amava occupare sin dall'infanzia, in un modesto appartamentino del nord di Parigi. La sua morte, come del resto la sua vita, sono il risultato di un'esistenza vissuta allo sbando, tra incoscienza e dabbenaggine. Il successo raggiunto e il denaro guadagnato non erano riusciti a fargli cambiare testa, preferiva sempre tornare nella sua vecchia casa invece di comprarne una nuova. Così anche al momento del crollo. La sera prima, dopo un concerto dei Nègresses, aveva lasciato parcheggiata la sua Mobylette blu per farsi riaccompagnare dal suo amico e collega Matias Canavese. Era una pecorella smarrita, per questo i compagni gli volevano un gran bene, anche se con l'andare del tempo era diventato sempre più inaffidabile.Fuori dal palco, una figura gracile e sgualcita, quando apriva bocca si capiva subito che non pagava un dentista e di sicuro non beveva acqua. Ma sul palco il ghigno sinistro e un linguaggio corporeo strampalato ma efficace facevano di lui un personaggio di assoluto carisma, oltre che un autore di indubbio talento e capacità di scrittura fuori dal comune. Come gli altri membri della sua band, Helno era autodidatta. Si chiamava Noël, come il Natale, dato che era nato il 25 dicembre 1963 a Montreuil. Anni di vagabondaggio per le strade di Les Halles senza concludere  molto altro che drogarsi, come lui stesso raccontava, e i primi testi pensati in sella a una vecchia bici fanno da antipasto al suo esordio con i Bèruriers Noir, lasciati dopo un solo anno per intraprendere la difficile avventura con i Nègresses Vertes.
Le sue canzoncine erano venate di quello humour nero che riecheggia da vicino i racconti di low-life di Aristide Bruant del secolo precedente, issandolo a piccolo, grande poeta di una moderna scuola di chanson realiste, fatta di liriche di qualità e abiti dandy da mercatino delle pulci, buona sia per gli amanti dell'arte che per i ravers più adolescenti. Il ministro della Cultura francese dell'epoca, Jack Lang, lo  definì “uno dei principali cantanti della sua generazione, capace di unire tradizione francese e canzone popolare in uno stile melodioso e originale”.
Il suo epitaffio, tratto dall'ultima strofa de “La Chanson De Van Horst” di Jacques Brel del 1972, recita:
De Foire en Foire/ De Verre en Verre/ De Boire en Boire/
Je Mords Encore a Pleine Dents/Je Suis un Mort, Encore Vivant
Di fiera in fiera/di vetro in vetro/di bere in bere/
mordo ancora a pieni denti/io sono un morto ancora vivo

Manu Chao scriverà in suo onore “Helno est mort”, contenuta nell'album “Sìberie m'ètait contèe” del 2004.
Lascia un vuoto impossibile da colmare nel gruppo, non solo perché insostituibile come cantante ma anche perché era la vera e propria anima della band, che difatti non riuscirà più a riprendersi completamente dalla grave perdita.

Dopo un  periodo di dolore e lutto, nel maggio '93 esce l'album 10 remixes 87-93: come rivela il titolo, dieci dei loro brani remixati dai musicisti/dj più cool della scena dance dell'epoca, tra cui spiccano i nomi di Massive Attack e William Orbit e una nuova versione del loro primo singolo “200 Ans D' Hypocrisie”, rilanciato in omaggio proprio a Helno. A questo punto, però, la band medita di lasciare e molti dei membri abbandonano. Torneranno in studio dopo quasi due anni e in formazione rimaneggiata per realizzare Zig-Zague, nel 1994.Il gruppo è ormai ridotto a cinque elementi ufficiali: Paulo, Matias, Stefane, Mich e Iza, che man mano si alternano alla voce solista. Ma non è la stessa cosa. L'album viene registrato a Bearn, nel sud della Francia, sotto la regìa del produttore Rupert Hine, che sposta l'attenzione verso i ritmi latino-americani. Da queste premesse nascono “Tango Sous La Lune”, “Mambo Show” e “Fanfaron”. Gran parte dei testi li scrive Iza Mellino, “Enter et Paradis” e “Après La Pluie” sono tentativi apprezzabili di trovare un'ispirazione comunque lontana dagli anni d'oro. Meglio concentrarsi allora sull'attività live, da sempre vero punto di forza della band, che a partire dall'ottobre 1994 intraprende un lunghissimo tour immortalato dall'ottimo live Green Bus del 1996. Due anni on the road coronati  dalla partecipazione ai Festival Printemps de Bourges e Francofolies a La Rochelle, ma soprattutto alcune performance memorabili ancora a La Cigale di Parigi (8, 9 e 10 febbraio '95) e L'Hot Brasse (28-29novembre 1995), che servono a tenere alto il nome dei Nègresses Vertes: l'accoglienza festosa ricevuta ovunque testimonia di un affetto dei fan nei loro confronti rimasto immutato. Green Bus (il titolo fotografa il pullman verde che li accompagna durante l'estenuante tournée) cattura al meglio le atmosfere selvagge, la grinta e la carica di una band che ancora una volta riesce a dare il meglio di sé dal vivo.
Sempre nel 1996 Jane Birkin chiede ai ragazzi di aiutarla nella realizzazione del suo  nuovo album “Versions Jane”, raccolta di classici di Serge Gainsbourg reinterpretati dall'attrice/cantante inglese. I Nègresses Vertes ci mettono la firma curando i nuovi arrangiamenti  di  “La Gadoue”, già portata al successo negli anni 60 da un'altra celebrità della canzone britannica, Petula Clark.

A questo punto inizia un nuovo, lungo periodo di silenzio, interrotto solo da una piccola partecipazione al singolo di Natacha Atlas “L'égyptienne” nel 1998. La band torna in studio dopo un paio di anni e inizia a sperimentare del materiale inedito. Stavolta, però, scelgono di allontanarsi dalla fusion latino-americana che aveva contraddistinto l'ultimo Zig-Zague e si incamminano verso una nuova direzione elettronica. Si rimettono nelle mani di Howie B, produttore/dj tra i più in voga nel panorama dance, che ricuce sull'album un sound electro-disco aggiornato a sonorità  più moderne e in linea con la preponderante scena europea. Così, nel '99 ecco Trabendo. Realizzato in ottobre, il titolo è uno slang algerino che allude ai contrabbandieri al lavoro tra Algeri e Marsiglia. Il gruppo spiega questa scelta come un tentativo in musica di “trafficare” e “contrabbandare” elementi e suoni che potessero rinnovare e, perché no, arricchire il repertorio-Nègresses tradizionale, indirizzandolo verso una sorta di lounge dub-oriented.
L'album suscita una certa curiosità e la critica accoglie favorevolmente questo punto di svolta nella carriera di una band tornata non ai suoi massimi livelli, ma se non altro  agguerrita e rinnovata nelle intenzioni, oltre che punta di diamante in un mercato, quello francese, che vivacchia sugli allori (pochi, per la verità) dei Noir Desir dello sciagurato Bertrand Cantat o di un cantautorato tutto al femminile (Charlotte Gainsbourg), e che miete  raccolti prolifici solo  da un movimento techno in fiorente ascesa (Air, Daft Punk, Cassius, St.Germain).
Il magazine britannico Dazed and Confused si spinge oltre e dedica dieci intere pagine a questo ritorno in grande stile dei Nègresses, lanciati in radio dal nuovo singolo “Easy Girl”, mentre “Entre enfer e paradis” è la descrizione dettagliata di dieci anni vissuti sulla cresta dell'onda, tra momenti esaltanti e vicende drammatiche (“tra inferno e paradiso”, appunto), superati grazie a una straordinaria forza di volontà e una disciplina professionale invidiabile, doti senza le quali una qualunque band minore sarebbe crollata. Ma non i Nègresses Vertes, che alla cerimonia Victoires de la Musique  del 2000 ritirano il premio per il miglior album nella categoria Nuove Tendenze proprio grazie a Trabendo, che ad oggi resta il loro ultimo disco ufficiale di inediti. Come da consolidata abitudine, all'uscita dell'album segue un tour che li impegna per tutta l'estate, compresa una breve ma prestigiosa sortita presso l'Hotel Matignon (residenza estiva del primo ministro francese) in occasione della Fète de la Musique, festa della musica che si tiene ogni anno il 21 giugno.

Acoustic Clubbing, dell'ottobre 2002, viene registrato negli studi Gang e nasce dall'ottima impressione lasciata da una loro esibizione radiofonica. Ripropone in versione unplugged quattordici dei brani contenuti nei quattro album storici della band, così “Face a la Mer”, “Hey! Maria” e “Car C'est un Blouze” vengono offerti  sotto una luce e un mood completamente differenti, ma comunque interessanti, oltre a una piacevole cover del classico soul Spank. Nello stesso periodo in cui stanno registrando questi pezzi acustici, escono alcuni remix di Alex Gopher, Les Diamantaires e Gotan Project, che confermano la giusta intuizione di svolta elettronica degli LNV, acronimo più alla moda che d'ora innanzi sarà la nuova griffe  ufficiale sulle produzioni degli ormai ex-Nègresses Vertes.

Sempre nel 2002 viene pubblicato Le Grand Dèballage, compilation firmata LNV che raccoglie i brani più rappresentativi del loro repertorio versione-studio più due live-track ed alcuni remix, mentre il 2004 è la volta di L'Essentiel, nuovo best of dal titolo eloquente. Nel 2006, infine, ecco A' l'Affiche, ennesimo greatest hits che segna, ad oggi, la loro ultima uscita ufficiale sul mercato discografico.

Oggi Stèfane e Iza Mellino, da sempre compagni nella vita, continuano a esibirsi in coppia, semplicemente come “Stèfane e Iza” o come “Mellino's”.

Les Négresses Vertes

Discografia

Mlah (Off The Track, 1989)

8

Famille Nombreuse(Delabel, 1991)

7,5

10 remixes(Delabel, 1993)

5,5

An Aperitif (Ep, Delabel, 1994)

Zig-Zague(Delabel, 1994)

5

Green Bus (live, Delabel, 1996)

6,5

Trabendo (Virgin, 1999)

6

Acoustic Clubbing Unplugged (Virgin, 2002)

6

Le Grand Dèballage (antologia, Virgin, 2002)
L'Essentiel (antologia, Virgin, 2004)

A' l'Affiche (antologia, Virgin, 2004)

7,5

Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Zobi La Mouche
(videoclip, da Mlah, 1989)

Voilà l'ètè
(videoclip, da Mlah, 1989)

Orane
(videoclip, da Mlah, 1989)

 

Hou! Mamma Mia
(videoclip, da Famille Nombreuse, 1991)

Sous Le Soleil de Bodega
(videoclip, da Famille Nombreuse, 1991)

Le Poète
(videoclip, da Zig-Zague, 1995)

Leila
(videoclip, da Acoustic Clubbing, 2002)

Les Négresses Vertes sul web

Sito ufficiale
Testi