Royksopp

Royksopp

Funkster elettronici dalla Norvegia

Originari della stessa città norvegese dei Bel Canto, i Royksopp hanno esordito brillantemente con "Melody A.M", combinando ambient, lounge music e funk elettronico con sprazzi di colonne sonore e battiti dance. Poi, la loro carriera è proseguita tra felici intuizioni synth-pop, collaborazioni riuscite, come quella con Robyn, e qualche passaggio a vuoto

di Claudio Fabretti

Tromso, Norvegia, è una cittadina del Circolo polare artico con non più di 60.000 abitanti. Uno scenario fatto di ghiacci, casette di legno e luci del Nord. Non esattamente ciò che ci si aspetta da una delle realtà musicali più frizzanti degli ultimi anni. Qui, infatti, sono nati Bel Canto e Biosphere, maestri di un peculiare pop, sintetico e atmosferico. E qui hanno mosso i primi passi anche i Royksopp, giovanissima band esplosa col suo album d'esordio, Melody A.M.: un mix di suoni trasversali e manipolati, in bilico tra sinuosi ritmi dance e suadenti atmosfere da lounge music. Dal "chill-out" di "Royksopp's Night Out" agli sprezzi jazz di "She's so", dalle melodie accattivanti di "Eple" e "Remind Me" fino al suggestivo trip-hop di "Sparks", si scorre un campionario di sonorità intriganti e sofisticate, che denotano una peculiare propensione per la manipolazione e per l'elettronica più suadente. E non mancano sample curiosi, come in “So Easy", in cui è stata utilizzata la linea melodica e alcuni frammenti di una canzone appartenente a una band svedese di easy listening degli anni Sessanta, nonché sprazzi di Bacharach.

"Forse a Tromso ci sentiamo tutti un po' isolati dal resto del mondo - racconta Svein Berge, che insieme a Torbjorn Brundtland dà vita a questo eccentrico duo di funkster elettronici -. Solo un paio di ponti ci collega alla terraferma e la città più vicina è a cinque ore di auto. Non possiamo frequentare i club alla moda delle metropoli, così siamo costretti a inventarci qualcosa per vincere la noia". Eppure la formula dei Royksopp è un'alchimia di suoni incredibilmente attuali, quasi una colonna sonora del nuovo secolo: gelide brezze elettroniche, giochi melodici,pulsazioni trip-hop, atmosfere jazzate. Il tutto sorretto da un'anima funk, seppur trapiantata in un'ambientazione tipicamente nordica. E proprio l'equilibrio tra suoni "caldi" e "freddi" è una delle peculiarità dei Royksopp. "Con un po' di presunzione, direi che le nostre radici sono nell'ambient music - racconta Berge -. Crescendo, abbiamo virato verso suoni 'house'. Più basso e batteria, insomma. A Tromso fa molto freddo, così abbiamo sentito il bisogno di scaldarci un po' con ritmi afro-americani.".

Nel frullatore dei Royksopp c'è posto per le influenze più disparate: "I riferimenti obbligati sono i Kraftwerk e Brian Eno, che rappresentano il nostro lato elettronico. Ma amiamo molto la disco di Giorgio Moroder, l'uso del sampler degli Art of Noise e le armonie semplici, ma drammatiche al tempo stesso, del primo Vangelis. Descrivendo la nostra musica, ci piace dire che combina le armonie filmiche, Erik Satie e le melodie di Francis Lai (l'autore della colonna sonora di "Un homme et une femme", ndr) con il calore dell'analogico anni Settanta, la pomposità degli Ottanta e la programmazione".

La storia dei Royksopp nasce quasi per gioco. Svein Berge e Torbjorn Brundtland, entrambi appassionati di computer, si conoscono a scuola e cominciano ad architettare strani esperimenti a metà tra musica ed elettronica. "Abbiamo comprato il nostro primo sintetizzatore a 14 anni, era solo un hobby, ci piaceva manipolare temi 'ambient'. Poi abbiamo realizzato il primo demo, all'inizio degli anni '90. Quindi, abbiamo deciso di formare i Royksopp". Il nome scelto è un gioco di parole norvegese, praticamente intraducibile. "Royksopp, nella nostra lingua, vuol dire molte cose. Tradotto in inglese, potrebbe equivalere a 'puff ball', ovvero uno di quei funghi che crescono nei pavimenti e che esplodono se calpestati. Un altro significato è la nuvola di fumo che segue l'esplosione di una bomba atomica".

I due funkster elettronici di Tromso scoprono presto che fare musica è molto più divertente dell'università. "Frequentavamo corsi di lingua inglese. La musica era solo un hobby. Poi è diventata qualcosa di più grande del previsto. E allora.". Il primo fan del duo è proprio il concittadino Geir Jenssen dei Biosphere, che li mette in contatto con l'entourage della Apollo (prestigiosa casa discografica di musica ambient) e fa produrre dalla Aedena Cycle il loro "Travellers Dream" (1995). Dopo un paio di prove con l'etichetta norvegese Tellé (la stessa di Erot, Bjorn Torske, Kings Of Convenience e Annie), il duo viene notato dalla Wall Of Sound, che li ingaggia e pubblica il singolo "Epple", all'insegna di una raffinata "chill-lounge". E' il preludio all'album d'esordio dei Royksopp, Melody A.M, che entra nelle classifiche indipendenti e guadagna i consensi della critica anche fuori dai confini norvegesi. "Sleaze Nation" lo elegge "disco dell'anno". "The Face" scrive che i Royksopp "hanno scoperto il modo per viaggiare nella mente umana: un viaggio caldo e avvolgente".

La band norvegese ha già suonatoin Gran Bretagna, in Germania e in Belgio. "Ci piacerebbe venire anche in Italia, ma finora non è stato mai possibile", spiegano. La loro strumentazione è fatta di complessi marchingegni elettronici, ma anche di tastiere demodé. "Preferiamo le vecchie tastiere - racconta Berge - perché ti permettono di manipolare più facilmente i suoni e di inventarne di nuovi. E poi sono molto più 'calde' delle nuove, che hanno un'elettronica digitale che suona a volte un po' asettica". Instancabili riciclatori di suoni, i Royksopp non disdegnano l'uso dei sample. Ma con moderazione. "In 'So easy', una delle tracce dell'album, abbiamo usato la linea melodica e alcuni frammenti di una canzone appartenente a una band svedese di easy listening degli anni Sessanta. Abbiamo preso qualcosa anche da un pezzo di Bacharach. Al di fuori di ciò, cerchiamo in genere di usare interi sample di canzoni il meno possibile, preferiamo lavorare sui suoni".

C'è qualcosa di pionieristico "fai da te" nell'approccio dei Royksopp. Quel gusto per gli esperimenti bizzarri che si trascinano fin dai tempi della scuola e che accompagna persino le loro esibizioni. "La musica elettronica, dal vivo, rischia di diventare noiosa - racconta Svein -. Volevamo che la gente si divertisse ai nostri concerti e così abbiamo pensato di incorporare tutti i nostri strumenti in un'enorme scatola". Prego? "Proprio così, un'enorme macchina di metallo di oltre 100 chili, lunga cinque metri e alta quasi due. Ci mettiamo dentro tutti i nostri strumenti e le apparecchiature elettroniche. C'è una porta, nella scatola, così abbiamo l'opportunità di suonare sia da dentro che da fuori. Sembra una specie di caravan, con una ciminiera da cui esce il fumo.". Come a voler ribadire che a Tromso la fantasia non manca davvero.

"Only This Moment": estate languida di dolci armonie, estate di colori, estate spensierata, estate radiofonica che suona canzoni bruciate dal sole, che la notte fa echeggiare appena in lontananza. E' il singolo di The Understanding (2005), disco estivo che immortala in 12 momenti gli alchemici chiaroscuri di foto marittime ritoccate al laptop.
Con un disco come Melody A.M. sulle spalle, che porta con sé il peso di quasi un milione di copie vendute, la tentazione di rifare il medesimo album può essere alta, almeno quanto quella di prenderne schizofrenicamente le distanze; e invece i Röyksopp risolvono il rompicapo col talento dei musicisti consumati, emancipandosi dalle ingombranti attese senza con ciò smarrire una sfrontatezza indie perfettamente a suo agio nei salotti buoni del mainstream. La band vira verso le canzoni, ma lo fa sposando climi ben più temperati, aggiornando, di fatto, l'estetica dell'europop, che nella scuola scandinava ha da sempre degli esponenti d'eccellenza.
The Understandingè l'incontro tra profumate sinfonie strumentali (il valzer per sintetizzatori "Triumphant", che apre l'album), o tese progressioni notturne (un altro stupendo strumentale, la mini suite "Alpha Male"), ed esplosivi clangori spiaggistici, siano essi quelli di "Follow My Ruin", griffato dance-pop che Bryan Ferry non scrive da quasi un ventennio, o di "49 Percent", canzone dall'anima black e dai connotati house intepretata da Chelonis R Jones della scuderia Get Physical.
Se si eccettua ancora l'estasiante e cristallina "What Else Is There?", cantata da una sensuale Karin Dreijer degli svedesi Knife, a sorprendere sono proprio le voci di Torbjørn Brundtland e Svein Berge, che prendono in mano le restanti parti vocali con esiti a dir poco brillanti, senza ricorrere a nomi cool, come fu quello di Erlend Øye dei Kings Of Convenience nell'album precedente. Dal lungomare ventoso giungono le malinconiche e incantate solitudini di "A Beautiful Day Without You", che col suo synth-pop a mezza voce, da stretta al cuore, conduce a vette di melodismo da far invidia ai maestri Pet Shop Boys, mentre le strobo di una discoteca all'aperto tolgono il sonno con cascate di sinuosità a dosi crescenti di bpm in "Circuit Breaker", e il contrappunto cantato al femminile ci resta incollato addosso (la voce di supporto appartiene a Kate Havnevik, che la presta anche in "Only This Moment"). Se "Someone Like Me" può richiamare le atmosfere familiari agli Air di " Talkie Walkie ", riuscendo a uscire dall'impasse declinando nel più raffinato dei funky, è la notte dondolante, onirica e stellata a lasciarci in eredità la chiusura di "Dead To The World" e di "Tristesse Globale", degna uscita di scena per un sogno a occhi aperti.

Röyksopp's Night Out (2006) è un Ep registrato dal vivo, durante la serata di Oslo del tour 2005 della band.

La terza prova sulla lunga distanza, Junior (2009), si indirizza ancor più verso forme attente alla fruibilità di massa, al gusto radiofonico o a quello danzereccio. La lontananza dai paesaggi atmosferici del disco d'esordio è forse paradossalmente ridotta, causa un richiamarsi di suoni e qualche passaggio strumentale, ma il cuore del disco pulsa altrove.
Quello di Junior è un suono sempre più europeo: si prenda ad esempio il singoletto di lancio, quella caramellosa giostrina chiamata "Happy Up Here", che immette sulla costruzione classica dei norvegesi una bella dose di scanzonatezza marcata Astralwerks e spruzzi di french touch. Le fascinose asperità di "The Girl And The Robot" portano in pista un contrasto dai sapori quasi synth-pop con le romanticherie del violino, mentre il delicato carosello per elettronica accartocciata di "Vision One" fotografa quanto meglio possibile l'evoluzione dei Röyksopp.
La focalizzazione dei colori non pare mancare alle sapienti mani del duo: a non convincere sino in fondo è però la loro reale capacità di dare anima a questa forma espressiva. Il meglio infatti arriva quando si lascia spazio al mero suono. Vale a dire le code dei brani o, ancor di più, la fantasia strumentale di "Röyksopp Forever", nei cui attacchi di archi vengono scaricate tutte le istanze romantiche del duo. 
Così forse il brano migliore è una sorta di b-side di "The Understanding", ossia una trasognata ballata elettro-pop, "You Don't Have a Clue". Per il grosso, l'album si limita a ballonzolare sulla linea della gradevolezza (l'altro strumentale "Silver Cruiser", il divertissement "Miss It So Much"), talvolta scavallandola di poco ("This Must Be It"), talatra scendendovi al di sotto ("True To Life"). L'unico brano di rottura è "Tricky Tricky", incubo ossessivo giustamente affidato - ancora una volta - alla voce di Karin Dreijer dei Knife.
A conti fatti è difficile negare che la progressione dell'entità Röyksopp incappi in una brusca frenata, forgiando un suono che non rinverdisce i fasti passati né tantomeno i recenti.

Il successore di Junior, intitolato Senior (2010), viene descritto nei comunicati stampa come un lavoro dalle tinte fosche e darkeggianti, completamente strumentale e piuttosto introspettivo. Ma se l'obiettivo del duo norvegese era quello di forgiare un dark side alla contagiosa allegria che si respirava nel precedente disco, beh, l'operazione può considerarsi completamente fallita.
Senior è un sequel che, ironia della sorte, nasce vecchio, già sentito. Nove pezzi piattissimi, adagiati su nenie indietroniche che flirtano con ambient dimesso e field recordings a tratti. Non bastano guizzi come l'eccelsa "Senior Living" - spirito annoiato, distaccata sonnolenza notturna in un gioiello di desertica rilassatezza - a sollevare tre quarti d'ora di pura noia concentrata.
"The Drug", cassa minimale reiterata, ammalia un po', e forse questo ci dà l'esatta dimensione della sostanza di "Senior". Ma il disco non decolla mai. "The Fear" e "Forsaken Cowboy" vorrebbero suonare à-la Air, ma falliscono l'obiettivo, "Tricky Two" è una progressione sconclusionata, "Coming Home" è una innocua distesa ambientale di marca Morr Music.
Un disco nato sotto una cattiva stella e che lascia l'amaro in bocca. Un buco nell'acqua per Svein e Torbjørn. Ma resta la speranza che abbiano ancora molto da dare.

Nel 2014, le acque tornano a smuoversi (o sarebbe meglio dire agitarsi). Insieme alla svedese Robyn arriva Do It Again un Ep di sole 5 tracce, ma ben strutturato per creare la giusta atmosfera pur restando conciso e fruibile. Il sound è stratificato, ma ha il giusto dosaggio tra momenti di orecchiabile disco-pop, techno e ambient. La "scusa" è che il trio va in tour nella stessa estate, e Do It Again mette saccoccia 5 nuove tracce da proporre durante gli show. Buffo semmai notare che il risultato è di gran lunga superiore a quanto singolarmente proposto negli ultimi anni.
Prendete la sfavillante "Do It Again", un appiccicosissimo electro-pop tutto lustrini e mirror ball che ha il potenziale per intrattenerci durante l'estate (e se non è proprio la nuova "Dancing On My Own" poco ci manca). O anche la più tersa "Every Little Thing", uno squadrato synth-pop nordico che non manca di tensione emotiva grazie alla vocalist in questione. Oppure ancora l'accattivante "Sayit", scurissima e robotica cavalcata trance corredata da un video-spot per H&M altrettanto d'impatto.
L'apertura di "Monument", invece, è un vero e proprio monolite, dall'incedere pensoso e con una progressione di accordi che ricorda "Get Together" di Madonna, ma si conclude con una coda noir-jazz reminescente dell'altro bellissimo folletto scandinavo Stina Nordenstam.
Il finale è affidato alle gassose distensioni ambient-drone di "Inside The Idle Hour Club", che sembra messa lì apposta per far riposare la mente dopo una nottata danzante, posandoci su un fiordo ad ammirare il sorgere del sole coi lacrimoni agli occhi.
Do It Again funziona meglio che mai. Robyn mette quel suo personalissimo tocco art-pop a dare nuova linfa alla musica del duo di Tromsø dopo che i loro ultimi album sono passati in sordina. I Röyksopp, dalla loro, montano un'impalcatura sonora possente e coesa, a tratti decisamente emozionante, ma anche capace di stemperare e mettere ordine tra le idee non sempre a fuoco della bionda vocalist.
Un colpo di coda non indifferente, il crimine perfetto: l'intensità fatta fruibile.

Con il successivo The Inevitable End i due sfornano la loro opera ultima concludendo la loro esperienza discografica "con la normale concezione di album", per usare le loro stesse, enigmatiche parole.
Lasciati ormai definitivamente alle spalle i suggestivi acquerelli iperborei con cui li avevamo conosciuti e applauditi nei primi album, a metà tra un leggiadro e spensierato ambient e il downtempo dei migliori Air, i due sembrano essere ormai troppo (e definitivamente) sedotti dal synth-pop più divertito e radiofonico per lasciare spazio alle loro fantasticherie nordiche più trasognate.
L'album si apre con le rigide battute di "Skulls", brano che funge da vero e proprio invito per il centro pista, e con le linee elettriche di "Monument", già presente in "Do It Again" e riaggiustata per questa nuova uscita. Le sfumature frizzanti rimangono persistenti tra i dolci ritornelli di "Save Me" - accompagnata dalle limpide note vocali di Susanne Sundfør - nell'irriverente filastrocca "Rong", ma soprattutto nella massiccia cavalcata house di "I Had This Thing", sicuramente la traccia più poderosa dell' intero disco, cantata dal Jamie "Irrepressible" che avevamo conosciuto l'anno scorso con il gioello "Something in My Heart".
Sebbene proseguendo imperterriti sulla scia moroderiana ("Running To The Sea"), Berge e Brundtland riescono a concedersi anche qualche nostalgico tuffo nel passato, rispolverando le loro tipiche leggere melodie con "Sordid Affair" e "You Know I Have To Go". In generale, nell'ultima parte del disco i secchi battiti di drum machine cedono il passo ad atmosfere più soffuse, con il ritmo che rallenta definitivamente nel trittico finale composto dal languido viaggio di "Compulsion" - vero sussurro che va dolcemente affievolendosi - dalla strumentale "Coup de Grace" e dal melanconico saluto "Thank You".
I cari bei tempi di Melody AM sono definitivamente andati e i fan più affezionati potrebbero storcere il naso. Dobbiamo però considerare che i Röyksopp hanno sempre saputo dimostrare una grande maestria nell' usare i loro strampalati sintetizzatori retrò, e questa prova non è un'eccezione. Tutto sommato, quindi, non si può parlare di un disco bello o brutto, ma di una costruzione perfettamente in linea con l'ultimo andamento stilistico intrapreso dai due, frutto della sincera volontà di chiudere un percorso discografico.

Sarà l'Ep il formato che meglio rappresenterà lo spirito del norvegesi? Chissà. Per ora basta che continuino a fare ciò che sanno fare meglio: divertire.

The Inevitable End del 2014 sembrava aver posto fine per sempre alla storia dei Royksopp, o perlomeno alla lora discografia – dato che negli anni successivi il celebre duo di Bergen (Norvegia) avrebbe pubblicato qualche singolo e qualche remix tirato fuori dal baule. Così, quando dopo otto anni di silenzio discografico Svein Berge e Torbjørn Brundtland hanno annunciato che un loro nuovo disco avrebbe visto la luce lo scorso aprile, molti appassionati di elettronica nordica sono saltati dalla sedia.
L’operazione era invero rischiosa: rispolverare una sigla che ha letteralmente segnato i primi anni ’00 con le sue melodie briose, gli avvolgenti beat downtempo e gli iconici featuring con il meglio del meglio delle vocalist scandinave. Una ragione sociale che ha fatto scuola, che però non era mai riuscita a mantenere il livello, invero apicale, di un esordio col botto (il capolavoro del 2001 Melody A.M.) e un seguito di assoluto livello (The Understanding del 2005) e che ha registrato anche dei vistosi cali di ispirazione (Senior del 2010) e, in parte, quello che credevamo il loro commiato (il succitato The Inevitable End).
Che la situazione fosse buona e tutt’altro che improvvisata o un semplice tuffo nella nostalgia è apparso però chiaro sin dal lancio dei primi singoli, che sono anche i brani che dopo una breve introduzione danno il La a Profound Mysteries, sesto disco dei norvegesi. Prima uno strumentale intitolato “The Ladder”, ipnotico e fiabesco che sgancia dei bassi gracchianti tra gli intrecci a spirale dei synth, poi una ammiccante e ritmata “Impossibile” con la guest star Alison Goldfrapp a lanciare i suoi gorgheggi dance nell’etere, hanno messo subito in chiaro che la magia fosse ancora nelle mani e nelle manopole di Svein e Torbjørn.
Il numero uptempo, invero un po’ caciarone, è la sfrenata “This Time, This Place”, affidata alla voce di Beki Mari; mentre le successive “How The Flowers Grow” con Pixx e “If You Want Me” con Susanne Sundfor rallentano fermamente i battiti. Quest’ultima è un saggio di misura in cui le delicate architetture elettroniche dei Royksopp valorizzano la potenza evocativa della vocalist norvegese.
“There, Beyond The Threes” mette temporaneamente da parte le ospiti e vede il duo alle prese con una misteriosa piece che lambisce tanto l’ambient quanto gli incubi nordici dei Knife.
Cantata con fare sbarazzino da Astrid S, l’effervescente “Breathe” farà gongolare tutti i nostalgici di Melody A.M. e in particolare di “Eple”.

Malgrado le ottime premesse primaverili, in pochi avrebbero immaginato che il disgelo creativo del duo norvegese preconizzasse l’arrivo di una valanga di musica per tutti gli appassionati di elettronica. Infatti a distanza di poco tempo dall'uscita di Profound Mysteries  Svein Berge e Torbjørn Brundtland hanno rivelato la loro  intenzione  di pubblicare ben tre album nel 2022. Tutti accomunati dal medesimo titolo, i lavori hanno l'ambizione di rappresentare agli occhi dei loro creatori  “un universo creativo ampliato e un prodigioso progetto concettuale".  L’idea è di non limitare la fruizione della loro musica ad un mero ascolto passivo ma di associare ad ogni singola traccia dei piccoli corti commissionati ad una casa di produzione scandinava. A loro avviso, l’esperienza multisensoriale che ne deriverebbe potrebbe stimolare quelle zone profondamente misteriose che competono al mondo dell’immaginazione e dell’incoscio.

Ad ogni modo neanche il secondo atto di questa opera si discosta molto dai canoni stilistici che hanno sempre contraddistino i Röyksopp. L’opener è l’ottima “Denimclad Baboons". Sorretta da frizzanti synth pop e da un mood allegro e trascinante, la traccia gioca molto con le atmosfere e contrasta bene con i ritmi ipnotici e sognanti dell’intro del precedente lavoro. La successiva “Let’s Get It Right” ha una struttura dance con una patina funky che potrebbe sembrare un tributo all’arte dei Daft Punk. In questa canzone vi è anche la partecipazione di Astrid S, la prima tra le tante guest star che i Röyksopp hanno invitato per realizzare questa nuova fatica. Riuscitissima, come sempre, la collaborazione con Susanne Sundfør che nella versione estiva di "Profound Mysteries" compare per ben due volte. Da segnalare in particolare l’interpretazione della cantante norvegese in “Tell Him” che si combina perfettamente con il sample di archi e con il testo dal forte impatto emotivo.  Nell’album vi è anche spazio per una collaborazione con l’artista britannica Pixx che presta la sua voce in "It Was A Good Thing". La canzone introduce le atmosfere soft ambient che contraddistinguono la seconda parte dell’album e ne rappresenta l’esempio più riuscito. I maestri nordici manovrano sapientemente le manopole dei sintetizzatori riproducendo effetti di gocce d’acqua e costruiscono un suono pulitissimo e vellutato.

Purtroppo, non sempre “Profound Mysteries II” mantiene un livello di ispirazione adeguato. Una buona metà delle tracce risulta infatti ripetitiva e poco coinvolgente. “Unity” e “Remembering The Departed” hanno una resa davvero modesta; “Sorry” punta tutto sulle doti interpretative di Jamie Irrepressible ma  non riesce mai davvero a decollare. Non va meglio neanche nella più energica “Control” che riutilizza delle parti di “Killer” di Adamski e Seal facendo però preferire l’originale. In definitiva, confrontando i punti di forza dei primi due episodi, è evidente che i Röyksopp non avessero materiale sufficiente per realizzare due album. Togliere qualcosa avrebbe massimizzato il risultato. Ma è ancora presto per giudicare l’opera nella sua interezza. Quel che è certo è che nell'insieme i primi due Profound Mysteries non aggiungono dettagli all’estetica sfoggiata dai Royksopp nel corso della carriera, ma riescono ad elettrizzare grazie a numerosi episodi che non avrebbero fatto brutta figura nei loro lavori migliori.

 



Contributi di Marco Bercella ("The Understanding"), Ciro Frattini ("Junior"), Alberto Asquini ("Senior"), Damiano Pandolfini ("Do It Again"), Alessandro Tozzi ("The Inevitable End"), Michele Corrado ("Profound Mysteries"), Fabio Ferrara ("Profound Mysteries II")