Red Hot Chili Peppers - John Frusciante

Red Hot Chili Peppers - John Frusciante

Peperoncini rossi in salsa funky

Con "Californication", i Red Hot Chili Peppers hanno conquistato le classifiche. Ma il loro inconfondibile funky-rock era esploso già otto anni prima. Poi, c'è stato il crollo artistico di "By The Way" e la fuga solitaria di John Frusciante...

di M. Baldassarre, A. Di Dedda, Pier E. Torri

È l'album Californication (1999) che fa salire i Red Hot Chili Peppers alla ribalta dei giornali e delle TV di tutto il mondo grazie ai suoi 9 milioni di copie vendute. In realtà i Red Hot avevano raggiunto un successo maggiore otto anni prima, con Blood Sugar Sex Magik, ma la loro nascita è ancora precedente.

Il cantante Anthony Kiedis (Grand Rapids-Michigan, 1962) e il bassista Michael Balzary (in arte Flea (Melbourne-Australia, 1962), erano amici nella Fairfax High School già all'età di sedici anni. Flea aveva fondato gli Anthem, insieme al chitarrista Hillel Slovak (Haifa-Israele, 1962) e al batterista Jack Irons (California, 1962). Quando Anthony decide di entrare nella band, il nome viene tramutato in Red Hot Chili Peppers. Slovak e Irons però avevano lavorato per gli Anthem molto a lungo, e quando i Red Hot firmano il primo contratto con la Emi nel 1982 i due decidono di abbandonare il nuovo gruppo continuando col loro progetto, rinominato "What Is This?". Al loro posto, nell'omonimo album di esordio, sono presenti Jack Sherman alla chitarra e Cliff Martinez alla batteria.

The Red Hot Chili Peppers esce nel 1984, preceduto dal singolo "Out in L.A." (il primo brano inciso dal gruppo) e riscuote un discreto successo negli Stati Uniti soprattutto grazie a "True Men Don't Kill Coyotes" e "Get Up And Jump". Il fallimento del progetto "What Is This?" porta al rientro dei due componenti originali nella band, che nel 1985 produce il suo secondo album, Freaky Styley, che pur non rappresentando il meglio dell'espressione del gruppo californiano regala ai Peppers una certa notorietà anche fuori dagli States ("Freaky Styley" e "Jungle Man" sono i due singoli estratti dall'album). Gli anni che seguono sembrano aprire la strada verso il declino della band, nonostante il crescente successo: Anthony e Hillel perdono evidentemente il controllo delle proprie vite, e la loro dipendenza dalle droghe inizia a ripercuotersi sulla musica del gruppo. In particolare, il chitarrista inizia ad avere gravi problemi di salute e non è raro che nei concerti sbagli le note o dimentichi i brani da eseguire.

Nel 1987 il terzo album, The Uplift Mofo Party Plan, è piuttosto controverso: la EMI impone che il titolo del brano "Party On Your Pussy" venga cambiato in "Special Secret Song Inside" e che i testi vengano esclusi dal libretto. "Fight Like A Brave" e "Me & My Friends" sono comunque due hit di gran successo, insieme a "Behind The Sun", il cui video imperversa su Mtv. Nell'album è anche presente la cover di "Subterranean Homesick Blues" di Bob Dylan. I Peppers sono negli USA ormai un fenomeno che va oltre il fatto musicale,e si impongono soprattutto per la loro immagine di band irriverente e distruttiva. Ma le condizioni di Slovak continuano a peggiorare, e la band inizia a pensare al licenziamento del chitarrista. Intanto, all'inizio del 1988, esce Abbey Road EP, raccolta di quattro brani più la cover di "Fire" di Jimi Hendrix, la cui copertina mostra la band nella famosissima imitazione dei Beatles, con i calzini a coprire i genitali come unico indumento.

Ma il 27 giugno Hillel Slovak muore di overdose. La band sembra irrimediabilmente destinata al termine: Jack Irons incolpa il mondo della musica per la morte dell'amico e rifiuta di avere contatti col mondo esterno (andrà poi in una casa psichiatrica prima di diventare, nel 1995, il batterista dei Pearl Jam); Kiedis si rifugia in un piccolo paesino del Messico per disintossicarsi, ed è soltanto grazie a Flea che il gruppo continua a vivere: il bassista convince Anthony a ricominciare in nome dell'amico defunto, e al suo posto nel gruppo fa il suo ingresso il diciottenne John Frusciante (New York, 1970). John era un accanito fan del gruppo, e Anthony e Flea lo avevano accompagnato a un provino per entrare nei Thelonious Monster: "John era un perfetto clone di Hillel", racconta Anthony "non solo per come suonava, avendo assimilato l'immensa tecnica del suo idolo, ma anche per come si presentava e si muoveva sul palco". Da quel provino John Frusciante uscì come chitarrista dei Red Hot Chili Peppers. "Sostituire il batterista era una cosa difficilissima", confessa Flea. "In uno dei tanti noiosissimi giorni di selezioni entra Chad Smith (St. Paul-Minnesota, 1962): sembrava un idiota con quella bandana tra i capelli e la maglietta dei Metallica addosso!". Anthony continua: "Stavamo già per dire: Avanti il prossimo!, quando ha iniziato a suonare. Lo studio fu improvvisamente tempestato da un'orda di gorilla psichedelici: sembrava un pazzo mentre suonava la batteria e urlava a pieni polmoni".

Il quartetto è finalmente ricomposto e dopo solo pochi mesi l'album Mother's Milk è pronto (preceduto dal singolo "Knock Me Down", dedicato al chitarrista scomparso; nell'album è presente anche la cover di "Higher Ground" di Stevie Wonder). È il 1989, e per Red Hot ritorna il successo; l'album vende 500.000 copie e la band decide di puntare anche sul mercato europeo lasciando la vecchia casa discografica per passare alla Warner.

Ma è il 1991 l'anno d'oro dei Peppers: Blood Sugar Sex Magik contiene 17 brani, tutti registrati dal vivo, ed è quattro volte disco di platino. "Give It Away" vince il Grammy come "best hard rock track", "Under The Bridge" è il ricordo per Anthony della sua vita segnata dalla droga a L.A. qualche anno prima, i singoli "I Could Have Lied", "Breaking The Girl" e "Suck My Kiss" insieme alla title-track segnano la nascita di un nuovo genere musicale: è il crossover, incrocio di generi musicali diversissimi tra di loro e fino a quel momento mai sperimentati insieme, e segna la fine dell'hardcore come genere monotematico dittatore della cultura underground.

In Blood Sugar Sex Magik punk e hardcore si alternano all'hip hop o ai ritmi in levare, allo ska e all'hard rock. Inizia così un immenso tour mondiale lungo tutto il 1992, ma il 7 marzo, durante una tappa in Giappone, John Frusciante dà l'annuncio del suo ritiro: "Non posso rimanere più con la band, ho raggiunto uno stato in cui non riesco a rendere giustizia a quello che ho creato. Non riesco più a dare alla band quello che sono tenuto a dargli... semplicemente dite al mondo che sono impazzito". Flea più tardi dirà che John non andava d'accordo con la casa discografica, che lo aveva ingiustamente escluso dalla copertina dell'album. Arik Marshall conclude il tour alla chitarra. Dopo l'uscita di What Hits!?, raccolta di diciassette brani storici più "Show Me Your Soul", dalla colonna sonora del film "Pretty Woman", nel 1994 il nuovo chitarrista è Dave Navarro (Santa Monica-California, 1967), ex Jane's Addiction. Un anno dopo è pronto il nuovo lavoro, One Hot Minute, sicuramente più commerciale del precedente, con le hit "Aeroplane" e "My Friends" (scritta da Anthony in onore dell'amico River Phoenix, morto nel 1993), e il capolavoro di Flea, "Pea", che gli vale il titolo di "Best bass player" del 1996. Nel '96 esce anche il singolo "Love Rollercoaster", nella colonna sonora di "Beavis and Butthead do America".

Verso la fine del 1997 John Frusciante è ricoverato in ospedale per abuso di droghe: i Red Hot corrono al suo capezzale. È un segno del rientro del parzialmente disintossicato chitarrista, annunciato ufficialmente il 22 aprile del 1998, insieme all'uscita, entro un anno, del nuovo lavoro, Californication. L'album si rivela un top seller, ed è subito nei top 5 album sia in USA che in Inghilterra. Le copie vendute sono più di nove milioni, e dall'album sono estratti cinque fortunatissimi singoli: "Scar Tissue", "Around The World", "Otherside", "Californication" e "Road Trippin". L'ennesimo tour mondiale è coronato dalla presenza a Woodstock e dal concerto nella Piazza Rossa a Mosca, che rappresentano due dei maggiori eventi musicali degli anni 90. Nel 2000, a completare l'opera, la raccolta Best of, aspettando un nuovo lavoro, all'inizio del 2002, con la band che ha finalmente ritrovato il suo assetto grazie a Frusciante, e non sembra intenzionata a lasciarlo per niente al mondo.

Dopo gli oltre 9 milioni di copie vendute in tutto il mondo con Californication, i Red Hot Chili Peppers tornano con By The Way (2002), sedici tracce che però risentono della banalità abissale in cui è caduto tutto il gruppo. Sicuramente c'è da dire che questo non è un lavoro innovativo del gruppo di Los Angeles. Dopo il rientro di John Frusciante e il successo esplosivo di "Californication" la band sembra ormai essersi creativamente spenta ed è difficile decifrare quale sia, in fondo, la causa di tutto ciò. Ma più che le cause del calo dei Red Hot Chili Peppers, noi possiamo misurarne gli effetti: "By The Way" è l'estremizzarsi della carenza di ritmicità che già pervadeva "Californication", anche se, in quest'ultimo, molti pezzi ricordavano le già dimenticate atmosfere funk-rock. L'atmosfera generale del disco è uniforme e inusualmente pulita; come se fosse stato studiato per una pacatezza da supermercato, si potrebbe quasi definirlo una sorta di ripresa, in chiave smorzata, o addirittura una degenerazione, dellla pop-art. Tuttavia i Peppers continuano a lanciare messaggi di "californicazione"; come per esempio con "Throw Away Your Television" (uno dei pochi pezzi degno di nota), paradossalmente rimanendo fagocitati dalla spirale mortale del commercio. Kiedis è sempre votato al sentimentalismo, il quale però è tristemente meno incisivo rispetto alla spontaneità "sessuale" dei lavori precedenti. Flea sembra essersi ridotto alla solita effettistica con cui si è sempre distinto in passato, ma questa volta senza mai spiccare, come invece ogni tanto faceva anche nell'album precedente. Ritmiche più serrate e complesse "sfruttavano" decisamente meglio la tecnica di Smith. Frusciante, dal canto suo, colma ancora le distensioni armoniche con il suo falsetto psichedelico, tuttavia i suoi soli non sono più un piccolo viaggio di colori forti, ma sembrano un semplice "riempimento" votato alla non-creatività del dio denaro. Pezzi apprezzabili per la loro aggressività "speziata-ma-non-troppo" sono i due singoli "By The Way" e "Can't Stop", che risultano privi di sapore per chi era abituato a peperoncini caldi e rossi nelle orecchie. Se quest'album strizza un occhio alle vette delle classifiche, di sicuro chiude l'altro di fronte alla sincerità devastante di quella che era la musica dei Red Hot Chili Peppers.

By The Way ha fatto molte vittime. Ha sfiduciato tutti i vecchi ascoltatori di funk rock, ha allontanato quasi definitivamente una parte di pubblico, prendendosi però una fetta di mercato molto ampia: gli adolescenti. Questi ora sono i Peppers. Un gruppo di quarantenni (Frusciante ci perdoni), alle prese con la rilassatezza della vita, incapaci di ripensarsi attori di una musica che non suonano (suoneranno?) più.

A sancire il definitivo addio alla scena "alternative" americana ci pensa il Greatest Hits (2003, Warner). Si riesce a capire e giustificare la Warner, che vuol battere il ferro quando ancora è caldo, spremendo dal quartetto californiano quanti più dollaroni possibile.
A livello musicale (ed è questo il piano che ci compete) ci ritroviamo di fronte all'ennesima delusione; ma non è la scelta dei brani, che è di per sé arbitraria (anche se mettere due canzoni di un album uscito l'anno prima fa pensare), ma degli inediti: "Fortune Faded" e "Save The Population". Il primo ha una genesi lunga e una gestazione travagliata; nasce come una perfetta sintesi tra anima funk rock e anima melodica nel 2001, ma nel giro di tre anni ce la ritroviamo trasformata in una hit da superproduzione pop. Di "Save The Population" è forse meglio non parlare. Un merito ce l'ha, questa raccolta: riporta in luce un gioiellino del periodo d'oro dei Peppers, quella "Soul To Squeeze" rimasta occultata per anni come b-side. Ora trova la giusta ribalta, il giusto palcoscenico e la giusta riconoscenza.

Per non farci mancare nulla, nel 2004 esce un disco dal vivo. Il Live In Hyde Park (2004, Warner) è una registrazione del meglio di tre concerti consecutivi tenuti nell'estate del 2004 dai Red Hot Chili Peppers nel più grande parco di Londra. Kiedis e compagni sono allo zenith della loro fama, e riescono a richiamare 250.000 persone. Tra vecchi brani ("Give It Away", "Under The Bridge"), cover (persino "Black Cross" dei 45 Grave) e inediti ("Rolling Sly Stone" e "Leverage Of Space") l'album suona quanto meno autentico e nonostante la presenza dei soliti brani, rimane la certezza che i Red Hot Chili Peppers almeno dal vivo riescano ancora ad offrire qualcosa. L'inedito "Rolling Sly Stone", omaggio al gruppo di Mick Jagger e a Sly Stone, cerca di trovare la via di mezzo tra il passato e il nuovo corso, mentre "Leverage Of Space" affossa ogni tipo di speranza per il futuro compositivo della band.

Stadium Arcadium (2006) è il nono lavoro in studio della band.
Il singolo "Dani California" è un mastodontico e plasticoso hard-rock, nello stile dei Jane's Addiction, dei Velvet Revolver e sicuramente dei prossimi Guns 'n' Roses (e se questo non bastasse, aggiungiamo che il ripescaggio della melodia di "Mary Jane's Last Dance" di Tom Petty è da denuncia immediata). Struttura poderosa, chitarroni, e un ritornello bello melodico: tre concetti dei più banali.
La mano di John Frusciante è evidente, al punto che, non a torto, si potrebbe considerare il disco un figlio diretto di quello Shadows Collide Wih People uscito ormai quattro anni fa. Non solo Frusciante, comunque. Flea e Chad Smith non erano mai stai così protagonisti dai tempi di Californication.

Nel primo disco (intitolato "Jupiter"), accanto alle scialbe "Snow Hey Oh" e "Charlie", si fa notare "Stadium Arcadium", ballatona acustica in linea di tradizione con "My Friends" e "Otherside". Stesso discorso per "Strip My Mind", ma qui siamo dalle parti della più recente "Don't Forget Me", e "Slow Cheatin'", gioiellino pop con melodia indimenticabile, ritornello easy, atmosfere rilassate e felici. O siamo noi a essere innamorati, o le melodie dei Chili Peppers hanno dismesso i panni zuccherosi e smielati, e hanno acquisito più mordente e incisività. A seguire troviamo il divertito funk-pop "Hump de Rump" e quella "She's Only 18" che rispolvera la tradizione hard-rock-blues americana (Jimi Hendrix su tutti), addolcita con la solita stucchevole dose di pop (qui davvero troppo zuccherosa, considerato anche il contesto), declinazione preferita di Anthony Kiedis. Una menzione particolare la meritano anche "Warlocks", apertura funk con un Kiedis indeciso tra rap e pop, e "Wet Sand", marchiata col sangue di Frusciante, tanto ne è geneticamente figlia.

I colpi migliori sono stati sparati subito e nel caricatore dei californiani rimane ben poco, e quel poco sono pallottole spuntate. Indolori e ordinarie si susseguono rapide le quattordici tracce del secondo cd (intitolato "Mars"), lasciando un retrogusto sciapo. E dire che quella "Desecration Smile" messa lì ad aprire le danze non prometteva male: una marcetta country arricchita dei fiori e dei colori della California, un ritmo incalzante e una melodia semplice. Nella mezz'ora successiva, invece, succede ben poco: gli scossoni arrivano quando si risentono in versione definitiva i brani "Ready Made" e "21st Century" che erano stati presentati dal vivo l'anno scorso. Le prime impressioni che si erano avute erano purtroppo quelle giuste: "Ready Made" è un polpettone hard-rock, rifforama eighties con ritornello Fm (non sfuggirà ai più attenti addirittura uno pseudoplagio dei defunti Creed). "21st Century" è un divertissement di Frusciante, che infarcisce di effetti e accordi una melodia pop su cui Anthony Kiedis ninnaneggia. Poi succede che arriva "Storm In A Teacup", e all'improvviso ci si immerge in quel mondo drogato e abbandonato che fu "One Hot Minute": stessi suoni, stesse atmosfere e stesse situazioni.

Un lustro per ricaricare le batterie, e rimirare le istantanee del successo di Stadium Arcadium, e i Peppers si ritrovano in studio. Ma Frusciante salta l'appuntamento e non per una visita dal dottore. John esce per la seconda volta dal gruppo. Kiedis e compagnia si guardano in faccia e assumono il trentenne Josh Klinghoffer. Ma la formula non cambia, tra pregi e difetti che hanno contraddistinto gli ultimi vent'anni di carriera del gruppo, dall'ascesa definitiva alle conferme milionarie. Il nuovo album, I'm With You, consuetamente prodotto da Rick Rubin, non smuove insomma una virgola e continua a percorrere i territori di un funky pop rock piacevole e talvolta ricco di mordente. Accade soprattutto nelle iniziali e assai agitate "Monarchy Of Roses" e "Factory Of Faith" che si impadroniscono di buoni spunti electro-disco, oppure in "Did I Let You Now" capace di abbracciare passi di danza salsa con tanto di inaspettato solo di tromba. Per il resto domina la routine che però non disturba, avvalendosi di schemi precisi e delle consuete ottime doti esecutive.

Nel 2016 i Red Hot hanno più o meno 54 anni l'uno (se escludiamo il trentaseienne Josh), le goliardate di gioventù se le sono, giustamente, lasciate alle spalle e hanno cambiato pelle. Con The Getaway, i Peperoncini hanno però deciso di rigirare le carte in tavola e di creare un melting pot che assimila le peculiarità di quanto da loro creato nell'arco della carriera. Si tratta, infatti, di un disco molto meno accessibile rispetto agli ultimi tre, che cresce costantemente con gli ascolti, che fatica a diventare familiare se ascoltato tutto d'un fiato, ma che può senza dubbio vantare ottimi pezzi. Una piccola rivoluzione, a ben vedere. Non è un caso che, dopo 25 anni di produzione affidata a Rick Rubin, in "The Getaway" abbiano preferito affidarsi alla regia meno cristallina di Danger Mouse. Il risultato è abbastanza variegato ma compatto: vi si trova la ballata dolciastra "The Longest Wave", o il retrogusto à-la Daft Punk di "Go Robot", e poi il pianoforte, introdotto già nel precedente disco, che qui riesce a trovare il suo spazio senza risultare mellifluo. Basti ascoltare la conclusiva "Dreams Of A Samurai", che oltretutto rimanda a qualche sonorità presente in "OHM", vuoi per l'inaspettato dolore che ne trapela, vuoi per la poderosa linea di basso che si stende sulla canzone, vuoi per i cori, vuoi per le sonorità sature, vuoi per la chitarra di Josh, che inizia a farsi strada. Il testo, poi, si profila come una narrazione intimista, in cui Kiedis ci immerge nel suo affanno, nella rincorsa verso un mondo che non sente più suo. Oppure, "The Hunter", in cui è Josh a suonare il basso, mentre al piano troviamo proprio Flea, frattanto che Kiedis tratteggia con lievità un dipinto sul ciclo della vita e l'angoscia di invecchiare, tematica che - si capisce - torna più volte nel corso del disco. E, ancora, "Sick Love", con Elton John ad accompagnarli al pianoforte, uno dei brani più orecchiabili, senza dubbio il più classico.
Tra gli aspetti più positivi del disco c'è il fatto che i californiani stiano ricominciando a ragionare come una band: lasciata nel passato la tensione tra il pop di Kiedis e la sperimentazione di Frusciante, ora sembra che ogni componente si stia riappropriando del proprio spazio. Kiedis è ormai fermo sul suo classico timbro vocale monocromatico, ma almeno ci prova a uscirne, in più stavolta lo si può perdonare perché sembra aver ritrovato la sua facondia e infatti testi così ispirati e sinceri era tanto che non si ascoltavano nelle canzoni del gruppo (non ha perso però il gusto per il nonsense). Un esempio? In "Feasting On The Flowers" torna a masticare le parole in testi che sanno di scioglilingua, in un ricordo delicato verso un amico perduto. La canzone sembra fare riferimento a Hillel Slovak e, come ogni pezzo che i Peperoncini hanno dedicato all'amico tragicamente scomparso, da "Knock Me Down" a "My Lovely Man", si staglia per bellezza e intensità. Anche qua ottimo lavoro di Josh che crea un'atmosfera catchy nonostante la mestizia delle parole. E se tutto sembra troppo soft, ci pensano "Detroit" e "This Ticonderoga", i due pezzi più tirati del disco, a riassestare gli equilibri.
Un buon album che, oltre al solito instant classic che i californiani regalano ad ogni uscita (in questo caso "Dark Necessities", novella "Can't Stop"), offre qualcosa di sostanzioso da ascoltare, riuscendo a conquistarsi un posto più che dignitoso nella discografia dei californiani.

L'ennesimo rientro in squadra di John Frusciante, in luogo di Josh Klinghoffer, e il riposizionamento di Rick Rubin in cabina di regia, riporta i Chills al passato, non solo per quanto concerne la line-up.
Unlimited Love è il risultato di questa storica rimpatriata, che nel corso del 2022 riporta la band losangelina sulle scene a sei anni di distanza dal lavoro precedente.
L'album è decisamente lungo (73 minuti) e si racconta attraverso diciassette brani che purtroppo confermano la calzante definizione che quantità non è sempre sinonimo di qualità.
Qualche passaggio interessante, a dire il vero, non manca. La chitarra di Frusciante ruba la scena nell'opener "Black Summer" (che ricorda vagamente e con i dovuti distinguo "Under The Bridge") e nei toe-tapping di "She's A Lover" e "Whatchu Thinking".
Naturalmente non è solo l'estroso chitarrista newyorkese a mettere in mostra le proprie capacità. L'agile lavoro al basso di Flea è il protagonista di "Here Ever After", con Kiedis in buona forma nello sciorinare con velocità il suo classico rap-flow, che si ripropone anche nella divertente "One Way Traffic".
Le atmosfere funk proseguono in "Aquatic Mouth Dance", dove Flea e Chad Smith s'intersecano vicendevolmente, come ai bei tempi, in un'appassionante sezione ritmica.
I Red Hot Chili Peppers confermano anche in Unlimited Love che le singole abilità tecniche, dopo decenni di celebrato servizio, non sono affatto messe in discussione, ma tutto questo non basta, anzi si rivela paradossalmente un'aggravante, perché quattro artisti così talentuosi non possono e non devono accontentarsi di strappare una striminzita sufficienza.

A soli sei mesi da Unlimited Love, i redhot danno segni di forte continuità creativa con la pubblicazione di Return Of The Dream Canteen, altro corposo album (diciassette brani, proprio come il suo predecessore) che vede la formazione losangelina schierata ancora in formazione tipo, con John Frusciante alla chitarra e Rick Rubin in cabina di regia.
La particolarità del raffronto tra i due ravvicinatissimi lavori, in pratica realizzati in contemporanea, porta ad acuire i difetti del suo predecessore, troppo dispersivo e sorretto esclusivamente dalla caratura artistica dei componenti.
Intendiamoci, anche tra queste diciassette tracce non scompaiono frangenti trascurabili, come spesso è capitato nei lavori dei Peppers, soprattutto in quelli di durata oltre la media sindacale (vedi "Stadium Arcadium"), ma la nota positiva che emerge in generale dai solchi di questo "doppio album" è una maggiore definizione delle idee che hanno portato alla stesura finale del progetto.
Il lavoro miscela con esiti più che discreti l'accesso nella loro comfort zone, che fa del trascinante crossover funk-rock il cavallo di battaglia ("Fake As Fu@k" e "Afterlife"), con alcune svisate verso altri lidi, addirittura proiettati verso credibili armonie blues ("Carry Me Home"), affabili puntate a sonorità anni 80 ("In The Snow"), levigati intrecci pop con venature jazz, grazie al sax posizionato sul finale ("My Cigarette") o le ondivaghe trame del divertente singolo "Tippa My Tongue", accerchiato da sezioni che riconducono a risonanze seventies.
I testi di Kiedis, in buona forma vocale, mostrano i segni del tempo, più banali, forse (fortunatamente per lui) perché non più legati alle gravose vicissitudini personali che, c'è poco da fare, lo avevano spinto a diffondere concetti e contenuti di indubbio interesse.
Come ogni loro album però, le situazioni che lasciano il segno sono quelle caratterizzate dalle solide ritmiche create dalla relazione basso/batteria di Flea e Chad Smith, sequenze da assoluti cattedratici del settore ("The Drummer" e "Roulette") o dove il ritrovato Frusciante può liberare il suo inimitabile estro in piena e finalizzata libertà, come nel tributo al grande Van Halen ("Eddie"), nell'esplosiva "Reach Out" e nella graffiante "Bag Of Grins".
"Return Of The Dream Canteen" riporta i Red Hot Chili Peppers sulla retta via. Nulla di sensazionale e di innovativo, come detto, ma un'oggettiva miglioria rispetto ai discutibili lavori che hanno marcato il loro recente percorso artistico.

Contributi di Davide Sechi ("I'm With You"), Giulia Quaranta ("The Getaway"), Cristiano Orlando ("Unlimited Love", "Return Of The Dream Canteen", "Maya", ".i: - :ii.")

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John Frusciante: fuga solitaria

di Pier Eugenio Torri

Parallelamente ai Red Hot Chili Peppers, John Frusciante si costruisce una vita artistica nuova, diversa, personalissima. Siamo nel 1991, durante le sessions di registrazione di Blood Sugar Sex Magik, quando Frusciante matura l'idea di dedicarsi a qualcosa di proprio, qualcosa che esprima esattamente il suo stato d'animo, qualcosa non filtrato dalle personalità di altri diversi da lui, qualcosa di autentico.

Una chitarra, un registratore amatoriale e poco altro. Sono questi gli strumenti tecnici usati per il primo album solista Niandra LaDes - Usually Just A T-Shirt (1995, American). Più complesso il parto, che il prodotto finito. Incuriosito e stimolato da quello che gli stava intorno, dalla musica che ascoltava e da quel glam strisciante che si sentiva un po' addosso, progetta un concept album con un personaggio "femminile/maschile" che compare anche in copertina: Niandra LaDes appunto.
È chiara l'influenza dello "Ziggy Stardust" di Bowie. L'idea è pretenziosa, forse troppo per un ragazzo ventenne che ha mangiato punk, funk e metal per tutta l'adolescenza.
Le idee "musicali" e "melodiche" certamente non gli mancano e, abbandonato sul più bello il progetto ciclico del concept, sforna un disco doppio quanto meno nel numero delle canzoni presenti nella tracklist: 25.
Una prima parte più completa, con canzoni che sembrano studiate per avere un inizio e una fine: "As Can Be", "My Smile Is A Rifle", "Curtains", "Been Insane" sono soltanto alcuni dei brani che contengono in sé il tipico tocco di chitarra frusciantesco, quel tocco che ha instaurato un legame profondo tra lui e i suoi estimatori. La voce stonata, ubriaca, grezza si smaterializza in un falsetto fanciullesco, proprio come certi temi bambineschi dei suoi brani, proprio come quelle voci inserite in "Untitled #8" o il Frusciante bambino che canta "Untitled #9", proprio come quella dedica dell'album a Clara, figlia piccola dell'amico Flea. In Niandra Frusciante esalta il suo lato debole, fragile, femminile, ambiguo, portando su disco anche tutti i malumori e un malessere di vivere tipico del drogato, dell'homeless non convinto. Registrato in casa con un registratore amatoriale. Lui solo, con chitarra, qualche foglio per abbozzare qualche frase sconclusionata, e tanta, tanta droga. "Your Pussy's Glued To A Building On Fire" è il pezzo più compiuto della prima parte dell'album e forse anche uno dei più riusciti. La voce rotta dalla droga dipinge una melodia disperata con una chitarra che passa da semplici accordi d'accompagnamento ad assoli distorti.
La seconda parte del disco è quella "No Named": tutte le canzoni sono appunto senza titolo, presentate solo con la dicitura "Untitled". La scelta di non dare un titolo rispecchia la natura approssimativa del progetto; sono abbozzi di melodie, ipotesi di canzoni, incompiuti brani che girano intorno talora ad un riff azzeccato, talaltra a una melodia.
In questo mondo immerso nella "non compiutezza" riescono ad emergere un paio di brani davvero interessanti: "Untitled #3" e "Untitled #11". La prima è una semi ballata acustica di poco meno di due minuti con un riff rallentato e con una coda parlata rauca, ubriaca e distorta; la seconda ha un incipit strumentale/noise e un seguito più melodico con un giro di accordi accattivante. (Messo da parte il bambino, Frusciante mette in scena un nuovo personaggio: il drogato. Non è una maschera o un nuovo personaggio da interpretare, è semplicemente se stesso. Un uomo disperato e distrutto)

John Frusciante inizia la sua discesa agli inferi: si rinchiude per mesi in casa, trascorrendo giornate anonime tra droga e musica. Stanco di tutto, del successo, degli amici, si allontana anche dal suo unico e vero amore: la musica. Taglia i ponti con il mondo, inizia a dipingere vivendo di rendita.
È un tossicodipendente quasi irrecuperabile, otto overdose da cui esce fortunatamente vivo. Per pagarsi l'eroina decide di rimettersi a strimpellare la chitarra e con l'aiuto degli unici amici rimasti (tra cui Johnny Depp) rilascia quello che è a tutti gli effetti il suo secondo album: Smile From The Streets You Hold (1997, Birdman).
Il disco è orrendo e cacofonico. Si respira la malattia, la sofferenza, la totale spersonalizzazione di un uomo che fino a poco tempo prima sembrava in grado di vivere. La droga ha rapito la sua anima; Frusciante finisce in un vortice di paranoie e allucinazioni. Le canzoni del disco sono l'esatta trasposizione musicale di un uomo alla fine della sua vita, stanco di alzarsi alla mattina, stanco di guardare il cielo. È musica distruttiva, feroce, graffiante, priva di catarsi. Un musicista allo sbando, senza soldi, ma purtroppo senza nemmeno la gioia di suonare, e questo è il vero limite del disco; non ci sono momenti ispirati, ci sono solo frammenti di una vita a pezzi, sono cocci del vaso della vita rotto dalla dipendenza dalla droga. Ascoltare "Smile From The Streets You Hold" è ascoltare il delirio di un malato di mente allo zenith della sua psicopatia.

Dopo quattro anni di autoesilio volontario e di autodistruzione, John Frusciante decide di curarsi, di iniziare la lunga battaglia per disintossicarsi; si ricovera in un ospedale specializzato e grazie all'aiuto di alcuni amici riesce a vincere la battaglia più importante della sua vita. Ora può dedicarsi di nuovo ai Red Hot Chili Peppers e al contempo ricominciare a scrivere qualcosa di suo. Nel 2001 esce To Record Only Water For Ten Days (2001, Warner). L'album è ancora una registrazione casalinga, ma questa volta si intuisce un'evoluzione compositiva e, soprattutto, compaiono degli acerbi tentativi di arrangiamento. Alla chitarra acustica si aggiunge il synth, vero e proprio animatore di molti brani del disco. Per la prima volta in un album di Frusciante, le canzoni hanno un loro inizio, un loro sviluppo e una loro fine; forse proprio per questo motivo le iniziali "Going Inside", "Someone's", "The First Season" e "Away & Anywhere" sono tra i migliori episodi fin qui composti. Si tratta di un rock lo-fi cantautorale che ha le sue origini in Syd Barrett e Nick Drake, un suo prosieguo attraverso i lavori di Daniel Johnston, e una sua conclusione con gli innumerevoli progetti di indie rock lo-fi che crescono come funghi al giorno d'oggi. A questo si aggiunga la passione per la musica dei Depeche Mode, rivivibile proprio in questo album di synth-pop. Le melodie e i riff di chitarra sono l'arma di Frusciante; le cose gli riescono particolarmente bene, e una più serena esistenza toglie quella malinconia depressiva che era stata, fino ad ora, il suo marchio di fabbrica.

A seguito del ritrovato amore per la musica e per la vita, Frusciante decide di fare un regalo ai propri fans. Così, nel 2001, fa uscire un album, comunemente chiamato Internet album - From The Sounds Inside, interamente scaricabile gratuitamente dal sito ufficiale. Canzoni ancora sghembe, demos, vecchie idee, alternative takes, inediti, tutto inserito e impacchettato in un album che sancirà l'inizio di un forte legame tra l'artista e il suo pubblico, usando il mezzo internet. Ascoltandolo ora si scoprono i bozzoli di alcune canzoni che ritroviamo complete negli album successivi. Quello che conta non è il valore musicale - che si allinea su quanto espresso nel primo album soprattutto - ma l'idea in sé.

La grande opportunità gli viene offerta tre anni dopo dalla Warner, che già lo aveva sostenuto nella realizzazione del precedente album. Finalmente potrà avere uno studio di registrazione e un budget più sostanzioso, e, quello che più conta, una distribuzione e una visibilità mediatica più ampia. Alla prova della verità Frusciante non sbaglia, dando alle stampe Shadows Collide With People (2004, Warner) che riesce a sintetizzare tutta la musica che ha in testa. È un album di idee, forse troppe e poco sviluppate, ma pur sempre un piatto ricco e vario. Si passa dall'indie rock melodico ("Song To Play When You're Lonely"), a qualcosa di più elaborato ("Carvel)", dalle solite canzonette surf pop ("Omission", "Ricky"), a escursioni in territori di elettronica sintetica e rumore ("Failure 33 Project").

Il progetto: sei album in sei mesi

Alla fine delle session di By The Way, Frusciante si è ritrovato con una montagna di registrazioni ancora inedite. Come fare per rispolverarle? L'idea di pubblicare sei album in altrettanti mesi nasce spontanea nella sua bizzaria. Trova in una piccola label, ma affibiata a una major (segnatamente la Warner), il sì per la distribuzione ed eccoci qui a parlarne, a cose quasi del tutto avvenute. Seguire infatti tutte le orme edite dal Frusciante 2004 è impresa davvero difficile, e non solo per la mole. La varietà della proposta musicale (si va dalle home recordings appena appena pulite a delle lunghe jam sessions) riesce a distrarre anche l'orecchio più snob.

Il primo ad uscire è The Will To Death (2004, Record Collection). Questo è forse il più conforme alla storia musicale frusciantesca: non tanto per la melodia, quanto proprio per il modo di suonare quello strumento che lo ha reso famoso. I suoi tocchi sono un rispolvero del passato che fu, e sentirsi braccati già dai primi secondi ("A Doubt") con un riff ridisceso da "Sir Psycho Sexy" è oltremodo emozionante, soprattutto dopo aver dovuto buttar giù tutto d'un fiato il suono sintetico dell'ultimo lavoro dei Red Hot Chili Peppers. A riempire il resto ci pensano altre undici canzoni che ripercorrono cavalcando tutto quello che il nostro già ha detto. Il concetto è lo stesso, ma le parole usate sono diverse. Poco orginale? Forse. Allora capita di sentirsi melodie pop come "A Loop" e "The Mirror": la prima, più intensa, non sfigurerebbe per qualità in "To Record Only Water For Ten Days", la seconda invece è una nenia imbarazzante degnissima di rappresentare giusto solo il periodaccio che sta vivendo la musica dei Peppers. Le cose tornano a girare nella maniera giusta nella seconda parte: "Far Away", con incipit orientaleggiante/mistico (ma di quello alla Aerosmith in "Nine Lives"), è a suo modo una discreta canzone. Così come lo sono "The Days Have Turned Away", (che ha un incedere, sembrerà strano, simile a Tracy Chapman) e la title-track "The Will To Death", che è una rivisitazione di "Scar Tissue" con un accordo in più. L'album è in definitiva il compendio degli ultimi cinque anni di musica, un frullato in cui Frusciante ha messo dentro davvero tutto, peccato che non si sia dimenticato di aggiungere le mele marce "bythewayane".

A nome "Ataxia" esce Automatic Writing (2004, Record Collection). È questo il risultato della collaborazione a tre tra John Frusciante, il fido amico-collaboratore Josh Klinghoffer (leader dei losangelini Bycicle Thief) e Joe Lally (bassista dei Fugazi). Registrato in presa diretta nel giro di due giorni di studio, l'album è un Ep di cinque brani che riflettono la volontà sperimentale dei protagonisti. L'idea di base è semplice: partire da un giro di basso o da una nota di chitarra e ricamarci attorno una melodia ripetuta per parecchi minuti: a volte il gioco riesce ("The Sides" e "Montreal", quest'ultima con Joe Lally alla voce) a volte invece ne esce fuori solo fumo e molta noia ("Another"). In fase di post produzione qualche taglia e cuci non toglie l'idea di jam session che ne viene fuori ascoltandolo, nonostante Joe Lally non si sforzi particolarmente col suo basso. La voce di Frusciante si riappropria di tutte le inflessioni sfoggiate in dieci anni di carriera, dal pop fanciullesco melodico all'urlo isterico, dal falsetto al depresso. Con questo album John Frusciante lambisce le sponde del post rock, che era sempre stato lontano dal suo sentire, troppo istintivo e grezzo per elaborare con la sua chitarra una musica che è, di per sé, intellettuale.

Il DC EP (2004, Record Collection) consta di quattro pezzi registrati in un'unica sessione negli studi Innar Heads dei Fugazi a Washinghton D.C. A Frusciante viene offerta la possibilità di servirsi della sala prove dei Fugazi, di utilizzare gli strumenti e di registrare il tutto. Il nostro non si lascia certo sfuggire l'occasione, imbraccia la Les Paul Junior di Guy Picciotto, e inizia a suonare con Ian MacKaye (Minor Threat e Fugazi) alla produzione (è il primo album non autoprodotto da Frusciante stesso). Quello che poteva sembrare un'idea interessante si trasforma invece in un leccatissimo pop album. Tutto giocato su semplici riff, giri di chitarra accativanti, melodie malinconiche che entrano facilmente in testa. Alla fine dei 20 minuti si rimane però con un pugno di mosche in mano, le quattro canzoni se ne sono andate via lasciandosi dietro poco, pochissimo. È un album formato da canzoni prenatalizie suonate davanti a un camino, canzoni che nascono in un momento, appena trovata la giusta melodia. Se non si chiamasse Frusciante, quest'album non sarebbe mai uscito.

Con Inside Of Emptiness (Record Collection, 2004) il nostro ritorna a suonare la chitarra e ad un'idea di rock seventies. Frusciante stesso in un'intervista rivela: "Se per The Will To Death i Velvet Underground che ho ascoltato sono quelli del terzo album, in questo mi sento più vicino a 'White Light/White Heat' e a 'Lust For Life' di Iggy Pop". Un rock duro, sporco, crudo come quello di Iggy Pop e un suono pieno di distorsioni come il secondo VU. Sono presenti entrambi gli ingredienti, sviscerati e presentati alla maniera frusciantesca. È una visione adulta dell'esordio "Niandra", ma proprio per questo è privo della spontaneità/ingenuità che lo rese speciale. Si risente il solito Frusciante (pur nella sua veste migliore), alle prese con la melodia pop, con il falsetto, con il tocco di chitarra peppersiano. Ad emergere ci sono la ballata "A Film Kick" e la più sfacciatamente Iggy Pop-oriented "666" con inusuali urla.

Abbandonato l'hard-rock, in A Sphere In The Heart of Silence (Record Collection, 2004) Frusciante richiama il fido compare Josh Klinghoffer e si tuffa nel mondo dell'elettronica. Rispolvera l'esperienza "live" sotto il moniker "Performance" reiterata per una decina di volte nei locali losangelini; ritaglia il superfluo, cercando di condensare in forma canzone quello che era il frutto di pura improvvisazione elettronica, e annega il suono in synths, drum machine e orpelli elettronici. L'iniziale "Sphere" perpetua il proprio viaggio onirico per una decina di minuti, lambendo a tratti i territori della noia: in un mare di suoni sintetici, beats regolari a cadenzare il ritmo e sciabolate kraute, emerge un suono spaziale di chitarra elettrica. Tra una scialba "The Afterglow" e un'inconcludente "Walls" si salvano la melodia rallentata di "Communique", cantata da Josh Klinghoffer che si accompagna anche al pianoforte, e la conclusiva "My Life" che col suo incedere folky pop ha davvero poco da spartire con l'anima indietronica dell'album. Più che un album di Frusciante, "A Sphere In The Heart of Silence" è il cazzeggio notturno di due amici, dopo aver passato tutto il pomeriggio ad ascoltare "Vespertine" di Bjork e "Amnesiac" dei Radiohead.

Curtains (Record Collection, 2005) chiude l'ambizioso progetto dei sei album in altrettanti mesi con il più classico del songwriting frusciantesco. Lasciate alle spalle le fughe in territori musicali a lui poco consoni, John Frusciante ritorna a fare quello che gli riesce meglio. Con un registratore a otto tracce, sdraiato sul pavimento di casa, registra una dozzina di canzoni a metà strada tra l'istintività di "To Record Only Water For Ten Days" e l'attenzione armonica, specie per le sovraincisioni di chitarra e basso, propria di "Shadows Collide With People". Il ripresentarsi con l'abito del cantautorato indie-lo-fi ha il pregio, quantomeno, di riascoltare un Frusciante nella sua intimità, alle prese con il gioco melodico tra voce e chitarra. Purtroppo il giochetto alla lunga stanca e risultare originale quando in un anno si sono pubblicati sette album è dannatamente difficile. "Curtains" è il colpo di coda dell'intero progetto ed è l'album migliore della serie unitamente a The Will To Death: album, questi ultimi due, tra loro simili, in quanto rappresentano su disco il lato acustico, intimo e sincero di Frusciante che, evidentemente, esprime il meglio di sé proprio quando si cala in queste vesti.

Nel 2007, il ritorno degli Ataxia, con Automatic Writing II.

La musica di John Frusciante si è inflazionata; l'esperienza "mistica" e totalizzante di un tempo è scomparsa, a favore di un "fordismo" musicale che poco ha a che fare con la qualità. È umanamente capibile la voglia del chitarrista dei Red Hot Chili Peppers di diffondere tutta la sua musica, soprattutto in un momento personale così prolifico. Tuttavia, quella musica che è per Frusciante una medicina anestetizzante delle sue psicopatie diventa spesso ripetitiva, noiosa e poco interessante ai più. Frusciante non è un Klaus Schultze, un Frank Zappa, un Captain Beefheart: il suo sperimentare nuovi territori musicali non ha valore artistico, ma è puro cazzeggio. E il cazzeggio musicale può, tutt'al più, interessare gli indefessi fan del chitarrista losangelino. Non sono certo mancati i buoni spunti lungo l'esperienza dei sei album, ma ben più numerose sono state le cadute di tono e la noia ha spesso preso il sopravvento su tutto il resto.

Dopo la controversa parentesi drill and bass/idm di Maya (2020) e soprattutto dopo aver contribuito alla realizzazione di ben due album nel giro di sei mesi con i Redhot (Unlimited Love e Return Of The Dream Canteen del 2022), nel primo scorcio del 2023 Frusciante si rituffa nel mondo dell'elettronica, questa volta andando a sondare il lato più oscuro di quell'infinito mondo, rivolto verso direzioni poste tra dark-ambient, glitch e drone-music.
.i: - :ii. è probabilmente il frutto della volontà del musicista newyorkese di resettarsi dal mondo sempre ricco di aspettative dei RHCP.
Frusciante ci immerge lungo dieci interminabili strumentali (il disco dura ben 103 minuti), forgiati da una sequenza di suoni ipnotici e dilatati all’inverosimile, quasi una sorta di lobotomia virtuale lanciata in direzione di luoghi siderali che probabilmente solo l’artista riesce a scorgere appieno.

Il pensiero che ha motivato Frusciante alla creazione di questi brani è quello di percepire le sue musiche come sculture solitarie immerse in uno spazio sonoro che non imponga confini, con la capacità di trasmettere contemporaneamente sensazioni di moto e di immobilità. Frusciante si è, inoltre, autoimposto di evitare cambi armonici improvvisi, soprattutto evitando sequenze di note e ritmi.
Il doppio identificativo assegnato all’album non è altro che la suddivisione delle due modalità di diffusione del progetto: .i:, quella ridotta, distribuita in formato vinile non solo per motivi di spazio, ma anche perché alcune frequenze sonore sarebbero state irriproducibili su questo supporto, e :ii., quella completa, rilasciata su tutte le piattaforme digitali e su cd.

.i: o :II., appellatelo come volete, è un prodotto ostico, non c’è alcun dubbio, che si lascia comunque preferire alle svisate techno che Frusciante ha talvolta progettato per alcuni suoi lp solisti.
Questa musica ha come unico obiettivo quello di esistere, senza tentativi di condizionare o afferrare l'ascoltatore. Raggiunge il suo apice comunicativo con un ascolto dedicato, se possibile effettuato in cuffia, pur conservando alcune funzionalità anche a basso volume, come sottofondo. Può competere con il silenzio, solo alle particolari condizioni imposte da quest’ultimo, ma può anche fungere da totale cancellazione di ogni stato di quiete.

Red Hot Chili Peppers - John Frusciante

Discografia

RED HOT CHILI PEPPERS

Red Hot Chili Peppers (EMI, 1984)

6

Freaky Styley (EMI, 1985)

6,5

The Uplift Mofo Party Plan (EMI, 1988)

6,5

Mother's Milk (EMI, 1989)

7

Blood Sugar Sex Magik (Warner, 1991)

8

One Hot Minute (Warner, 1995)

5,5

Californication (Warner, 1999)

7

By The Way (WEA, 2002)

4,5

Greatest Hits (Warner, 2003)

Live At Slane Castle (live, Warner, 2003)
Live Hyde Park (WEA, 2004)

6

Stadium Arcadium (Warner, 2006)

5,5

I'm With You (Warner, 2011)6
The Getaway (Warner, 2016)6,5
Unlimited Love (Warner, 2022)6
Return Of The Dream Canteen (Warner, 2022)6,5
JOHN FRUSCIANTE

Niandra LaDes And Usually Just A T-shirt (America, 1995)

7

Smile From The Streets You Hold (Birdman, 1997)

4

To Record Only Water For Ten Days (Warner, 2001)

7

Internet album (2001)

6

Shadows Collide With People (Warner, 2004)

6,5

The Will To Death (Record Collection, 2004)

6,5

Ataxia - Automatic Writing (Record Collection, 2004)

6,5

The DC EP (Record Collection, 2004)

4,5

Inside Of Emptiness (Record Collection, 2004)

5,5

A Sphere In The Heart Of Silence (Record Collection, 2004)

4,5

Curtains (Record Collection, 2005)

6,5

Ataxia - Automatic Writing II (Record Collection, 2007)

Maya (Timesig, 2020)

5,5

.i: - :ii. (Avenue 66, 2023)

6
Pietra miliare
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