Matthew Bayot

Circling Buzzards

2005 (Fire)
psych-pop
5.5

Matthew Bayot (originario di St. Louis) è uno studente di musica indiana che nel 2004 comincia a scrivere di getto canzoni nello stile dei classici freak Jason Molina e Will Oldham. La volontà artistica a lui più cara sembra essere quella di riversare gli insegnamenti del raga e della musica modale in alcune delle sue canzoni. Ne esce un Lp, "Circling Buzzards", pubblicato dalla Fire Records, che colleziona i suoi primi frutti creativi. Così come Johanna Newsom (nel suo esuberante esordio su Drag City del 2004, "The Milk-Eyed Mender" cfr.) contornava la sua voce stridula, calibrata tra le vocalist del folk prebellico degli Appalacchi e le nenie vibranti di Bjork, con arrangiamenti barocchi per arpa e clavicembalo, così Bayot tenta la carta della mescolanza del psych-pop con i timbri degli strumenti tradizionali (tabla, sitar).

La prima sfera del disco, in effetti, tenta numeri di contaminazione, senza per questo affondare il colpo. Il suo songwriting è anzi abbastanza circospetto. All'inizio ("Cast No Shadow") fanno capolino gli orientalismi di McGuinn, mentre "Beauty Myth" sfoggia unisoni di chitarra acustica Donovan-iana e sitar, secondo un blues-raga dall'interpretazione vacillante, e "Winterpollen", con una sezione ritmica più scandita, fa quasi pensare a certo tardo Byrne. In "Dragon's Tail" la voce sporcata di echo duetta con una chitarra a incroci country-rock nella quale si inserisce un sitar discreto. "Sore Thumb", sorta di sperimentazione con le scale orientali alla Ben Chasny, sommata a un impacciato sound sculpting dall'andamento ballabile, è puro riempitivo. "Meg" è un modo sempliciotto per sitar e tabla (ma comprensivo di un cambio melodico che ne stempera il mood).

I già blandi paralleli con la Newsom si perdono del tutto in pezzi come "Your Favourite Fruit", una ballad convenzionale per chitarre scampanellanti e voce filtrata, che lascia da parte la strumentazione indiana per rivolgersi stancamente a Smog e Molina. "Drowning" attacca distorsori e amplificatori e sfodera una jam centrale per avvicinarsi al Gabriel più impavido. La title track, il brano con cui l'album termina, è una piece folk-rock per arpeggi pastorali e gorgheggi angelici.

Da un estremo all'altro. "Gin With Jodi" propone 13 minuti improvvisati per soli sitar e tabla, che per contrasto diventa il cuore pulsante del disco. Dialoghi strumentali, call-and-response, rarefazioni, innalzamenti e vedute aeree: si tratta un'incursione nel folk indiano in piena regola, ma con più di un occhio di riguardo alle puntate tonali. Qua e là trapela ostentazione, come pure una certa confusione su quale delle due dimensioni (modale o tonale) Bayot voglia/possa far emergere, ma l'insieme è nobilitante.

Ritmo sostenuto all'inizio, uniforme nell'insieme dell'album, inciampa quando prova a scendere nei dettagli della scrittura sofisticata. Qualche momento di facile commozione, e un bandleading inetto, fuori fuoco. Bravo Jaipal Singh (uno dei maestri di Bayot) alle tabla. "Gin With Jodi" rimane l'episodio più disinibito del 2005.

24/11/2016

Tracklist

  1. Cast No Shadow
  2. Beauty Myth
  3. Winterpollen
  4. Meg
  5. Your Favourite Fruit
  6. Sore Thumb
  7. Drowning
  8. Dragon's Tail
  9. Gin With Jodi
  10. Circling Buzzards

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