LL Cool J

LL Cool J

Nessuno può rappare come me

Uno dei grandi nomi della new school, James Todd Smith aka LL Cool J ha segnato la storia dell’hip-hop, trasformandolo per sempre

di Antonio Silvestri

James Todd Smith non è esattamente un tipo timido, e ha scelto di diventare famoso come LL Cool J, l’abbreviazione di Ladies Love Cool James, che in italiano suona come "le donne amano James il figo": quando si dice la sobrietà. D’altronde, una scelta meno spavalda sarebbe stata incoerente con quanto pubblicato nella sua carriera da rapper, perché anche quando ha fatto il suo ingresso nella scena hip-hop ha scelto un linguaggio spregiudicato e audace. In quel nomignolo tanto pacchiano e immodesto si può leggere la sua cifra stilistica, quel linguaggio musicale adrenalinico e stradaiolo, sicuro di sé fino a sfociare nel presuntuoso, tronfiamente diretto e boriosamente spudorato che ha fatto di James Todd Smith uno dei più grandi rapper di quella new school che proprio LL Cool J tiene a battesimo insieme ai Run-DMC. Ma in quel nomignolo sopra le righe c’è anche l’altro lato della faccenda, il sorriso sornione e burlesco, il lato fumettistico del braggadocio, che per questo sciupafemmine è un'auto-esaltazione tanto insistita da diventare a tratti quasi una stand-up comedy.

Quest'anima divisa, fra aggressività e ironia, fra genuino e spettacolare, pone i primi album di LL Cool J all'incrocio fra il passato e l'ormai prossimo futuro dell'hip-hop. Ben emancipato dalla scuola dei fondatori dei vari
Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash, con i loro richiami disco, i synth, le live band e il ruolo centrale del deejay rispetto all'emcee, James Todd Smith non è però neanche il narratore delle vicende vissute sulla propria pelle nel ghetto, ruolo invece rivestito dai vari Nas, Notorious B.I.G. e Tupac nel decennio successivo. Nei primi, eccezionali, album della sua carriera, poi sviluppatasi per un totale di oltre 35 anni, possiamo vedere alcuni elementi più tradizionali unirsi gloriosamente a soluzioni di notevole originalità, senza che gli uni prevalgano sugli altri. Per questa sua natura meticcia, ascoltare oggi il primo trittico di album è un'esperienza che sembra fotografare un genere musicale in forte mutazione, un organismo in piena fase adolescenziale, che vuole emanciparsi dai padri e ha l'urgenza di trovare una propria identità. Detto con meno poesia, i primi tre album di LL Cool J possono suonare piuttosto invecchiati se ascoltati oggi, soprattutto a un primo ascolto, ma se inseriti nel flusso evolutivo del genere appariranno semmai come preziosi fotogrammi di un momento di grande cambiamento. Il ruolo dei vari Radio (1985), Bigger And Deffer (1987), Walking With A Panther (1989) e Mama Said Knock You Out (1990) è quello di fungere da ponte fra due generazioni molto diverse, le più estranee fra loro fra le varie incarnazioni dell'hip-hop.

La prima grande novità di LL Cool J è quello che in termini tecnici si chiama
delivery, il modo in cui i versi vengono gestiti dal rapper, lo spirito con il quale vengono snocciolati uno dopo l'altro. Al netto dei sofismi, è la combinazione di tono, timbro e volume usato dal rapper. Prima dell'avvento del messia del flow, Rakim, ben poco si è fatto per la complessità degli schemi ritmici e metrici dell'hip-hop. In seguito, possiamo azzardare da "Illmatic" (1994) in poi, il flow diventerà l'elemento più studiato e distintivo dei rapper, ma a metà anni Ottanta pochi rapper si preoccupavano della complessità del proprio flow. Quanto al delivery, nella scena delle origini c'era ben poco spazio nell'arrangiamento per immaginare ampie dinamiche di volume e tono, che avrebbero reso facilmente difficile comprendere i testi. Quando l'hip-hop era musica per le feste di quartiere, rendere in qualsiasi modo meno comprensibile e cantabile il testo sembrava probabilmente solo autolesionismo. Quando anche il messaggio ha acquistato importanza, i brani erano ancora costruiti dai deejay e non attorno alle strofe dell'emcee. Per questi motivi, quando esce Radio (1985), il modo che ha LL Cool J di far arrivare ai timpani i propri versi suona rivoluzionario, forte e chiaro, scandito con veemenza e padrone di tutto l'arrangiamento: è una voce vibrante che non si risparmia ruggiti e graffi, e che tiene sull'attenti l'ascoltatore richiamando in continuazione l'attenzione su di sé. Come il nomignolo scelto da James Todd Smith, il suo delivery è egocentrico e immodesto, e l'ascoltatore ne è preda per l'intera durata dell'album. Il resto dell'arrangiamento è costruito intorno alla possente, virile voce del rapper. Di più, è praticamente tutto un pretesto per sentire la prossima frase sopra le righe, la prossima smargiassata, la prossima one-line del giovane James.

La produzione dell’album è una storia a sé, e una di quelle che diventa leggenda col passare degli anni. Basterebbe il nome di Rick Rubin per far drizzare le antenne a chiunque abbia mai letto un po’ di musica. Rubin è un nome fondamentale per certo hip-hop, e parliamo di nomi importantissimi quali
Beastie Boys, Public Enemy, Ghetto Boys e Run-Dmc. Ma Rubin è anche uno dei nomi più influenti del pop dagli anni 80 a oggi, con uno spettro di produzioni che comprende nel senso più ampio possibile tutta la musica popolare degli ultimi decenni: nel suo curriculum troviamo, fra gli altri, Adele, Audioslave, Linkin Park, Ac/Dc, Kanye West, Johnny Cash, Tom Petty, Justin Timberlake, Metallica, Slayer, System of A Down, Rage Against The Machine, Red Hot Chili Peppers, The Strokes, Limp Bizkit, Kendrick Lamar e Slipknot. Nel 2007 Mtv lo incorona “il più importante produttore degli ultimi 20 anni” e il Time lo inserisce fra le 100 persone più influenti al mondo.

Ecco, a produrre
Radio c’è proprio lui, un giovane e inesperto Frederick Jay "Rick" Rubin, con un breve passato punk-rock alle spalle e una nuova, bruciante passione per l’hip-hop di New York. Ha una propria etichetta, la Def Jam, che diventa una vera azienda solo con l’arrivo di Russell Simmons in veste di promoter-manager. Per il primo lavoro da pubblicare adocchiano un allora sedicenne nativo del Queens, classe ‘68, che produce nastri amatoriali con un impianto casalingo da 2000 $ e che sta inviando demo a chiunque possa essere vagamente interessato. Il match è perfetto, un giovane talento è l’ideale per far partire nel migliore dei modi la nuova etichetta.
Nel 1984 arriva il singolo “I Need A Beat” ed è di quelli che sconvolgono la scena: nudo e crudo, percussivo e spigoloso, semplice e diretto, è un pugno dritto in faccia scritto da un minorenne esaltato ed esaltante. I primi concerti sono un trionfo, e il disco supera le centomila copie. È la svolta per la Def Jam, insieme all’esplosiva “Rock Hard” dei Beastie Boys, sempre dello stesso anno. Il lavoro di produzione avviene per tentativi, visto che l’esperienza di Rubin è ancora assai limitata, e vede il rapper affiancato da Jay Philbot, ovvero il deejay Cut Creator, che ha l’umiltà di lasciare libera la scena per l’inarrestabile James Todd Smith. Per capire, in una frase, quale sia il risultato del processo di produzione, basti citare quanto riportato sul disco: al posto del classico “produced by”, troviamo un ben più consono “reduced by”. Questo perché l’approccio minimale, ruvido, assordante di Rick Rubin, supportato dai puntuali e spesso esplosivi interventi di Cut Creator, è un memorabile esempio di hip-hop ridotto all’osso, un esaltante viaggio ritmico innervato dalle arroganti trovate di LL Cool J.
Inoltre, i trascorsi rock di Rubin devono aver influito a definire uno stile vicino, per attitudine, all’immediatezza e all’urgenza del punk, gettando un ponte fra rap e rock che continuerà ad avere ripercussioni in tutti gli anni 90. Se si considera che sarà proprio Rubin a produrre “Raising Hell” (1986) dei Run-Dmc e “
Licensed To Ill” (1986) dei Beastie Boys, pochi mesi dopo, si può ancora meglio apprezzare l’impatto che questo sound scheletrico, che facilmente ammicca al rock pur essendo gloriosamente hip-hop, ha avuto sulla musica del periodo.
Radio è quindi uno spartiacque, che poi farà esplodere un nuovo modo di fare hip-hop, destinato ad avere importanti ripercussioni sulla scena e anche fuori dal suo microcosmo.

Poi, ovviamente, in
Radio ci sono le canzoni: una sfilata di classici, che ancora oggi deflagrano in tutta la loro potenza, senza per questo risparmiare un sano divertimento. Sono undici brani che afferrano l’ascoltatore e lo fanno prigioniero per 47 minuti, tanto da lasciare storditi e vogliosi di un riascolto. “I Can't Live Without My Radio”, il singolo principale e il manifesto stilistico dell’album, è un inno al boombox, anche conosciuto come ghetto blaster, ovvero il radioregistratore portatile, simbolo della cultura hip-hop del periodo e che è ben rappresentato, in primissimo piano, anche sulla copertina (si tratta di JVC rc-m90, per la precisione). Il rapper ne fa un feticcio, uno strumento senza il quale non può vivere e senza cui non potrebbe fare festa, affermando la propria musica preferita in tutto il vicinato. Il beat è quadrato, distorto e grezzo, mentre gli interventi di Cut Creator si limitano a pochi tocchi ad effetto. I versi memorabili sono numerosi, ma qui ci si limiterà a riportare l’inizio della prima strofa:

My radio, believe me, I like it loud
I'm the man with the box that can rock the crowd
Walkin' down the street, to the hardcore beat
While my JVC vibrates the concrete
I'm sorry if you can't understand
But I need a radio inside my hand
Don't mean to offend other citizens
But I kick my volume way past 10
My story is rough, my neighbourhood is tough
But I still sport gold, and I'm out to crush
My name is Cool J, I devastate the show
But I couldn't survive without my radio
(da “I Can’t Live Without My Radio”)

Potente affermazione d’intenti, questa opener è una di quelle che rimane negli annali dell’hip-hop, grazie alla sua forza espressiva all’epoca inedita. Segue “You Can't Dance”, che sbeffeggia i b-boy più impacciati nel ballo, su di un beat appena più slanciato. Anche qua, è un trionfo di versi arroganti ed esaltanti, come per esempio:

You dance like a fat old lady
Not sayin' that fat old ladies ain't nice
But every time you try to get one move right
The old lady done did it twice
You can't dance!
(da “You Can’t Dance”)

Andiamo verso il comedy-rap con “Dear Yvette”, che starebbe bene anche in un album di Slick Rick. È una canzone dedicata a una ragazza decisamente generosa in termini di sessualità, che LL Cool J distrugge rima dopo rima, come in un roasting che lascia senza fiato e regala anche diverse, ciniche, risate (“Like Santa Claus said, you're a ho-ho-ho”). Il quarto brano in scaletta, “I Can Give You More”, è un altro brano epocale, uno dei primissimi tentativi di una hip-hop-ballad, a tema romantico-erotico, che diventa il modello per una futura, e assai più famosa, ballata di LL Cool J, “I Need Love”. La potentissima “Rock The Bells”, secondo singolo, è sullo stesso piano del brano d’apertura, un aggressivo inno di hip-hop stradaiolo che entra nella storia sin dall’introduzione:

L.L. Cool J. is hard as hell
Battle anybody I don't care who you tell
I excel, they all fell
I'm gonna crack shells, Double-L must rock the bells
(l’introduzione di “Rock The Bells”)

Nel resto del brano, troviamo altri versi tipici del suo stile: “I'm not a virgin so I know I'll make Madonna scream” o giochi di parole come “You bring the wood pecker, I'll bring the wood”. Segue poi “I Need A Beat”, in una versione remixata e molto spettacolare, modellata intorno a loop ed effetti. Colpiti e affondati anche i millantatori che fingono di essere rapper di successo in “That’s A Lie”, brano che contiene il verso “You lied about the lies that you lied about” e che è stato persino utilizzato dalla Cnn per attaccare Donald Trump. Fra gli altri versi da citare, che a voler essere esaustivi sarebbero decine, meritano uno spazio almeno il distico “I disintegrate rappers I can and I could/ The great Edgar Allen Poe couldn't write this good” dal terzo singolo “You’ll Rock”.

Radio è uno dei primi grandi successi commerciali dell’hip-hop, e il primo centro della Def Jam: vende mezzo milione di copie in cinque mesi, superando il milione entro il 1988. L’esordio raggiunge la posizione numero 46 nella Billboard 200, facendo meglio ancora nell’omologa classifica r’n’b/hip-hop giungendo al numero 6. Rientrerà in quest’ultima classifica a fine ‘85, rimanendovi 47 settimane, e nella classifica pop soggiornerà per 38 settimane. Anche la critica riconosce all’album lo status di classico, tanto che è citato sia da The Source fra i migliori album rap di tutti i tempi sia dal ben più rock-oriented Rolling Stone nella lista “The Essential 200 Rock Records”.

Il secondo album, Bigger And Deffer (1987), rimane nella storia soprattutto per la succitata ballad “I Need Love”, dove LL Cool J non solo perfeziona l’idea di una ballata hip-hop, ma dimostra anche di aver ampliato la duttilità del proprio rap, ora più incline a sfumature sensuali e flessuose. L’altro classico è “I’m Bad”, un assalto di hip-hop stradaiolo che si apre con un verso leggendario come “No rapper can rap quite like I can”, ideale sintesi di tutta la rap-persona protagonista dei primi album di LL Cool J.
Altro brano da ricordare è “Go Cut Creator”, dedicato al suo storico deejay e pieno di citazioni rock. A livello di
sound, l’album, prodotto dalla LA Posse e Dj Pooh, suona più ricco e vario rispetto all’esordio, vicino al collage multiforme dei Public Enemy in brani come “Ahh, Let’s Get Ill”, rispettando comunque quel modello comunicativo diretto e adrenalinico che ha fatto entrare Radio nella storia.
Inserito nei 100 migliori album rap di tutti i tempi da The Source, ma con
feedback meno entusiastici della critica, è un’opera assai meno dirompente rispetto all’esordio ma di ancor maggiore successo commerciale: vende, nei soli Stati Uniti, più di due milioni di copie, raggiungendo il numero uno della classifica Billboard r’n’b/hip-hop e fermandosi al numero 3 della Billboard 200, ma riscuotendo buoni risultati anche in Germania, Nuova Zelanda, Regno Unito e Paesi Bassi.

Per il terzo album, Walking With A Panther (1989), arriva direttamente il supporto del team produttivo dei Public Enemy, la Bomb Squad. Rimasto solo Dwayne Simon della LA Posse, ritornano Dj Cut Creator e Rick Rubin a dare una mano al confezionamento dell’opera. È un momento di svolta, che funge da spartiacque per la carriera: pieno di ballate romantiche, il disco registra l’allontanamento dal monolitico stile di un tempo verso un più morbido, ammiccante stile hip-hop, che si colora sempre più negli arrangiamenti e flirta con il mondo pop e rock.
Vengono estratti addirittura cinque singoli: fra questi “Going Back To Cali” si distingue come uno dei brani imprescindibili della carriera, fondendo rap rock e jazz ed eguagliando la “Rock This Way” (1986) dei Run Dmc insieme agli
Aerosmith; il sensuale numero “I'm That Type Of Guy” è una danza tribale in una giungla percussiva e l’esilarante “Big Ole Butt” dimostra che il marpione di un tempo è ancora lì, pronto a fare conquiste.
Mentre gli appassionati storcono il naso di fronte al compromesso con il
mainstream, l’album raggiunge comunque il traguardo del disco di platino negli Stati Uniti, assegnato per il milione di copie vendute.

Prima di chiudere il periodo più importante della carriera, c’è spazio per un proverbiale colpo di coda come
Mama Said Knock You Out (1990), che ritrova tutta la carica dinamitarda dell'esordio e ricorda agli ascoltatori che James Todd Smith è ancora pronto a imporsi sulla scena, senza grandi timori. La partecipazione del veterano Marley Marl occhieggia ai più conservatori tra gli appassionati, un modo per riavvicinarli e recuperarne il rispetto. Lo splendido funk-rap di “The Boomin’ System” mostra un’eleganza nello sgranare le rime che risulta inedita nella discografia, mentre “Around The Way Girl” perfeziona le salaci dichiarazioni di un tempo, interpolandole con le ballate romantiche che avevano indispettito alcuni fan.
LL Cool J si lancia anche in un rap veloce per “Mr. Good Bar”, altro show del suo ego marpione, mentre “Murdergram” ritorna a sfidare i Public Enemy sul loro stesso terreno e “Illegal Search” ritorna ai colori del comedy-rap. Il piatto forte è la title track, un grido di battaglia interpretato con un altro esempio di
delivery decisamente hardcore:

Don't call it a comeback, I been here for years
Rocking my peers and putting suckas in fear
Making the tears rain down like a monsoon
Listen to the bass go boom
(da “Mama Said Knock You Out”)

Certificato doppio platino negli Stati Uniti, l'album infiamma l’entusiasmo della critica e porta anche alla vittoria di un Grammy Award per la miglior performance rap solista grazie alla title track. Riflettere sul fatto che a soli 22 anni LL Cool J abbia già ottenuto così tanto, in termini artistici e commerciali, fa venire le vertigini: e pensare che era tutto iniziato con le registrazioni casalinghe, appena sei anni prima. Col senno di poi, però, l’album segna anche l’inizio di un inarrestabile declino, che porta il nostro a imitare le nuove generazioni in modo sempre più avvilente per un gigante dell’hip-hop.

Questi goffi tentativi di rinnovarsi iniziano con
14 Shots To The Dome (1993), chiaramente ispirato al gangsta-rap della West Coast. La vicinanza stilistica con Ice Cube, all'epoca nel suo periodo maggiore e forte di due album eccezionali come "AmeriKKKa's Most Wanted" (1990) e "Death Certificate" (1991), riduce di molto la peculiarità dell'album. Altrove gli imitati sono i brani allucinati dei Cypress Hill, quelli già comparsi su "Cypress Hill" (1991) e "Black Sunday" (1993).
Al netto di questa derivatività, però, LL Cool J rimane un mago al microfono e si adatta senza problemi al nuovo trend, come dimostrano "How I'm Coming", "Buckin' Em Down" e un altro momento di divertimento come "Pink Cookies In a Plastic Bag Getting Crushed By Buildings", dove bonariamente si prende in giro la scena hip-hop citando 30 artisti differenti.
I tocchi reggae sono uno degli elementi che vivacizzano la scaletta, esprimendo in "Diggy Down" uno stile che parrebbe indicare un possibile futuro in direzione Giamaica. Chiude la furiosa "Crossroads", che sembra l'unico brano capace di trasporre il ruggito di un tempo nel contesto gangsta-rap.
L'album, che irrita gli appassionati per il modo in cui corteggia il
mainstream, raggiunge il disco d'oro, segnando un importante ridimensionamento rispetto all'opera precedente.

Invece di ripensare alla propria direzione artistica, come accaduto con il quarto album, il successivo
Mr. Smith (1995) è molto più ruffiano, morbido e radiofonico di quanto abbia mai pubblicato. "Make It Hot" è una dichiarazione d'intenti, un prodotto lambiccato che abbraccia lo smussato sound che trionfa in classifica. Non stupisce trovare nel team produttivo il nome di Trackmasters, dietro a successi dei vari Nas, R. Kelly, Mary J. Blige, Will Smith, Jay-Z, Jennifer Lopez, Mariah Carey, The Notorious B.I.G. e 50 Cent. "Hey Lover "è un'altra raffinata ballata, con la partecipazione dei Boyz II Men, vince un Grammy e vende un milione di copie, spingendo l'album oltre il traguardo del doppio platino. È un fuoriclasse che fatica a rimanere attuale, però, non più il rapper dirompente di un tempo. E, accidenti, tutti i riferimenti alla sua esplosiva sessualità sono troppi persino per un album hip-hop. 

Che sia sia finito il primo e più importante periodo della carriera e sia iniziato quello della rap-star e dell'aspirante sex-symbol, nonché attore sempre più gettonato, sembra confermato da All World: Greatest Hits (1996), raccolta dai brillanti e incendiari primordi agli accomodanti e formulaici singoli da classifica.

Prodotto da un altro gigante dell'hip-hop di successo, Sean "Puffy" Combs, Phenomenon (1997) è un lavoro diviso fra numeri ruffiani e fantasmi dell'hip-hop stradaiolo di un tempo. Dispersa l'originalità, accantonata l'energia ineguagliabile di un tempo, rimane solo tanto mestiere. Sembra incredibile che il rapper prestato all'r'n'b di "Candy" sia lo stesso di Radio. Nonostante le riserve di chi scrive, l’album vende un milione di copie.

G.O.A.T. (Greatest Of All Time) (2000), che nel titolo ricorda la spocchia di tre lustri prima, si affida sempre di più agli ospiti per animare i brani. Il trio di ospiti su "Forget About It", composto da DMX, Method Man e Redman, è di quelli che farebbe ingolosire ogni appassionato, ma anche quello formato da Snoop Dogg, Xzibit e Jayo Felony per "You Can't **** With Me" merita attenzione.
La title track è tra i momenti migliori di un album prolisso e dispersivo, che vive ormai di espedienti da vecchia volpe del rap. È l’ennesimo disco di platino per il rapper, oltre che il suo primo numero uno nella Billboard 200.

Per il nono album, chiamato
10 (2002) perché si considera anche il greatest hits del 1996, arriva il singolo con Amerie “Paradise”, ottimo per le classifiche, e la produzione dei Neptunes, che tirano a lucido un’altra volta l’ormai maturo rapper newyorkese e fanno salire un altro brano romantico, “Luv U Better”, nei piani alti delle chart. C'è persino un brano dedicato alla nonna.

The DEFinition (2004), prodotto principalmente da Timbaland, si apre con l'assalto ballabile di “Headsprung” e vira verso la scena southern in brani come "Apple Cobbler". C’è un nuovo  spirito ballabile in episodi come “Feel The Beat”, oltre alle ormai prevedibili ballate romantiche che ne hanno fatto un habitué delle classifiche. Questi ultimi due album segnano comunque una significativa flessione nelle vendite, che si aggira intorno alle 500mila copie: troppo poco per una celebrità del rap.

Per l’opera che porta il suo nome,
Todd Smith (2006), si circonda di molti ospiti, comprese celebrità r’n’b quali Jennifer Lopez, Pharrell e Mary J. Blige. La produzione, affidata a Lyfe Jennings, al già citato Pharrell e al vecchio amico Trackmasters, assicura il suono alla moda, ma non può fare miracoli.

Ottenuto l’ennesimo disco d’oro, ma con la critica internazionale sempre più dubbiosa sul valore della sua musica, LL Cool J continua a sfornare album a cadenza biennale e nel 2008 arriva
Exit 13, l’ultimo lavoro per Def Jam e un sostanziale fallimento commerciale per una rap-star come lui. L’ampio team di produzione, e i numerosi ospiti, cercano disperatamente di mantenerlo aggiornato, ritorna anche un po’ dell’energia di un tempo e non manca neanche il divertimento, ma davvero non c’è motivo per preferire questo album, disomogeneo e affollato, a uno dei classici in discografia. Quantomeno in "Feel My Heart Beat" registra l'ospitata di 50 Cent, che un album come Radio non lo scriverà neanche entro fine millennio, e dimostra che la sua carriera ha influenzato anche l'autore di uno dei bestseller del decennio, "Get Rich Or Die Tryin'", un album da 12 milioni di copie vendute che deve più di qualcosa a Todd Smith.

Dopo la raccolta
All World 2 (2009), che in parte replica il primo volume annacquandolo con i nuovi successi, la carriera sembra giunta a un punto morto. Quando ritorna con Authentic (2013), ancora una volta circondato da ospiti, persino il guitar-hero Eddie Van Halen e il colosso del funk Bootsy Collins, il nostro sembra aver perduto il contatto con la scena e suona semplicemente obsoleto. La cosa tragicomica è che anche molte guest-star sono ben lontane dal loro periodi più creativo, e si sente.

Dall’ottobre 2014 i fan attendono il seguito, l’album numero 14: dovrebbe chiamarsi G.O.A.T. 2, ma dopo poco viene accantonato il progetto. Nel 2016 il rapper ottiene una stella sulla “Walk Of Fame”, si ritira dai social network e poi ci ripensa poco dopo, quindi ritorna nell’ombra e se ne parla solo nel 2017, quando diventa il primo rapper a ottenere il “Premio Kennedy”, conferito a coloro che si sono distinti per il loro contributo all'arte e alla cultura. Nel 2021 entra nella Rock And Roll Hall Of Fame.
Nel settembre 2019, LL Cool J annuncia di aver firmato di nuovo per Def Jam, in vista di un nuovo album che, chissà, potrebbe anche non arrivare mai. Poco male, perché possiamo riascoltare comunque i migliori album della sua lunga carriera, e ogni volta trovarvi qualcosa di nuovo.


LL Cool J

Discografia

Radio(Def Jam, 1985)
Bigger And Deffer(Def Jam, 1987)
Walking With A Panther(Def Jam, 1989)
Mama Said Knock You Out (Def Jam, 1990)
14 Shots To The Dome(Def Jam, 1993)
Mr. Smith(Def Jam, 1995)
All World(raccolta, Def Jam, 1996)
Phenomenon(Def Jam, 1997)
G.O.A.T. (Greatest Of All Time)(Def Jam, 2000)
10(Def Jam, 2002)
The DEFinition(Def Jam, 2004)
Todd Smith(Def Jam, 2006)
Exit 13(Def Jam, 2008)
All World 2(raccolta, Def Jam, 2009)
Authentic(Def Jam, 2013)
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