Il Canada musicale di oggi è un paese che guarda avanti, che cerca di definire un nuovo tipo di pop (Broken Social Scene, Arcade Fire, Decemberists) o si avventura in destrutturazioni e cazzeggio (ancora i Broken Social Scene, i Godspeed You! Black Emperor e derivati). E' insomma un paese che spinge lo sguardo al futuro, alla ricerca di una propria identità musicale a lungo sommersa dall'ingombrante vicino di casa americano. In mezzo a tutto ciò, c'è ancora qualcuno che guarda indietro, che rispolvera i vinili dei padri, che si tuffa nel passato con nostalgia. E' questo il caso dei cinque Black Mountain, nuovo progetto del cantante/cantautore Stephen McBean, dopo i Jerk With a Bomb e i Pink Mountaintops. A guardarli in foto sembrano dei capelloni hippie residenti a San Francisco con tanta voglia di suonare nel garage sottocasa estenuanti jam chitarristiche, con in testa Grateful Dead e Jefferson Airplane. E non si andrebbe nemmeno troppo lontano dalla realtà della loro proposta musicale, a patto che si contamini il tutto con un po' di hard-rock alla Led Zeppelin (sarà un caso la scelta del nome?), un po' di rock-blues rollingstoniano e i soliti Velvet Underground. Nulla di nuovo dunque, ma nemmeno di recente, sempre che non ci si lasci abbagliare da certi echi stoner; ma anche qui, basta tirar fuori dal cilindro dei nomi Sixties/Seventies i Black Sabbath, per ritrovarsi di nuovo nel più classico del roots-rock.
In questo pastiche di suoni, ecco allora che emerge il trait d'union del disco: musica psichedelica mischiata al rock-blues con il fantasma dei Velvet Underground. Con questi ultimi veri guru ispiratori: vuoi per il divincolarsi tra episodi acustici ed elettrici, vuoi per lo sconfinamento nell'avanguardia (l'improvvisazione "free" del sassofono in "No Hits", come anche nell'iniziale "Modern Music") o per quella voce femminile di Amber Webber, che viaggia tra il lirismo di Nico e l'atonalità di Heather Lewis dei Beat Happening.
E' a fine album, con le conclusive "Heart of Snow" e "Faulty Times", che la Webber riesce a ritagliarsi uno suo spazio di più ampio respiro: nella prima accarezza una melodia rallentatissima in puro stile slow-core, mentre nella seconda si diverte a giocare a due voci con McBean. Tra gli otto brani che si dividono i 50 minuti dell'album, "Modern Music" palesa quanto i White Stripes siano derivativi, "Set Us Free" (gioiellino del disco) è un viaggio lisergico nella California sixties con il fiore tra i capelli. La zeppeliniana "Druganaut" anticipa l'omaggio, nemmeno tanto velato, ai Rolling Stones con "No Satisfaction". E poi, spazio a "Don't Run Our Hearts" (con riff sabbathiano pre-stoner) che sembra uscire dall'album di PJ Harvey prodotto da Steve Albini. "No Hits" è, infine, il brano che più si spinge oltre, lambendo territori completamente estranei al resto del disco: basi elettroniche, brusche incursioni di sassofono e aperture ambient (?!).
Ci vogliono giusto un paio di ascolti, per capire che si tratta di un album godibilissimo. Certo non ci si trova nulla di nuovo e di innovativo, e il loro revival di psichedelica/hard rock/rock blues è già dei Comets On Fire (giusto per citare un gruppo per certi versi simile), ma l'esordio dei Black Mountain non pretende di essere originale.
26/03/2012