Parcels

Parcels

Un bastimento carico di disco-pop

Connettendo la natura e il sole della natìa Australia, la Francia dei Daft Punk e la voglia di ballare della Berlino più scatenata, i Parcels hanno creato una formula nu-disco che spazia tra svariati generi ed epoche musicali senza conoscere limiti o timori

di Michele Corrado

Connettendo la natura e il sole della natìa Australia, la Francia dei Daft Punk e la voglia di ballare della Berlino più scatenata, i Parcels hanno creato una formula nu-disco che spazia tra svariati generi ed epoche musicali senza conoscere limiti o timori.
In un’epoca votata a fenomeni dalla durata esigua e contraddistinta dalle fulminee logiche dello streaming, nonostante la sua forte connotazione trendy, la formazione a cinque rappresenta un’anomalia stoica e risoluta che rifugge le logiche di mercato. I Parcels sono dei bellimbusti altamente “copertinabili” e la loro estetica vagamente ambigua è perfettamente attuale. Per loro sembra però contare soltanto la musica. Eccoli dunque aspettare quattro anni tra la loro nascita e il disco d’esordio e poi altri tre prima del sophomore, addirittura un concept-album, per giunta doppio – praticamente un suicidio per una formazione pop all’epoca della musica usa e getta.

Sull’assolata copertina del loro debut album, i Parcels sono travestiti da equipaggio aereo: due piloti baffuti e abbottonati e tre biondissimi, scapigliati facchini in tuta celeste intenti a imbarcare le ultime valigie. I cinque sono distratti da una figura femminile fuori campo. Uno scatto divertente e colorato che la dice lunga sull’attitudine giocosa, leggera di questi cinque giovani aussie, ma anche sul lungo viaggio che li ha portati al delizioso esordio per Kitsunè.
Patrick, Noah, Jules, Louie e Anatole sono andati a scuola insieme in quel della Byron Bay (Australia), che però hanno lasciato tutti all'unisono e molto presto, per tentare una carriera nella musica dance a Berlino, città di artisti e libertà, capitale ideale della techno.
Da Berlino a Parigi poi è un passo, soprattutto con un suono come quello degli australiani, che trasuda francesità da ogni battito. Per prima arrivò la firma per un’interessatissima etichetta come Kitsunè, poi, subito dopo il primo Ep, l’interesse di, udite udite, Thomas Bangalter e Guy-Manuel De Homem Christo. Con un singolo prodotto dai Daft Punk (la scoppiettante “Overnight”) uno spaventoso hype viene da sé. Gli australiani lo hanno però affrontato con coraggio e con una discreta dose di faccia tosta. Quanto basta per lasciare questo singolo fuori dalla tracklist del loro disco di debutto.

Ma cosa contengono questi pacchi che così tanto hanno viaggiato prima di raggiungere le nostre case e le nostre casse? Sicuramente un’ingente dose di funk-pop, le cui ritmiche spigolose ma fluide dettano il passo mediante la chitarra singhiozzante di Jules Crommelin, uno che in camera deve averci appeso il poster degli Chic, ma anche tanto altro, come testimonia il frizzante Parcels del 2018.
Patrick Hetherington e Louie Swain sono i più “francesi” del gruppo, tanto che sembrano aver studiato ogni millimetro dei morbidi incroci di sintetizzatori di “Moon Safari”, la cui ombra torreggia sulla lunghissima “Everyroad”. Una suite dall’evoluzione quasi prog che spinge il funk dei quintetto verso il cielo, propulso da un incalzante pianoforte house e dai cori angelici.
I brani meno danzerecci del disco sono invece da ascrivere al pop radiofonico più sofisticato, riportano infatti alla mente nomi del calibro degli Steely Dan o, per rimanere in Francia e ai giorni nostri, dei Phoenix. Canzoni dolci e vagamente malinconiche come “Whitorwithout” e “Bemyself”, intonate da Jules Crommelin con la sua voce calda, ricordano non solo il suono della band di Versailles, ma anche il timbro di velluto di Thomas Mars.
Il quintetto non poteva però mancare di imballare nel suo variopinto primo disco anche qualche souvenir dalla natia Australia, rappresentata dall’onnipresente sapore di mare che aleggia perenne tra le note delle tastiere, sempre morbide, come levigate dalla risacca. È marina anche la brezza dispersa dai piacevolissimi interventi del flauto, vero e proprio trademark della band, che increspa i finali di “Lightenup” e “Tape”.
L’atmosfera gradevole e attraente di Parcels sta tutta nella chimica che questi vagabondi riescono a creare tra elementi naturalmente discordanti: le piste da ballo degli anni 70, quelle di qualche anno fa, l’elegante elettronica di fine millennio, la melanconia dei tramonti nel mare sul finire dell’estate. E’ una malia zuccherina che percorre il disco nella sua interezza, ma che può vivere anche di episodi. La sopracitata “Lightenup” o “Tieduprightnow”, ad esempio, sono due bombe che passate dalla radio al momento giusto possono cambiare una serata o l'intera estate.

Ormai trapiantati stabilmente a Berlino, nel 2020 i Parcels hanno registrato il loro primo disco live ufficiale, intitolato semplicemente Live Vol. 1, una denominazione che fa sperare che si tratti soltanto del primo capitolo di una ricca serie. Se infatti su disco gli australiani suonano chirurgici e incapaci di sbavare, dal vivo ritrovano sì la medesima precisione, ma anche una palpabile euforia, non disdegnando rocambolesche jam all’insegna del groove più primordiale.
Per l’occasione i cinque hanno potuto beneficiare del calore e dell’aura storica degli studi di registrazione più celebri della città, i leggendari Hansa Tonstudio. L’intera sessione di registrazione, che comprende numerosi brani del primo disco della band e alcuni singoli precedenti, è disponibile anche in versione video ed è interamente reperibile su YouTube. Inutile rimarcare, data anche la grande resa scenografica della band, che si tratta della miglior forma per fruire l’album.

Il debutto omonimo dei Parcels era stato una delle sorprese più divertenti del 2018. Un album nu-disco tanto sofisticato quanto godibile, ben suonato quanto sbarazzino. Formalmente impeccabile, ma mai serioso. Una ventata d'aria fresca che soffiava dalla natìa Byron Bay (Australia) alla danzereccia Berlino, passando per la Parigi della label Kitsunè.
Gli australiani hanno risposto alle aspettative generate da queste premesse senza alcun timore, raddoppiando invece le ambizioni. Ci troviamo dunque al cospetto di un sophomore imponente, doppio non solo nel titolo e nella durata, ma anche nelle intenzioni. Con un lato dedicato al giorno e uno alla notte (da qui il titolo del disco Day/Night), entrambi liricamente votati all'esplorazione della dualità. Quello che ci teniamo dentro e quello che lasciamo trasparire, quello che siamo e come veniamo percepiti, e così via.
Lo scarto stilistico con Parcels è notevole. Rimangono la propensione per melodie scattanti e briose guidate da chitarre disco e basso recalcitrante, ma i toni sono più solenni, eleganti, talvolta addirittura oscuri. In luogo delle tastiere che inebriavano il primo disco, troviamo un pianoforte poderoso e ben in chiaro (il ruolo giocato dallo strumento in "Nerveloved" è incredibile). L'apporto di Owen Pallett agli archi è poi prezioso nell'amalgamare i brani gli uni agli altri, fornendo eleganti intermezzi, e nel conferire cinematografia a molti episodi della ricca tracklist.
Il fil rouge che unisce i due album è un nuovo, micidiale singolo, di nome "Somethinggreater". Una traccia groovy e canticchiabile, ma al contempo striata da toni melò e volutamente emozionante. Per il resto ascoltiamo una band rinnovata, consapevole dei propri mezzi e qualche volta (ma mai tanto da inficiare la riuscita dell'opera) un pelo ingessata.
Il lento ingresso del disco è una "LIGHT" altamente cinematografica, che potrebbe fungere da perfetta colonna sonora per un film ambientato negli sfavillanti anni 70 di discoteche e camicie dai colli profondi ed esagerati. Gli archi di Pallett riscaldano l'atmosfera, la chitarra di Crommelin è ammiccante, sensuale nelle sue languide giravolte. La ritmica è in controluce, ma si insinua nelle anche. Segue una "Free" giuliva e svolazzante, con delle armonizzazioni vocali celestiali da fischiettare a memoria, saltellando tra le foglie gialle e cadenti di questo autunno e di tanti altri.
Pur condensando gran parte dei suoi momenti upbeat nella prima parte, anche nella seconda Day/Night serba una "mina" danzereccia: è la scatenata "LordHenry" a fare la voce grossa, con il basso di Noah Hill a menare mazzate tra un coretto catchy e l'altro. Per il resto ascoltiamo una seconda facciata cupa e programmaticamente notturna, dove la fanno da padrone una "Thefear" dominata da sintetizzatori al neon e archi drammatici e una "Once" dal dimesso sapore folk.

Ancora giovanissimi, i cinque australiani si presentarono con un disco d'esordio esaltante e immediato. Con questo Day/Night si sono cimentati invece in un'operazione più sobria, influenzata anche dalle tragedie del Covid e dei roghi in patria. Un disco che non solo conferma tutto quanto potevamo auspicare e quanto i ragazzi abbiano ben gestito il successo, ma che apre un mondo di possibilità per il loro futuro.


È ormai qualche anno che gli Australiani Parcels hanno fatto di Berlino la loro città. Ci vivono ormai in pianta stabile, hanno fatto tanti amici e non è cosa rara incontrarli per le varie venue della città, o addirittura in qualche pubbetto di Schoeneberg. A questo punto la capitale tedesca, con il suo DNA impregnato di club culture, non poteva non esercitare un forte ascendente sulla loro musica. 
E così, già nel tour trionfale che ha seguito la release del bellissimo Day / Night, il quintetto nu-disco della Byron Bay ha iniziato ad alzare il volume dei battiti, diradare le parti cantate e lasciarsi andare in lunghe cavalcate dance, spesso e volentieri anche all’insegna della jam session.
Quando però queste lunghe parti strumentali hanno iniziato a prendere il sopravvento sul resto, specie a cospetto di platee ampie, il risultato ha cominciato a dividere il pubblico. Se buona parte del pubblico si faceva rapire dalle tumultuose jam a base di chitarrine funk, accenti disco e raffinati strati elettronici degni del french touch (non dimentichiamo che i Parcels sono stati “battezzati” da una produzione dei Daft Punk), un’altra soffriva la diminuzione dei ritornelli da cantare a squarciagola e di canzoni più compiute.
Live Vol. 2sequel del più ordinario (presto capirete perché) Live Vol. 1 del 2020, nasce quindi con un esperimento. Stanchi di dover scendere a giusti compromessi con il pubblico, pur comprensibili e compresi dagli stessi, I Parcels hanno affittato il piccolo club parigino Le Palace e vi hanno suonato sotto mentite spoglie di fronte a una folla ignara.
In quasi due ore di musica le varie “Iknowhowifeel”, “Lightenup”, “Gamesofluck” e “Lightenup”, veri e propri classici per chi segue la band dagli inizi e la scena nu disco, vengono ridotte a brandelli. I loro ritornelli vengono ripetuti una, massimo due volte all’interno di treni dance che contano sul basso pulsante di Noah Hill e la batteria precisissima di Anatole Serrett in arte Toto come inestinguibile propellente. Anche le tastiere luccicanti di Patrick Harringotn e Louie Swain appaiono più sbrigliate del solito, come quando decollano vero l’iperuranio volatile degli Air in “Reflex”.
Certo, su disco un lavoro di rivoluzione dei brani imponente come quello operato dai Parcels in Live Vol. 2 non funziona e non può funzionare come deve averlo fatto a cospetto dei fortunati presenti al Le Palace. Riesce comunque a ipnotizzare per lunghi tratti e solletica le fantasie sul futuro discografico di una band che sembra davvero sul punto di una svolta radicale.

Parcels

Discografia

Parcels (Kitsunè, 2018)

7,5

Live Vol. 1 (Because, 2020)

7,5

Day/Night (Because, 2021)7,5
Live Vol. 2 (Because, 2023)7
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

 Tieduprightnow
(da Parcels, 2018)
 Somethinggreater
(da Day/Night, 2021)
Live Vol. 1

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