Built To Spill

You In Reverse

2006 (Warner)
alt-rock

Tanta, tanta attesa. E’ stato questo l’unico dato di fatto a nome Doug Martch, dopo l’ultimo - non troppo convincente - “Ancient Melodies Of The Future” (Warner, 2001) e il debutto solista di “Now You Know” (Warner, 2002), in un intorno d’anni che è sembrato non passare più. Ma i Built To Spill, artwork Mirò-surrealista, bel titolo cinematico, una buona dose d’energia melodica parzialmente ritrovata, e forse spinti dall’atmosfera dei ritorni più o meno annunciati che circola negli alveoli del rock di questi tempi, sono di nuovo qua. “You In Reverse”, soprattutto, è lo specchio fedele del bardo-chitarrista Martsch del lungo periodo appena trascorso, una delle figure chiave del rock 90 alla riscoperta della chitarra atmosferico-rivelatrice che fu di Mascis, Verlaine, Garcia e Young, tanto introverso adolescente, continuamente messo in discussione (qui addirittura posto in reverse ), quanto metodico esistenzialista.

“Goin’ Against Your Mind”, uno dei loro migliori opener di sempre, n’è la pragmatica risposta, chiaro segno di quell’istinto improvvisatore marchio di fabbrica del combo, violento sfogo privato e collettivo, incontrollabile saetta drum-driven che per nove minuti singulta di pathos e rimbalza tra ossessioni dissonanti free-form: dopo un inizio sottotono, il crescendo si fa talmente emotivo che la distorsione s'arroventa; il canto di Martch abbassa i toni ma - al contempo - alza la concitazione. Dopo una nuova virata a un pianissimo solenne, il concerto riprende le enrgie e termina con fasti hard-rock. Arrivano poi brani ammalianti e di deviata orecchiabilità, come “Wherever You Go” e la sua lunga intro degna dei Crazy Horse di “Everybody Knows This Is Nowhere”, che poi diventa trasfigurazione corale e improvvisazione distorta e sfaldata, o “Saturday” e il suo vago accenno a “Kicked In The Sun” (“Perfect From Now On”, cfr.), su incedere percussivo e raga à-la Velvet Underground subito decorati da organo e feedback .

Ancora, i Built To Spill rimarcano il loro canone di giocosità epica con “Mess With Time”, riff poderoso hard-psych convergente con il jamming in levare della chiusa, e soprattutto attraverso “Gone” e “Conventional Wisdom” (stilisticamente le più vicine alle meraviglie del succitato “Perfect”), tra organi, invocazioni vocali melanconiche e fluidi cambi di atmosfera, parentesi strumentali di chitarre scampanellanti, jam sovreccitate.
“Liar”, bonaria piece college-pop impostata da un Martsch angelico e chitarre jingle-jangle , e “The Wait”, il brano di commiato, a implementare melodia folkeggiante e sortite psych-pop fino alla coda amorevole su gorgheggi di Martsch, disintegrazioni schizoidi e assolo finale funambolico, rinforzano il livello complessivo d’ascolto.

Con la line-up ormai stabilmente composta da Martsch, Plouf, Roth e Nelson, ma pure aperta a intromissioni esterne, come quella di Sam Coomes dei Quasi alle tastiere, e supportati dal congeniale formato delle dieci tracce (quello di “Ultimate Alternative Wavers”, “Keep It Like A Secret” e “Ancient Melodies Of The Future”; con le notevoli eccezioni di “There’s Nothing Wrong With Love”, il loro più facile, e “Perfect From Now On”, il loro più complesso), il disco è anzitutto uno sforzo di continuità meritevole di attenzione, ben oltre la mera sottolineatura formale, ma anzi proiettata in uno sforzo ricompattante.
Ci si accorge, pian piano, che i barocchismi dell’ultimo periodo, a fornire di acutissima tracotanza un sound già eccessivo di suo, qui sono indirizzati nelle direttrici della potenza smargiassa (pure questa loro tipica). E ci si compiace. Ha oltretutto un’invidiabile capacità di sintesi retroattiva ( in reverse , di nuovo): con un piccolo sforzo di fantasia, ci si fa rientrare pure i Treepeople (il Martsch pre-Built To Spill, ndr).

17/04/2006

Tracklist

1. Goin’ Against Your Mind
2. Traces
3. Liar
4. Saturday
5. Wherever You Go
6. Conventional Wisdom
7. Gone
8. Mess With Time
9. Just A Habit
10. The Wait

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