Matt Elliott

The Mess We Made

2003 (Domino)
songwriter, alt-rock

Dopo le collaborazioni con Amp, Flying Saucer Attack e Hood, l'ex-leader dei bristoliani Third Eye Foundation sforna un disco tutto suo, che fa tabula rasa del passato, e mette a nudo i sentimenti e la confusione (dal titolo) interiore di Elliott. "The Mess We Made" è un album che suona classico già dalla prima nota, ed è si nel solco del cantautorato post-rock, ma sprigiona quelle stesse fragranze emanate dalle leggiadre elucubrazioni di Edith Piaf.

Sarà la beata solitudine della campagna francese, dove il parto è avvenuto, sarà la volontà di confrontarsi con la forma canzone più che con breakbeat e manipolazioni sonore varie, sarà per l'insolito (per lui) utilizzo dell'elettronica, che questa volta condivide il ruolo di protagonista con una strumentazione "rurale", fatto sta che l'atmosfera evocata dal disco sembra appartenere a un'altra epoca. Il pianoforte è sempre protagonista, violoncelli, fisarmoniche e screziature acustiche emergono a tratti, mentre la voce echeggia cacofonica così da amplificare l'effetto depressivo del flusso sonoro.

Il disco non lascia scampo all'ascoltatore già dall'iniziale "Let Us Break", una lunga elucubrazione depressa, accompagnata dal pianoforte, con una voce femminile che irrompe all'improvviso, tetra come nelle migliori orazioni di Nico. Dall'andamento melodico più intelligibile è "Also Ran", con le voci sovrapposte a evocare l'inferno dell'animo, e che evolve in una ritmica danzereccia per poi ritornare calma e assorta verso la fine. "The Dog Beneath The Sun" è forse il pezzo più intenso, con una melodia straniante portata avanti dal pianoforte e strumenti (chitarra, fisarmonica) che a turno rendono corposo il sound . Il cantato di Elliott è, in questo caso, al contempo desolato come quello di Ian Curtis ed emozionale (alla Thom Yorke).

"The Mess We Made" ha una struttura simile ad "Also Ran", con un inizio placido che sfocia in una ritmica sincopata. Altra vetta qualitativa è "Cotard's Sindrome", con una sublime melodia di pianoforte aiutata da tratteggi di chitarra che si materializzano a tratti e la voce ultradepressa di Elliottt a deturpare l'idillio. In "The Sinking Ship Song", la fisarmonica e il canto cantilenante irrompono su di uno sfondo piovoso, a ricordare le filastrocche ubriache di Tom Waits. Ultraclassica è la finale "Forty Days", con arpeggi di chitarre e deliqui di violoncello, a metà tra Black Tape For A Blue Girl e Windsor For The Derby.

"The Mess We Made" può risultare ostico al primo ascolto, può sembrare difficile (e probabilmente lo è) da penetrare, ma non lasciatevi scoraggiare: insistete, e un mondo di splendida, liquida depressione avvilupperà la vostra anima.

27/10/2006

Tracklist

  1. Let Us Break
  2. Also Ran
  3. The Dog Beneath The Sking
  4. The Mess We Made
  5. Cotard's Syndrome
  6. The Sinking Ship Song
  7. End
  8. Forty Days

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