Lavoro nato da una collaborazione estremamente democratica (tre
brani ciascuno e tre in coppia), "Sir Dark Invader Vs. The Fanglord" si nutre
dell'anima intimista di Buckner e del fervore "rock" di Langford (ex Mekons),
mostrandosi lavoro bifronte e soggetto a precari equilibri, non tanto
all'interno dei singoli brani, quanto, piuttosto, nella resa formale globale.
Una precarietà che, comunque, passa in secondo piano se si sceglie di gustarsi
queste nove composizioni senza pregiudizi e con la voglia di concedersi mezz'ora
di discreto alternative-country.
C'è un piccolo, grande gioiello
in apertura: quel "Rolling Eyes" che si agita tra ardori power-pop e pulsare
post-punk. E ci sono, poco più in là, fotogrammi di desert-rock ("Sweet
Anybody"), acquarelli acustici che si muovono disinibiti tra nubi elettroniche
("From Attic To Basement") e romantiche ballate che fanno andare di pari passo
Springsteen e Neil Young. Un brano come "Torn Apart", invece, è un perfetto
esempio di (con-)fusione di due modi diversi ma convergenti di trattare la
materia rock. E, molto probabilmente, fa ancora meglio "The Inca Princess" che,
a ritmo sostenuto, si accende di luccichii improvvisi e si concede accelerazioni
vigorose.
Quando, poi, Buckner si ritira nel suo piccolo mondo fatto di
tenero intimismo, basta poco per mettere su una ballata tutta giocata su lievi
chiaroscuri folk ("Stayed"). Risultano, tuttavia, molto più interessanti, sia lo
spaccato bucolico di "No Tears Tonight" (strimpellato con chiarezza diamantina e
con un trasporto emotivo quasi infantile); che l'ultimo, profondo vagito prima
dell'abbandono, che si lascia immaginare come estremamente doloroso ("Do You
Wanna Go Somewhere?").
In definitiva, "Sir Dark Invader Vs. The
Fanglord" è da considerarsi alla stregua di un diario in cui i due autori hanno
voluto appuntare i momenti salienti della loro performance a quattro mani
(coadiuvati da John Rice - mandolino e chitarra - e Lil` Willy Goulding -
batteria). Tuttavia, non si può certo negare che, nonostante alcuni buoni
momenti, questo è un altro di quei dischi che finirà nel dimenticatoio nel
volgere di qualche settimana.