Infinite e eppure circolari vie del pop. Ancora un album e soprattutto ancora un album convincente di Lucksmiths, pregiati interpreti di una musica rotonda e sognante, a rilevare idealmente lo scettro appartenuto a Felt negli anni 80 e successivamente a Field Mice.
Irresistibili jingle-jangle , melodie cristalline e un afflato esistenziale prossimo a Morrissey e Magnetic Fields, anche se un po' più scanzonato. "Warmer Corners" non ha nulla da invidiare a nessun album pop nel 2005, poiché riesce nell'obiettivo che ogni album pop dovrebbe agognare di raggiungere, e cioè contenere belle canzoni; e queste alla band non fanno difetto, anzi c'è l'imbarazzo della scelta.
"Warmer Corners" esce a due anni di distanza dall'ottimo "Naturaliste", ed è ancora un bel sentire, potendo contare su composizioni immediate, dal tocco classico, per la maggior parte scevre da quelle sovrastrutture orchestrali che avevano caratterizzato il Lucksmiths-sound nel periodo di "Why That Doesn't Surprise Me". Donald-Monnone sono la coppia d'oro dell'indie australiano, capaci di testi intimi e personali, quando la coperta di lana e un po' di buona musica, rinchiusi nell'alcova della propria cameretta, sono l'unico antidoto contro i dolori del cuore. E allora scorrono le melodie ariose di "The Music Next Door" e "Sunlight in A Jar", con quelle chitarre zig-zaganti da scuola elementare, squarcia l'anima la slide in "If You Lived Here, You'd Be Home Now", deliziano le armonie folk alla Simon & Garfunkel di "Fiction".
Qualche smaliziato volpone potrebbe obiettare sulla bontà dei Lucksmiths, asserendo che canzoni del genere se ne sentono a centinaia; può darsi, ma come non commuoversi al cospetto di una "Putting It Off And Putting It Off", dove in meno di tre minuti sembra condensato l'intero scibile della musica pop, tra refrain a presa rapida, sequenza di pochi accordi semplici e immediati e piccoli accenti orchestrali da spasmo emotivo.
Lucksmiths sanno scrivere canzoni eccellenti, nulla più, e può bastare così.
01/02/2010