Gli Ataxia nascono dall'unione di John Frusciante (chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, qui
in veste di "leader"/chitarrista/tastierista), del suo collaboratore Josh
Klinghoffer (alla batteria e alle tastiere) e di Joe Lally (bassista dei Fugazi).
Si tratta di musica
completamente differente sia dal funky-rock dei Red Hot Chili Peppers sia dal
cantautorato dei lavori solisti di Frusciante.
I cinque pezzi che compongono
"Automatic Writing", infatti, difficilmente possono essere considerati come
canzoni vere e proprie, quanto semmai come jam session basate sulla reiterazione
di pattern strumentali-melodici molto semplici (si veda, in questo senso,
l'utilizzo di linee di basso pressoché elementari).
"Dust" (9 minuti) è
il primo esempio di questo schema: sopra un riff di chitarra e uno di basso
ripetuti pressoché all'infinito si snodano la declamazione di Frusciante e delle
sporadiche sovraincisioni di chitarre effettate e di tastiere.
Quello che
salva il brano è il cantato che, seppure basato sulla ripetizione di due linee
melodiche basilari, attraverso le variazioni continue nel timbro vocale (ora su
registri medi, ora urlato/biascicato in modo quasi incomprensibile, ora in un
falsetto dalle tinte psichedeliche) riesce a evitare che la catarsi si trasformi
in noia.
"Another" è costruita invece su un semplice ma dolce arpeggio di
chitarra e su alcune manipolazioni elettroniche della voce: è un po' monotona,
ma contiene comunque alcune ottime idee (il già citato arpeggio, l'assolo a
circa metà pezzo, le sovraincisioni vocali del finale) che la salvano.
"The Sides" è semplicemente un piccolo capolavoro, lungo quasi 7 minuti.
Dopo un'intro di batteria effettata con delay, il pezzo prende forma e dà vita a
qualcosa di magico grazie alla voce delicata di Frusciante e al suo chitarrismo,
non certo virtuosistico ma estremamente suggestivo ed evocativo.
Il brano
successivo, "Addition", da un lato si avvicina alle atmosfere "droniche" di
"Dust" (anche qui abbiamo la reiterazione di un riff di chitarra e di basso per
quasi tutto il pezzo), dall'altro se ne distacca ponendo un'enfasi nettamente
maggiore sugli elementi rumoristici: è la maturazione di alcuni esperimenti
sonori condotti da Klinghoffer e Frusciante in due live set elettronici tenuti
alla Knitting factory di Los Angeles.
La conclusiva "Montreal" (12
minuti) è forse la traccia che più si avvicina al post-rock: linea di basso
elementare, chitarra impressionistica - prima suonata con la ripetizione
effettata di una sola nota, poi con pennate tiratissime e veloci come già fatto
in moltissimi pezzi dai Sonic
Youth -, canto "slintiano" (prima scazzato, poi arrabbiato e depresso) di
Frusciante.
Dopo la consueta e riuscita catarsi, la canzone si chiude con
alcuni minuti in cui il pattern di basso e batteria fa da sfondo a manipolazioni
elettroniche-chitarristiche varie.
Quello che fa di "Automatic Writing"
soltanto un buon album non è la qualità delle idee - invero piuttosto buona - ma
la loro quantità. Certo, è un disco musicalmente coraggioso e ciascuno dei
cinque brani ha al suo interno dei momenti assai evocativi e riusciti, tuttavia,
fatta eccezione per la bellissima "The Sides", ciascun pezzo ha anche dei
momenti in cui la noia può essere dietro l'angolo.
Non si tratta di un
capolavoro, ma se siete appassionati di musica dronica, di post-rock, delle cose
più rarefatte (se così si può dire) dei Fugazi o più semplicemente dello stile
vocale e chitarristico di Frusciante, questo disco potrebbe decisamente fare per
voi.
15/11/2006