Forward Russia

Give Me A Wall

2006 (Dance To The Radio)
alt-rock, post-emo
6.5

Et voila , il debutto next big thing rock 2006 (quello pop sono i Guillemots) è servito. Magari con un po’ di ritardo, magari con poco senso degli affari, ma i Forward Russia promettono, e stanno promettendo ormai da svariato tempo, fuoco e fiamme. Formata in quel di Leeds nel 2004 da Tom Woodhead e Rob Canning (già Black Helicopters) - rispettivamente synth e basso - e da Whiskas e Katie Nicholls - chitarra e batteria - la band muove i primi passi sotto il benestare della potente testata online Nme, che recensisce a pieni voti i loro primi demo . I Forward Russia ne escono talmente ringalluzziti che decidono di andare avanti a suon di uscite su breve distanza.

In senso stretto, l’album d’esordio "Give Me A Wall" è anzi la raccolta di materiale già edito su singolo o 7", la cui titolazione predilige nettamente i numeri (e in particolare i numeri sopra il dieci, come nostalgico tributo a infanzia e adolescenza). "Nine", loro prima uscita ufficiale (aprile 2005, come split con i This Et Al), è una cavalcata al contempo melodica e rumorosa dalla foga post-punk non indifferente, mentre "Thirteen" e "Fourteen" (agosto 2005) impiegano tastiera minimale, canto lirico-robotico, batteria in tempi complessi (sincopati) e lavorio di chitarra a dividersi tra il drone , il noise e il fraseggio caotico.

"Twelve" (gennaio 2006) è invece un pezzo breve, frenetico e incisivo con canto sfuggente (ma refrain orecchiabile), sovrapposizioni atmosferiche tra chitarra e tastiera in qualità di glockenspiel . "Eighteen" (luglio 2006), sebbene con poca personalità, propone una potente transizione guidata dalla batteria pestona e dagli accordi martellati della chitarra e un’incalzante progressione di chiusa.
"Nineteen" prende maggiormente in considerazione l’elemento elettronico a far prendere corpo (secondo un disco-kitsch con ampia melodia e beat a intermittenza) a un stasi di chitarra e di tastiera quasi Moroder. "Seventeen" trasforma un riff barocco in muro di suono di feedback e synth, mentre il canto disallineato fa storia a sé, e "Fifteen" - in due parti - è una nuova sfuriata chitarra-batteria in controtempo con variazioni, bridge sospesi e chorus accorato.

Un disco siffatto dimostra i connotati di una (snobbata) patata bollente, un capolavoro di riferimenti sfacciatissimi e ripetitivi alla nausea, non lontano dallo spirito magno di McLaren e i suoi Sex Pistols: Arcade Fire, punk-funk, Bloc Party, tarde emanazioni emo (Ikara Kolt, My Chemical Romance), retaggi wave (Editors, Interpol), foxcore scalmanato e involontariamente comico, solo che la ribellione è abitata da strani fantasmi para-musicali (tastiera aliena, canto costantemente in sovratono, schizofrenia ininterrotta).
E’ da prendere, a piccole-medie dosi, anche per riaggiornare il test di gradimento - a mo’ di cartina tornasole - dei fenomeni in questione. L’ultimo singolo estratto prima del nuovo materiale è "Nineteen", la più inconsueta del mazzo, mentre l’eccezione ai titoli "numerati" (suonata live nell’agosto 2006) si chiama "Don’t Be A Doctor".

10/12/2006

Tracklist

  1. Thirteen
  2. Twelve
  3. Fifteen Part I
  4. Nine
  5. Nineteen
  6. Seventeen
  7. Eighteen
  8. Sixteen
  9. Seven
  10. Fifteen Pt II
  11. Eleven
  12. Fourteen

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