Snoop Dogg

Snoop Dogg

Il padrino di Long Beach

Dal leggendario "doppio" esordio con Dr. Dre ai successi pop, passando per cambi di nome, fervori religiosi e tanta marijuana: la storia del padrino di Long Beach

di Antonio Silvestri

Rollin' down the street, smokin' indo
Sippin' on gin and juice, laid back
(da "Gin And Juice")

Il suo stile rilassato e strafatto, che subito ispira un'attitudine spensierata, è uno dei più riconoscibili e caratteristici di tutto l'hip-hop. La sua figura alta e smilza, gli accessori eccessivi in pieno stile bling-bling, le pettinature eccentriche e l'iconico pizzetto sono giustamente entrati nella pop culture attraverso i videoclip ma anche le numerose apparizioni come ospite e come attore, o magari quando veste i panni di uno dei suoi tanti ruoli alternativi: un regista di film porno chiamato Michael J. Corleone o Snoop Scorsese, una comparsa per WrestleMania XXIV e 32, il protagonista di ben tre programmi televisivi o magari il volto su una bottiglia di vino, il suo "Snoop Cali Red".
Calvin Cordozar Broadus Jr., questo il suo vero nome, è però prima di tutto il rapper statunitense Snoop Dogg, uno di quei pochi artisti che ha segnato un prima e un dopo nella storia del genere, coniugando la propria street cred con un sensazionale successo di pubblico. Dal 1992 al 1996 è stato fra i rapper più chiacchierati e celebrati al mondo, ragazzo prodigio che ha idealmente rappresentato la spalla perfetta per l'ascesa di Dr. Dre a produttore definitivo della costa pacifica. Ancora di grande successo sul finire del millennio, ha valicato con grande successo il confine col pop, facendosi conoscere da una nuova generazione con singoli multi-platino lungo tutti gli anni Zero e i primi anni Dieci. Vicino ormai ai 20 album di studio, a cui vanno aggiunti più di due dozzine di mixtape, un esorbitante numero di singoli da titolare o ospite e un gran totale di oltre 35 milioni di album venduti nel mondo, Snoop Dogg rappresenta un nome imprescindibile per la musica hip-hop, alla quale ha aggiunto un carisma unico e un persistente aroma di marijuana.
Per capire il perché di questo nome d'arte, e come si sia evoluto lo stile di Mr. Broadus Jr. nel corso di tre decenni, non rimane che iniziare a raccontare la storia dal suo inizio.

Il curioso esordio "doppio" di Snoop Dogg

snoop1993_01Calvin Cordozar Broadus Jr. nasce nel 1971 a Long Beach, California. Il sole, l'oceano e la vita a base di feste in piscina, sventole in bikini, cocktail da sorseggiare ed erba da fumare rimarranno nel suo codice genetico in modo indelebile. Il padre è un reduce del Vietnam che abbandona la famiglia pochi mesi dopo la nascita, così prende il nome del patrigno, Calvin Cordozar Broadus Sr., che comunque divorzia dalla madre nel 1975.
Da ragazzo lo rinominano "Snoopy", ispirati dai Peanuts che tanto ama e da una certa somiglianza nei tratti del viso. Canta e suona in chiesa, poi inizia a giocare con il rap.
È un ragazzino modello, diviso tra famiglia, chiesa e lavoretti. Non è chiaro quando, da adolescente, inizi a guadagnare l'interesse delle forze dell'ordine, ma è evidente che si assiste a un ribaltamento che porta il bravo ragazzo a diventare un criminale. Già nel 1989 viene arrestato per possesso di cocaina, e continuerà a entrare e uscire dalla prigione negli anni successivi. In mezzo a queste turbolente vicende giudiziarie, continua a fare rap, finché una registrazione raggiunge Dr. Dre: è l'occasione di una vita, il punto di svolta della sua carriera.


Rinominatosi Snoop Doggy Dog, primo di numerosi nomignoli da palcoscenico spesso ai limiti del ridicolo, viene coinvolto da Dr. Dre per la colonna sonora del film di Bill Duke "Deep Cover" (1992) e soprattutto diventa il co-protagonista dell'epocale "The Chronic" (1992), uno degli album hip-hop più importanti del decennio. L'enorme successo di critica e pubblico dell'opera, modello fondamentale di tutto il sound west-coast fino a fine millennio, è da attribuire ovviamente all'abilità sensazionale di Dr. Dre di dimostrarsi un artista poliedrico e carismatico, motivato e capace di plasmare il sound del Pacifico a sua immagine e somiglianza.
Se il disegno porta la sua firma, è però anche evidente che Snoop Dogg contribuisce non poco alla realizzazione, comparendo in ben sei brani e partecipando alla scrittura di ben tredici. È una coppia di talenti che unisce l'esperienza di Dr. Dre e le sue produzioni
g-funk inconfondibili con la freschezza e lo stile laid-back di Snoop Dogg: "The Chronic" diventa la vetrina ideale per mostrare al mondo il talento di un rapper ancora sconosciuto al grande pubblico, qui ancora inserito all'interno della propria crew, la Dogg Pound.

Il titolo del primo album a suo nome non poteva che essere Doggystyle, pubblicato sul finire del 1993. Ammiccante, volgare e scorretto sin dalla copertina, è un lavoro che arriva in un momento di grazia per il rapper e all'apice dell'entusiasmo per Dr. Dre. Il legame fra i due è tale da suggerire una continuità fra "The Chronic" e Doggystyle, quasi si trattasse dello stravagante "doppio" esordio di Snoop Dogg, prima come spalla del produttore e poi a ruoli invertiti, finalmente protagonista.
D'altronde, è lo spettacolare
g-funk di Dr. Dre ad animare Doggystyle, colorandolo con i campionamenti stratificati in zona Parliament-Funkadelic, i cori e i sintetizzatori melodici. Il beat è carico di bassi, la velocità evita la frenesia e preferisce una pienezza sensuale, eminentemente funk. Se in questo caso Snoop Dogg è il protagonista sulla scena, la scenografia è strumentale a esprimerne l'estetica laid-back eppure violenta del suo autore, l'esplicitezza dei contenuti che fa rima con l'orecchiabile festosità del tutto.
Doggystyle è scorretto e
kitsch, sospinto da un gusto per l'eccesso e per il sontuoso che si accoppia al turpiloquio crasso, alla misoginia sbandierata, all'illegalità diffusa. Sarà lo stesso autore a descrivere tutto questo come una cronaca, dura e cruda ma non agiografica, della realtà quotidiana delle strade di Long Beach, California. Dirà al New York Times (traduzione nostra):

Per i bambini piccoli che crescono nei ghetti, è facile imbattersi in cose sbagliate, in particolare le violenza delle gang e lo spaccio di droga. Ho visto com'era, e non lo glorifico, ma non voglio fare la predica. Lo racconto a loro piuttosto che farglielo scoprire da soli.

Per l'etichetta, la scelta più ovvia è la Death Row, proprio come "The Chronic". Più discussa la questione del team produttivo, ufficialmente il solo Dr. Dre, seppure i contributi di Warren G e del Daz Dillinger dei Dogg Pound sembrino aver aiutato non poco a raggiungere il risultato finale. Al microfono, poi, Snoop Dogg non è solo, ma il contributo delle altre voci è sempre quello di esaltare e completare quella del titolare, in alcuni casi con il risultato di evidenziare l'unicità del suo stile, rilassato e flessuoso. Se i credits sono corposi, anche per quanto riguarda le vocals, non lasciate distrarvi: il ruolo da protagonista è inattaccabile.

Doggystyle conta 13 brani per 52 minuti e qualche secondo, ed è un viaggio senza particolari cedimenti. Sì balocca inizialmente a definire il mood con due introduzioni, funzionali a esprimere l'estetica che domina l'album. Quando il synth entra a gamba tesa, e il primo beat spinge il ritmo, è subito magia: catapultati sulla spiaggia californiana, fra ragazze in bikini e droghe leggere, si entra immediatamente in un'estate infinita di feste, sbronze, eccessi e storie incredibili. La prima vera canzone toglie ogni dubbio: è il singolo "Gin And Juice" (feat. Dat Nigga Daz), un inno per un certo stile di vita narcisistico, senza ansie e pressioni, la fotografia di una quotidianità eccessiva, cartoonesca o almeno cinematografica. Dalla sua, sulle lunghe note di synth Snoop Dogg si muove fluido e agilissimo, felino e senza fretta, giocando con la velocità e gli accenti ritmici, sfoggiando una naturalezza che trova pochi confronti nell'intera storia del genere.
Il seguito della scaletta non molla l'ascoltatore, tenendolo impegnato con sempre nuovi ganci melodici, skit spassosi e ovviamente tante rime. "Tha Shiznit" è uno show del flow, ma "Lodi Dodi" (feat. Nancy Fletcher) confeziona una filastrocca ancora più sorprendente, un'onirica fantasia infantile e psichedelica che spinge sull'aspetto più strampalato del progetto, fra il disneyiano e il vietato ai minori. Ed è sempre la tendenza verso la spettacolarizzazione della violenza e della vita da gangster, ottenuta frullando la cultura pop e non disdegnando riferimenti infantili, a fare di "Murder Was The Case (Death After Visualizing Eternity)" (featuring Dat Nigga Daz) un altro classico.
"Serial Killa" (featuring The D.O.C., Tha Dogg Pound e RBX) è
g-funk con spunti horrorcore, un pezzo di un'intensità quasi allucinogena, ma che sbiadisce comunque al cospetto del singolo di lancio "Who Am I? (What's My Name?)", brano cardine dell'hip-hop novantiano, citato direttamente e indirettamente da tanti altri brani-presentazione e apoteosi del funk caldissimo e assordante di Dr. Dre, un'orgia di bassi distorti e voci robotiche, coretti e bave pigolanti di synth.
"Doggy Dogg World" (featuring Tha Dogg Pound e il vecchio gruppo soul The Dramatics), terzo singolo estratto, è un altro momento di magia del producer Dr. Dre, ma arrivati a questo punto della scaletta è in continuità con il grandioso party iniziato ormai una quarantina di minuti prima.

Doggystyle è un album pubblicato all'acme dell'hype, che per una volta non delude le aspettative. Snoop Dogg è un nuovo tipo di rapper che fa coppia con un nuovo tipo di producer, e questo esordio conferma quanto ascoltato su "The Chronic". Il pubblico risponde acquistando l'esorbitante totale di 806mila copie nella prima settimana, portando negli anni il totale a oltre 11 milioni.
Ancora più sorprendente, se consideriamo che all'epoca l'hip-hop era quasi esclusivamente una questione statunitense, ben lontana dalla globalizzazione che invece sarà acciuffata dai vari
Jay-Z, Eminem e Kanye West. L'unico rischio è quello che tutto l'entusiasmo svanisca nel giro di poco tempo, invece di essere il presupposto di una carriera più lunga e articolata. Ed è proprio questo il punto da cui Snoop Dogg riparte.

Il padrino del g-funk

snoop1998Innanzitutto, i problemi con la legge, fuori dalla finzione e dal personaggio: su Snoop Dogg pesa un'accusa per omicidio, che lo costringe a preparare la difesa processuale nel 1995 e a ritoccare al ribasso gli sfoghi gangsta. Poi, la cronaca nera dell'hip-hop, con la morte di Tupac Shakur, amico e compagno di label, poco prima della pubblicazione dell'album, nel settembre 1996. Poi, ancora, i problemi interni alla stessa Death Row, con Dr. Dre allontanatosi bruscamente e Daz Dillinger, diventato nuovo produttore di riferimento. Fra il 1993 e il 1996, insomma, Snoop Dogg ne ha passate tante e il secondo lavoro in studio, Doggfather (1996) non può che suonare diverso dal bestseller d'esordio.
L'introduzione non lo nasconde, anzi sottolinea l'intreccio di cronaca nera e musicale in cui il lavoro emerge. Meno ricco negli arrangiamenti e complessivamente meno divertente e divertito, decisamente più prolisso, è comunque l'album della spassosa
title track e di un paio di pezzi che potrebbero provenire dall'esordio come i robo-funk di "Up Jump The Boogie" e "Snoop Bounce". Diversi episodi ritornano invece verso il mafioso-rap east-coast, magari con una verniciatura western come "Gold Rush" e in generale ammiccano all'east-coast, come "You Tought", ma almeno "Vapors" punta altrove, verso la psichedelia fumatissima dei Cypress Hill incrociata con il jazz-rap di A Tribe Called Quest.

In generale, Doggfather è un album che cerca di scartare dal "doppio" esordio, evitando di appiattire Snoop Dogg e il suo modo di intendere l'hip-hop a uno specifico, unico sound. Il primo a criticare è proprio Dr. Dre, intervistato da Spin (traduzione nostra):

Ma ad essere del tutto onesto, non mi piace il nuovo album di Snoop. E non ha niente a che fare con il fatto che non ci stia lavorando, perché sono proprio come tutti gli altri: mi piace o no. La prima volta che ho sentito il singolo, mi stavo appassionando, ma poi ho iniziato davvero a entrare nella produzione e ad ascoltare come suonava, sai? Dopodiché, comincio a scomporre le canzoni. Non c'è davvero niente che sia stato detto lì che non sia stato detto 50 volte prima.

Anche il pubblico reagisce in modo meno entusiasta, pur senza togliere al rapper la soddisfazione di vendere quasi mezzo milione di copie nella prima settimana, e più di quattro volte tanto in totale. Ma questa volta l'hype è meno giustificato, e Doggfather non ottiene lo status di classico conferito all'unanimità all'esordio. Il principale lascito è semmai di confermare, alla prova dei fatti, che Snoop Dogg può rimare da fuoriclasse, con il suo stile rilassato, anche senza il supporto, materiale o anche solo morale, di Dr. Dre. D'altronde, il producer ci ha visto lungo sulla Death Row, e anche Snoop Dogg realizza che il contratto che ha firmato con Suge Knight lo incatena: ogni suo brano è di proprietà della label. Ne nasce un aspro conflitto, il rapper confeziona un brano-dedica come "Fuck Death Row" e infine si allontana per entrare nella No Limit. Con l'occasione, si riposiziona stilisticamente, ammiccando al mondo pop e rock. Partecipa al Lollapalooza nel 1997, attraendo un pubblico alternative curioso e aperto alla contaminazione. Inizia così una nuova fase della carriera.

La trilogia No Limit

snoop2010Da Game Is To Be Sold, Not To Be Told (1998) è un album d'assestamento, più morbido ma ancora funk e gangsta, che si circonda di nuovi rapper della scuderia No Limit. La rilassatissima "Snoop World" definisce il sound di questo periodo, con il flow lento e ipnotico variegato da accelerazioni e ospiti. Qui il featuring è direttamente del proprietario dell'etichetta, Master P. I risultati spesso si allontanano dal tipico west-coast degli esordi, con l'aggressiva "Woof!" (featuring Fiend and Mystikal) che guarda al dirty-south, ma anche quando si torna al passato in modo esplicito, come in "Gin And Juice II", "Hoes, Money & Clout" e "Still A G Thang", tutto suona differente, meno esplosivo, più lento e narcolettico. C'è spazio anche per morbidezze sensuali quali "D.O.G.'s Get Lonely 2" (featuring Jon B), che guardano all'r'n'b sensuale di fine secolo.
Il fatto che "Tru Tank Doggs" (featuring Mystikal) spicchi più per l'invasato
delivery dell'ospite, e che lo stesso accada con le strofe di altri guest, però, suggerisce che qualcosa ancora non sta funzionando come dovrebbe.
L'album comunque ottiene il doppio platino in patria, confermando il successo commerciale del rapper. La critica lo accoglie tiepidamente, anche per l'ormai conosciuta prolissità, ma ormai è un appunto sempre meno rilevante, a fronte di una serie di dischi multimilionari.


No Limit Top Dogg (1999) vede ritornare alla produzione anche Dr. Dre, a rinverdire la collaborazione che tanto ha appassionato gli ascoltatori. È la principale novità di un quarto album che continua a giocare sul sicuro, come in "Snoopafella", "Just Dippin'" (con Dr. Dre e Jewell) e "Bitch Please" (featuring Xzibit e Nate Dogg, con il ritorno dei synth pigolanti di Dr. Dre).
Al centro, ovviamente, il rap inconfondibile del titolare, con un amalgama di west-coast, ancora qualche accenno southern-rap e alcune curiosità negli arrangiamenti, come la chitarra
western scelta da Dr. Dre per “Buck’ Em” (feat. Sticky Fingaz) e la morbidezza e sensualità che ritornano in "Trust Me" e "Somethin Bout Yo Bidness" (featuring Raphael Saadiq), quasi dei soul.
A chiudere una scaletta di ben 21 brani una dedica alla mamma, "I Love My Mommy", non proprio una risposta all'altezza per quella parte della critica che punta il dito sulla monotonia dei testi e sui
cliché gangsta che perdurano dagli esordi. Pur essendo il più apprezzato fra gli album per No Limit, non raggiunge la vetta di Billboard, rubata dall'esordio di Ricky Martin. I risultati commerciali flettono ma, con un po' di fatica, anche quest'album venderà oltre due milioni di copie.

Nel 1999 Snoop Dogg ritorna anche a fungere da primo rapper per il secondo, eccezionale, album di Dr. Dre, "2001", in particolare spiccando nella hit "Still D.R.E.", grande successo in Uk e
instant-classic del gangsta rap.

L'esperienza in No Limit, però, sta naturalmente giungendo al termine. Nel frattempo Dead Man Walkin (2000) e Death Row: Snoop Doggy Dogg At His Best (2001) sono le compilation che la Death Row confeziona per chiudere la faccenda Snoop Dogg: disconosciute dal rapper, sono poco più che una curiosità per collezionisti. Partecipa anche al progetto gangsta-rap Tha Eastsidaz, un trio con Tray Deee e Goldie Loc che pubblica due album: "Tha Eastsidaz" (2000) e "Duces 'n Trayz: The Old Fashioned Way" (2001), prima che una condanna a 12 anni di prigione inflitta a Tray Deee concluda l'esperienza.
Nel 2001 Snoop Dogg scrive anche due colonne sonore, un’attività iniziata nel 1994 con il mediometraggio di culto  “Murder Was The Case”: una per l'horror di Ernest Dickerson "Bones", dove è protagonista; l'altra per la commedia "The Wash", a fianco di Dr. Dre e altri rapper.


Più sostanzioso è The Last Meal (2000), l'album che idealmente congiunge questo periodo al successivo, già dal team produttivo: da una parte la sicurezza di un Dr. Dre tornato molto attivo, dall'altra Timbaland a rappresentare un nuovo modo, più southern e più pop, di fare rap. Il fatto che sia questo, e non l'ex-NWA, a comporre "Snoop Dogg (What's My Name Part II)" è quasi un atto simbolico. Così troviamo nella ricca scaletta tanto una "Hennessey N Buddah" (feat. Kokane), tardo classico del g-funk, quanto l'r'n'b ruffiano di "True Lies" (sempre con Kokane), la frenesia southern di "Back Up Off Me" (featuring Master P and Magic) e i bassi fragorosi di "Go Away", tre testimonianze di un futuro più ballabile, orecchiabile e pop.
Timbaland regala un pezzo dei suoi, sospinto da un
beat ipnotico con un ruggito di chitarra a supporto delle tante voci, che si intitola "Set It Off" (featuring MC Ren, The Lady of Rage, Ice Cube, Nate Dogg and Kurupt): è un ottimo esempio della sua capacità di fondere l'hip-hop novantiano con quello crossover di inizio millennio, a cui si avvicina anche "Bring It On" (featuring Suga Free and Kokane), prodotta però da Jelly Roll.
Questo quinto album ottiene anch’esso un ottimo risultato commerciale, raggiungendo nel tempo l’invidiabile totale di 2 milioni di copie vendute nel mondo. L’immagine da gangster mostra tutti i limiti della ripetitività, e anche la notizia del ritorno di Dre come collaboratore non desta più sorpresa, ma le nuove strade contaminate e ballabili sono un'anticipazione preziosa.
The Last Meal è soprattutto l'ultima occasione per ascoltare Snoop Dogg prima del suo rebranding come pimp stiloso e innocuo, ben diverso dal malavitoso degli esordi.

Il cambio di pelle e la transizione verso il pop

snoop2004Questa trasformazione avviene compiutamente con Paid Tha Cost To Be Da Boss (2002), con cui il rapper americano accede al mainstream internazionale. Pubblicato per la sua etichetta, la Doggystyle, ma supportato dalla Capitol, è un ariete per sfondare in classifica e lo fa, prima di tutto, scegliendo i giusti collaboratori. Il produttore E-Swift lancia Snoopy nel futuro con i synth robotici di "Da Bo$$ Would Like To See You", ma poi è Jelly Roll con "Stoplight" ad aggiornare il g-funk a uno stile frenetico, più in linea con lo sfarzo produttivo di inizio secolo: è una festa in cui arrivano interludi radiofonici, scale ascendenti, percussioni sparse.
La collaborazione più importante è però quella dei The Neptunes e di Pharrell Williams, i primi un team di producer fondamentali per l'hip-hop misto rock e r'n'b, il secondo il cantante e il volto dei primi: firmano loro "From Tha Chuuuch To Da Palace", un funk-rock costruito come un ossessivo pezzo gangsta, e soprattutto "Beautiful" (con Charlie Wilson), un leggerissimo pop-rap estivo e vagamente latinoamericano che diventa il primo pezzo di Snoop Dogg che si possa definire un successo anche in Italia.
Persino i momenti r'n'b vivono di una nuova veste, sofisticata e serica, com'è il caso di "I Believe In You" (featuring LaToiya Williams). Ad aiutare l'accesso all'immaginario pop anche un'ospitata di Jay-Z in "Lollipop", in coppia con Nate Dogg ad animare una danza per flauto di pan.

Smussato ogni angolo e ogni conflittualità, Snoop Dogg è rinato fascinoso donnaiolo, perfetto per riposizionarsi come rapper buono per le radio e le classifiche. Sono lontani i tempi dei processi penali, della misoginia costante, degli spari a fungere da punteggiatura nei brani, e un pezzo pensato per il dancefloor come "Hourglass" (featuring Kokane e Goldie Loc) è qui a palesarlo.
Il risultato commerciale è in flessione, intorno a un totale di un milione e mezzo di copie, ma la strada futura è segnata.

Cambiata nuovamente etichetta, per approdare alla Geffen e alla Star Trak, Snoop Dogg continua con R&G (Rhythm & Gangsta): The Masterpiece (2004; che modestia!), spinto da un nuovo singolo con Pharrell Williams e prodotto dai The Neptunes. "Drop It Like It's Hot" è la sua prima super-hit, il suo primo numero uno in patria nella classifica singoli di Billboard e un successo anche in Europa e Australia. La società che stila le classifiche ha anche indicato la canzone come il singolo rap più famoso del decennio.
Capolavoro produttivo fatto di schiocchi di lingua, arrangiamento minimale, accordi di synth scintillanti e un beat ballabile, "Drop It Like It's Hot" è anche il perfetto contesto sonoro per ribadire l'eccezionale delivery di Snoop Dogg, invecchiato benissimo.
L'altro singolo di grande successo mondiale, "Signs" (featuring Justin Timberlake e Charlie Wilson), non è altrettanto carismatico, ma comunque rimane appiccicato addosso con il suo ritornello morbido e i fiati festosi.
L'album non fa che affinare le intuizioni del suo predecessore, e il fatto che la Star Trak sia di fatto un'emanazione dei Neptunes porta l'album a funzionare molto bene come prodotto pop-rap e molto meno quando cerca di tornare in territorio gangsta o quantomeno più vicino alla strada.
Il risultato commerciale è comunque migliore dell'album
Paid Tha Cost To Be Da Boss, tornando nuovamente intorno a quota due milioni di copie.

I tempi sono buoni per una nuova raccolta, questa volta del periodo No Limit: Snoopified - The Best Of Snoop Dogg è il greatest hits del 2005 ed è un buon modo per riassumere una parte della carriera.
Pubblicherà più di dieci altre compilation entro il 2010, in vari formati e con intenti differenti, passando per l'inevitabile (?) strenna natalizia. Non contento di tanta abbondanza, dal 2003 avvierà anche una serie di nove mixtape, Welcome To Tha Chuuch, a cui si aggiungerà anche la serie di That's My Work (2012 - 2014) e tanti altri mixtape pubblicati soprattutto per la Doggystyle.
C'è spazio anche per il trio 213, con Nate Dogg e Warren G, titolari del solo "The Hard Way" (2004). Le apparizioni di Snoop Dogg si moltiplicano: in un video dei Korn e come ospite di Ice Cube, in un singolo di Coolio ma anche in numerosi brani della Dogg Pound.

Tha Blue Carpet Treatment (2006) segna il ritorno alla carriera solista e al compromesso fra i suoni g-funk e quelli più pop-rap recenti. "That's That Shit" (featuring R. Kelly) e "Candy" (featuring E-40, MC Eiht, Goldie Loc, Daz Dillinger e Kurupt) sono due singoli diversi ma complementari: prima un motivetto ficcante e pop, poi una nuova filastrocca pop-rap dall'arrangiamento creativo e minimale. A rappresentare il lato gangsta, le produzioni del redivivo Dr. Dre come "Boss' Life" (featuring Akon), che si presta anche alla più radiofonica "Round Here", che campiona Dido e suona come una nuova e minore "Stan".
Il compromesso non aiuta comunque i singoli, che questa volta non bucano il
mainstream. Vuoi per la crisi del mercato discografico, vuoi per una certa stanchezza creativa, per la prima volta Snoop Dogg non arriva al milione di copie in patria. Finisce così un'altra fase della carriera, quella del cambiamento da rapper puro a pop-rapper buono per un pubblico più vasto. D'altronde il gangsta-rap è ormai uscito dalle tendenze e, inteso come movimento, ha sostanzialmente esaurito la sua forza creativa.

Katy Perry, il rastafarianesimo, il leone e Snoopzilla

snoop2015Con ormai otto album alle spalle, e numerosi successi commerciali da affiancare ad almeno un lavoro considerato a pieno titolo un classico del genere, Snoop Dogg entra in una fase di stanchezza. Se i precedenti album hanno visto un cambio di stile significativo, che ha portato anche ad alcuni successi internazionali, i successivi Ego Trippin' (2008) e Malice N Wonderland (2009) sono al massimo buoni per mantenere viva la sua musica e il suo personaggio.
Tutt'altro che innovativi, servono a tratteggiare il gangster-pimp anche come un uomo adulto, avviato verso i suoi quarant'anni. Lo fa un album autoriferito come Ego Trippin', dove scomoda persino il country di Johnny Cash in "My Medicine", ma aggiorna anche la passione per il funk cantando il singolo di platino "Sexual Eruption" con l'auto-tune. Lo ribadisce con Malice N Wonderland, insolitamente breve per le sue abitudini prolisse: 54 minuti dove numerosi ospiti e produttori aiutano il titolare a suonare ancora attuale, anche con iniezioni trap (ad esempio, "That's Tha Homie"). Il meglio è forse "Gangsta Luv" (feat. The-Dream), quantomeno per il suo spirito festoso. Insieme, gli album non arrivano al milione di copie in patria, dove un tempo era un campione di vendite.

In questo periodo il suo più grande successo è quello insieme a Katy Perry, "California Gurls" (2010): otto platini, uno dei singoli pop del decennio. Non che Snoop Dogg sia nuovo alle collaborazioni, succedutesi a decine dagli anni Novanta, ma è lampante che da inizio millennio queste ottengono successi paragonabili o anche molto migliori dei suoi singoli. Il 2006 è l'anno della svolta, in questo senso: "Buttons" (del girl-group Pussycat Dolls) e "I Wanna Love You" (del divo r'n'b Akon) sono grandi successi che ammiccano a un pubblico mainstream. Ma il singolo spacca-classifica con Katy Perry è il massimo successo commerciale a cui partecipa, un momento di esposizione senza precedenti nel pop internazionale e che non sarà mai ripetuto, nonostante altre collaborazioni e qualche altra puntata in classifica.

Doggumentary (2011), inizialmente pensato come un seguito diretto di Doggystyle, non ha un decimo dell'impatto che quell'album ebbe sulla scena, non entusiasma il pubblico e lascia indifferente la critica. Come sempre prolisso, è un undicesimo album senza novità, che usa un esercito di collaboratori (inclusi Kanye West, i Gorillaz e John Legend) per animare il rap classico del titolare aggiornandolo ai nuovi suoni, come nel club-banger "Boom". Snoop Dogg gioca anche a rievocare il g-funk di un tempo, anche a costo di citare in lungo e in largo i Funkadelic e i Parliament, tanto che in apertura compare direttamente Bootsy Collins.
Fra le poche cose davvero curiose è da citare "Wet", un inno da dancefloor scritto appositamente per il Principe William, Duca di Cambridge: è un testacoda fra la trivialità del testo e della composizione da una parte e il mondo asettico dei Reali inglesi dall'altra.

A fine 2011 arriva anche la colonna sonora collaborativa con Wiz Khalifa, Mac & Devin Go To High School, famosa soprattutto per la dolcezza malinconica di "Young, Wild & Free" (featuring Bruno Mars), sestuplo platino in patria e grande successo mondiale. Il resto della colonna sonora spinge invece su più canonici gangsta-rap moderni, a tema weed.

Per non farsi mancare nulla, in questo periodo di stanchezza artistica, Snoop Dogg prima pubblica della musica elettronica raccolta nella deejay-compilation "Loose Joints", a nome Dj Snoopadelic, quindi decide per un album accoppiato a un documentario omonimo, Reincarnated (2013), frutto di una conversione al rastafarianesimo.
È una vera rinascita spirituale per il fu gangster, così si cambia pure nome: basta con i cani, ora è Snoop Lion. E basta, o quasi, con l'hip-hop, qui sostituito da un reggae alla moda, prodotto soprattutto da Diplo e i suoi Major Lazer. Questo album pieno di buoni di sentimenti, ovviamente infuso nella marijuana, è divertente nella sua leggerezza e positività, come nel trittico consecutivo "The Good Good" (featuring Iza) - "Torn Apart" (con Rita Ora) - "Ashtrays And Heartbreaks" (feat. Miley Cyrus), ma nulla aggiunge qualcosa al reggae, al pop o alla musica in generale, né tantomeno regala un singolo brano da aggiungere ai classici della discografia. È la fissa del momento di Snoop Dogg, che interpreta uno dei suoi "personaggi", indipendentemente dalla sincerità e profondità della conversione religiosa.

Questo cambio di nome e di immagine è in contrasto con il fatto che pochi mesi dopo, per il progetto collaborativo e il breve album omonimo 7 Days Of Funk (2013), insieme a Dâm-Funk, si fa chiamare Snoopzilla e ritorna al g-funk degli esordi, ancora in fissa con George Clinton, Bootsy Collins e i Funkadelic. Tutto già sentito, ma da uno che comunque lo sa fare molto bene.

Il ritorno: Snoop Dogg e la Bibbia

snoop2020Nel 2015 Snoop Dogg torna a fare il rapper solista, supportato da Pharrell Williams, per il tredicesimo e insolitamente breve album Bush, un tardo esempio di g-funk, nostalgico e ruffiano: è l'ideale seguito di R&G (Rhythm & Gangsta): The Masterpiece, ma forse è davvero troppo tardi e non bastano le nuove collaborazioni, compreso un Kendrick Lamar in ascesa verticale, a compensare l'effimera consistenza del tutto, che suona soprattutto come un'autocelebrazione. Daz Dillinger e Snoop collaborano per il divertente quanto effimero amalgama disco-g-funk contenuto su "Cuzznz" (2016), poi per Coolaid (2017) Snoop Dogg ritorna al suo sound classico, semplicemente variegandolo con trap e numeri pop-rap, nel formato prolisso, che ormai tutti conosciamo, di una ventina di brani per quasi 80 minuti.

Appena più sintetico Neva Left (2017), ma ugualmente irrilevante per la sua carriera o l'hip-hop in generale. Non soddisfatto, aggiunge anche due nuovi Ep, Make America Crip Again (2017) e 220 (2018), che seguono il primo lavoro in questo formato, Stoner's Ep (2012): sono prodotti per completisti.
Ormai si procede con il pilota automatico, poi un nuovo colpo di scena con Snoop Dogg Presents Bible Of Love (2018), un colossale album gospel (!) di 134 minuti scuote ancora la carriera, ormai in stato comatoso: è sicuramente strano ascoltare questi 32 brani, ma è richiesta anche una grande pazienza e una certa sospensione dell'incredulità per accettare questa irresistibile necessità religiosa.

I Wanna Thank Me (2019) sembrerebbe una chiusura di carriera, sintesi di tante versioni del suo hip-hop, e viene pubblicato fra il poco interesse generale, ma From Tha Streets 2 Tha Suites (2021) allunga, seppur con mezz'oretta di musica, la sua discografia. BODR (la sigla sta per “Bacc On Death Row”) (2022) ritorna alla storica etichetta degli esordi e a quel sound fatto di good vibes, groove ed edonismo. Rimpinzato di ospiti al microfono e alimentato dalla creatività di un manipolo di produttori, l’album funge anche da carburante per l’esibizione all’halftime show del Superbowl dell’anno, insieme a Dr. Dre, Eminem, 50 Cent, Mary J. Blige e Kendrick Lamar. Se le rime di una “Doggystylin” suonano ormai risapute, il giro sulla giostra della nostalgia non manca di conquistare i timpani più attempati, ancora innamorati del sound di un tempo. Certo, quando Nas arriva in “Conflicted” è palese chi dei due sia invecchiato meglio.

Vale, per tutto il periodo successivo al 2013, l'idea complessiva che poco sia stato aggiunto alla carriera dell'artista americano nel suo complesso: non una hit, non un album che verrà ricordato in futuro, non un'idea che sarà tramandata ai posteri, fossero anche i soli appassionati di hip-hop.
Sono tanti brani e progetti diversi e spesso incoerenti che servono soprattutto a far sopravvivere Snoop Dogg in un hip-hop che si è allontanato in modo deciso, e forse definitivo, da come lo intendeva Calvin Cordozar Broadus Junior agli inizi. L'ideale erede americano di Slick Rick, ibridato con gli N.W.A. e 2Pac, è comunque resistito meglio di molti altri colleghi all'inevitabile fine della stagione d'oro, anche sviluppando un personaggio popolare riconoscibile anche al di fuori del contesto musicale d'appartenenza.
Nel 2018 Snoop Dogg è diventato, insieme ad altri buontemponi, anche il detentore di un Guinness World Record per il più grande cocktail "Paradise" del mondo: 550 litri fra gin, brandy all'albicocca e succo d'arancia. È un modo per ricordare a tutti che è rimasto, nonostante tutto, il rilassato, fumatissimo animale da party degli anni Novanta e che non ha nessuna intenzione di smettere di bere il suo "gin and juice".

Snoop Dogg

Discografia

Doggystyle(Death Row, 1993)

Tha Doggfather(Death Row, 1996)

Da Game Is To Be Sold, Not To Be Told(No Limit, 1998)
No Limit Top Dogg (No Limit, 1999)
Tha Last Meal (No Limit, 2000)
Paid Tha Cost To Be Da Boss (Priority/Capitol, 2002)
R&G (Rhythm & Gangsta): The Masterpiece (Doggystyle/Star Trak/Geffen, 2004)
Tha Blue Carpet Treatment (Doggystyle/Geffen, 2006)
Ego Trippin' (Doggystyle/Geffen 2008)
Malice N Wonderland (Doggystyle/Priority, 2009)
Doggumentary (Doggystyle/Priority, 2011)
Reincarnated (Vice Records/RCA, 2013)
Bush (Doggystyle/Columbia/Sony, 2015)
Coolaid (Doggystyle/eOne, 2016)
Neva Left (Doggystyle/Empire, 2017)
Bible Of Love (RCA, 2018)
I Wanna Thank Me (Doggystyle/Empire, 2019)
From Tha Streets 2 Tha Suites (Doggystyle/Empire, 2021)
BODR (Death Row, 2022)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Gin And Juice
(videoclip da Doggystyle, 1994)

Doggy Dog World
(videoclip da Doggystyle, 1994)
Doggfather
(videoclip da Doggfather, 1997)
Woof
(videoclip da Da Game Is to Be Sold Not to Be Told, 1999)
Beautiful
(videoclip da Paid tha Cost To Be Da Boss, 2003)
Drop Like It's Hot
(videoclip da R&G (Rhythm & Gangsta): The Masterpiece, 2004)
Signs
(videoclip da R&G (Rhythm & Gangsta): The Masterpiece, 2004)
Sexual Addiction
(videoclip da Ego Trippin', 2008)
Young, Wild And Free (con Wiz Khalifa, featuring Bruno Mars)
(videoclip da  Mac & Devin Go to High School, 2011)


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