Quando l'Inghilterra partorì l'ombrosa creatura dark-wave,
seguita dalla seconda genitura synth-pop, il mondo fu irrimediabilmente colpito
e innamorato, con il cuore che pulsava all'unisono di una malinconia
geograficamente riconducibile, come figlia dispersa, alla stessa madre.
Lo
stato d'animo dimesso e decadente riuscì a conquistarsi l'alloro del modus
vivendi , assurgendo a vera e propria tendenza non solo estetica, ma
perdurante anche nella produzione musicale, che ancora oggi, adula bassi alla Joy Division, riproduce emozionata giri di
chitarra alla Cure e canta dolente alla Siouxsie.
Questo, nel mondo. In
Francia, c'è, invece, chi lascia passare la melancolia al setaccio di una
raffinata tradizione gainsbourghiana , rendendola avvolgente
raffinatezza, della quale la stessa lingua è geneticamente dotata.
I Ginger
Ale, in nuce i due giovani produttori e musicisti francesi Stéphane e
Johnathan, iniziano a scrivere la propria storia sotto quella che poteva
sembrare la buona stella di una major rapita da due demo , sino alla
pubblicazione del primo album "Laid Back Galerie", arricchito dalla
apparentemente casuale presenza di Klima. L'esordio risuona ottimistico dai
feedback ricevuti in radio, ma quando si inizia a profilare nitida
l'acquisizione di un'identità, Johnathan decide di lasciare il gruppo, per
sperimentarsi in altri progetti e l'etichetta lascia decadere ogni produzione
futura.
La crisi stimola Stépahne all'analisi lucida e lungimirante
della situazione, arrivando a una decisione che, pur pescando nell'immediato
passato, risulterà l'alchimia vincente: dall'esperienza Laid Back Galerie, viene
estratta Klima, alias Angele, che, sino ad allora impegnata con progetti solisti
e comparsate nei Piano Magic,
da ospite diviene decisivo tassello mancante.
Se in precedenza la sua
presenza era stata riservata, nascosta nelle quattro tracce di Laid Back
Galerie, qui Angele diviene padrona della luce nervosa che promana l'album.
L'apertura è suadenza moltiplicata all'infinito, annoiata e distratta a
sentenziare a bassa voce ("The Rules of the Market"), immediatamente seguita da
tanto neogrigio alla Siouxsie, dettagliato dal basale chitarra/basso/batteria
poderoso e metallico ("Out of the Blue"). Il proseguio si dipana rallentato,
quasi dream-pop, con un di più di miagolii francesi ("Un été dans le vent"),
inquietante e crepuscolare come certe atmosfere Crossover, corrette da altre,
perverse evanescenze ("Heat Wave"). Con aperture alla "Boy's Don't Cry" alza
verso l'alto lo sguardo speranzoso "Portrait of A Young Man", soleggiata dai
liberati coretti finali.
Tracce di Stéphane anche nel cantato: dopo aver
giocato al decadentismo di Serge Gainsbourg, qualche traccia prima ("Un Peu Prés
Minuit"), rientra nei ranghi dello stiloso pop-wave ("Love Is The Answer").
La chiusura è una dance robotica e stellare, inficiata dalle vecchie
sperimentazioni kraftwerkiane e
dalle nuove suggestioni alla Air.
Attraverso l'acquisizione del modo, i Ginger Ale partecipano alla moda del
ritorno a certa nettezza ed essenzialità new wave, rivisitate da un'allure
à la page patinata di luminescenze da fine millennio.
20/12/2006