I Redjetson si presentano all’audience musicale con questo "New General
Catalogue" e con il favore dei Bloc Party (avessi detto i Rolling Stones...), che
sembrano averne gradito le sonorità. Dimenticate le frenesie post-wave della
band di Kele Okereke, qui si veleggia dalle parti di Codeine, Mogwai e compagnia slowcore/post-rock
cantando. Ora, non che si voglia a tutti i costi usare la mannaia della critica
più intransigente, ma ditemi voi se sia possibile offrire, nell’anno 2006, un
suono che è gia patrimonio dei musei di archeologia musicale. Beh sì, se le
sonorità tendessero verso una evoluzione del suono originario, o se ci si
trovasse al cospetto di canzoni talmente belle e compiute da porre in secondo
piano il resto. Ma siamo presenza di quanto detto? No, per nostra sfortuna la
band rimastica con fare calligrafico un decennio di lentezza rock, non centrando
mai la melodia memorabile o l’arrangiamento particolare. Psichedelia? Non molta.
Afflato esistenziale? Neanche a parlarne. Cosa resta? Sincerità e impegno, ciò
sicuramente traspare, ma non basta a trasformare le canzoni in buone canzoni.
C’è qualcosa che ha la forza di oltrepassare il limite della mediocrità,
a cominciare da "Perseverance Works", nenia di quasi cinque minuti che sfrutta
l’esempio dei maestri Seam nelle vesti di limpide melodie che si incastrano sino
all’esplosione finale in un baccanale di distorsioni. Notevole pure "New
Europe", con crescendo dronico alla Earth su cui s’innesta un flebile
arpeggio di chitarra acustica e una fine svisata di tromba a evocare quei
paesaggi montagnosi fotografati nel booklet .
Tutto il resto si
uniforma al modello classico dello slowcore e del post-rock più chitarroso, e
quindi alternanze di piano-forte-piano, un po' di malinconia, qualche riff
appena più roccioso… tutto il resto è noia, direbbe qualcuno.
E ci scusino i
Redjetson, ma non riusciamo a trovare nessun buon motivo per consigliare
l’acquisto del disco.