Peter Brotzmann Sextet & Quartet

Nipples

1969 (Unheard Music Series)
jazz

Parli di Peter Brotzmann e ti viene in mente "Machine Gun", del 1968. Pochissimi però, a parte gli appassionati del sassofonista e clarinettista tedesco, citano "Nipples", del 1969. Perché succede questo? Solo cattiva informazione?
Non credo. La causa, se proprio vogliamo trovarla, sta probabilmente nell'entità "dell'esercito" (parlare attraverso termini guerreschi è quasi un obbligo per una musica così d'assalto) assoldato nell'episodio del 1968, a differenza di quello presente in "Nipples": molto semplicemente un disco come "Machine Gun" presenta addirittura nove strumentisti, "Nipples" invece, a seconda dei brani, dai quattro ai sei. Se si vuole costituire una "poesia della violenza" per così dire, oltre a una "poesia dell'anarchia", allora più strumentisti (validi) sfrutti, maggiore è il potenziale dinamitardo dell'esecuzione e dell'improvvisazione. Fortunatamente non è tutto così lineare, fortunatamente un disco come "Nipples" esprime una così rara e aggressiva bellezza, tale da scuotere e intimorire comunque. Non c'è da stupirsi visti i nomi presenti, nella prima parte, omonima, eseguita dal sestetto: Peter Brotzmann e Evan Parker al sassofono tenore (due istituzioni del free europeo), Derek Bailey alla chitarra, vero e proprio "beniamino" della chitarra d'avanguardia, Fred Van Hove al piano, Buschi Niebergall al basso, Han Bennink alla batteria, il cui stile preciso ed esplosivo, a base di rullate improvvise, scatena l'entusiasmo più vivace.

Nel quartetto, che si dedica alla seconda parte, rimangono i soli Brotzmann, Van Hove, Niebergall e Bennink.

 

In effetti, per parlare di Brotzmann e di questo disco, sarei potuto partire da un dualismo poco definito internamente alla geografia del free-jazz: da una parte c'è il free americano, che vede compositori e al tempo stesso musicisti come Coleman, Braxton, il sassofonista Albert Ayler, il batterista Max Roach, il batterista e pianista George Russell; uno stile leggermente più cerebrale, socialmente impegnato e dunque rabbioso, teso a un disordine "più contorto" - un filone del quale fa parte anche un cavallo pazzo e originalissimo come Charles Mingus o un degno erede delle sbandate spirituali in stile world di Miles Davis, infettate di surrealismo, ovvero Gato Barbieri, capace anche di aggiungere una finezza melodica sconosciuta al genere - e dall'altra c'è il free continentale, dedito alla violenza estrema, all'assalto all'arma bianca, al rito orgiastico, all'esaltazione nietzschiana dell'istante quale presente eterno, uno stile musicale che spinge ai limiti della resistenza fisica i musicisti che lo animano, tra i quali cito il batterista Sven-Ake Johansson, il tenorsassofonista e clarinettista Ken Vandermark, il tenorsassofonista e flautista Mats Gustaffson, il violoncellista e violinista Lomberg-Holm, il pianista Alex Von Schlippenbach, il trombettista Alex Dorner. Punto di incontro tra i due stili si potrebbe considerare l'Art Ensemble Of Chicago, in quanto afferma le peculiarità di entrambi i continenti, ma è comunque una distinzione da non considerare troppo rigidamente.

 

Le tracce coincidono con le parti, e sono perciò due: "Nipples" e "Tell A Green Man", cui corrispondono il sestetto e il quartetto.

Il primo brano è una cornucopia caotica, nella quale gli strumenti si influenzano vagamente: i sassofoni si alternano ululando, la batteria improvvisa pattern ritmici distrutti e soppiantati poco dopo, il piano emerge nei momenti in cui i sassofonisti si riposano, esprimendo inizialmente note su un range di 2-3 ottave, per poi estendersi a ulteriormente, pur privilegiando decisamente i suoni più acuti; il basso di Nebergall infine è come terremoto: scuote le fondamenta del pericolante edificio dei nostri.

Il secondo brano si apre con il basso che vibra da solo, ma è il sassofono del leader che impazza, saltando da una nota all'altra: senza scale, senza melodia o armonia prestabilite, pura esaltazione nietzschiana dell'istante, del divenire presente, che sembra essere fissato in un eterno reversibile dall'orgasmo pieno, dal piacere goduto attimo per attimo, dall'assecondamento della potenza e della sua volontà ingorda.

Ascoltare "Nipples" è godersi l'emozione derivante dalla consapevolezza di godere le sensazioni dell'istante, con o senza progetto, senza sconfitta o turbamento, perché tutto, anche ciò che è negativo e distruttivo, viene inglobato e triturato da una dialettica del divenire; e tutti, volenti o nolenti, dobbiamo vivere questo dinamismo, anche se con distacco.

Astratto dalle tecniche musicali più determinate e deterministiche, seppur ricco di consapevolezza sonora e artistica; corporale nella sua improvvisazione volutamente selvaggia, di un'immediatezza che, come ogni passione, travolge tanto l'ingenuità della mente emozionata e assertiva, quanto l'asciutta durezza della realtà, Nipples è un disco emblematico di Brotzmann, della sua filosofia di suono e di esecuzione, della suo voler affermare cuore e viscere, vivificando l'intelletto, asservendo a tutto ciò la ragione, senza lasciarsi mortificare da essa.

 

Se qualcuno pensa che il free jazz sia tutto uguale, così come la musica improvvisata, provi a percepire la differenza tra questo disco e "1969" degli AMM: laddove il primo è affermativo, il secondo è negativo, laddove il primo è entusiasta, collerico e incosciente, sprezzante della metafisica razionale d'Occidente, il secondo è angosciato da quest'ultima e dai confini mentali, sino a sfociare nel paranoico, e psicologicamente critico-analitico.

Se in "Nipples" c'è forza, come in "Rambo" o "Rocky" (e in generale i film americani sui superuomini), di certo non c'è il loro pessimismo propedeutico al successo; "Nipples" è l'indirizzamento, naif e passionale, dell'iperattività emotiva e sensitiva, come se al Matisse di "Lusso, Calma e Voluttà" (1904) avessero tolto il potere narcotico e conciliante della riflessione.

Una goduria abusarne.

21/11/2010

Tracklist

  1. Nipples
  2. Tell A Green Man

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