Broken Spindles

Inside / Absent

2005 (Saddle Creek)
electro, lo-fi
4.5

La carriera solista di Joel Petersen inizia quando, bassista stanco o non pienamente soddisfatto del decorso musicale della sua band d'origine (inizialmente pensata con il nome di Norman Boiler, in collaborazione con un certo Conor Orbest, poi mutata in senso synth-wave come Faint e il subentro - al posto di Mr.Bright Eyes - di Matt Bowen), cerca di dare sfogo alle sue passionalità musicali più sentite. Così, tramite il moniker di Broken Spindles, realizza un primo Lp, omonimo (Saddle Creek, 2002) e interamente strumentale, di ruspante fascino digitale. Intrapreso anche il progetto Beep Beep, nuovamente come bassista, il nostro fa uscire il secondo Lp ("Fulfilled: Complete"; Saddle Creek, 2004), in cui canta e organizza le partiture in modo professionale (l'apporto del produttore Mike Mogis stavolta è più apprezzabile), ma in cui ancora stenta la personalità.

Forse anche per tentare di sanare il più possibile quest'ultimo tutt'altro che trascurabile inconveniente creativo, Petersen compone al laptop in tutta fretta (anche nelle pause del tour con Faint e Beep Beep, e talvolta anche nei rispettivi soundcheck) il seguito di quell'episodio. Il risultato è il perfetto fratello minore del predecessore. C'è, forse, una maggiore coscienza, come dimostra il gioco linguistico di "This Is An Introduction" (chitarra e contorni digitali di beat, contrappunti, sfondi sonori), o una più pronunciata sensibilità synth-new romantic (i Japan asfittici di "Birthday", o la tiritera filtrata e robotica di "The Distance Is Nearsighted", o ancora l'electroclash slavato e sempliciotto di "Please Don't Remember This", con sospiri effeminati à-la Bolan), ma l'insieme è semplicemente troppo rustico per risultare credibile. L'assenza d'aiuti significativi c'è e si sente.

In aggiunta a questa sofisticazione intimista delle canzoni dell'album precedente, l'autore ne riprende anche gli intermezzi per piano, centrati su registri di decadentismo à-la Debussy. In "Fulfilled" tali brani strumentali non pretendevano di assurgere al ruolo di "Promenade" Mussorskji-iane, e nemmeno a quello delle intercapedini rumoriste del capolavoro dei Red Crayola (le ormai famigerate "Free-Form Freak Out"), ma costituivano in ogni caso originalità straniante in grado di soppesarne l'equilibrio generale. In quest'album sembrano diventare pura monotonia da mancanza d'idee. "Valentine" è l'unica piece del lotto a elevarsi un minimo, grazie soprattutto alle vocals Sutton-iane di Petersen e ai loop ambientali che circondano questa fantasietta con discrezione. Soprattutto, Petersen dimostra che il coevo Flim è ben altra cosa. Aumentata dunque (anche se di poco) l'agognata personalità cantautorale, Petersen si dimentica però del resto. "Inside/Absent", il titolo, si adatta in modo involontario (e inquietante) al contenuto vero e proprio: talvolta è dentro, alle prese con stereotipi a rischio ridicolaggine, molto spesso è la mancanza. D'interpretazione, di determinazione, di durata. I suoi soli 26 minuti, in tempi d'incontinenza artistico-discografica, riescono a essere una colpa. Non era facile.

Tracklist

  1. Inward
  2. This Is An Introduction
  3. Burn My Body
  4. Please Don't Remember This
  5. Desaturated
  6. Birthday
  7. The Distance Is Nearsighted
  8. Valentine
  9. Anniversary
  10. Painted Boy Face

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