Immune

Sound Inside

2006 (Stilll)
post-rock, elettronica

Primavera. Campagna ventosa sotto un cielo velato, tramonto soleggiato tenue: un bambino e il suo aquilone. Frame sbiaditi, forse sognati, che ad ogni modo sfocano, cercando albergo in note molto fragili. Giacché il ricordo evapora col tempo piovendo, solo poi, sulla musica che resta. Il prato sterminato, la piccola mano che stringe il suo aquilone, un frame ancora, e ora la mano si stacca, lo lascia librare. Il caso, un accidente, o un’incosciente volontà: due destini che, d’improvviso e per un dettaglio, si separano, divenendo reciprocamente ignoti. A dipanarsi è proprio il ricordo che, per riavvolgersi fino all’istante in cui l’inconsapevole gioia stringeva ciò che non è più, travolge tutto ciò che incontra nel mezzo. Eppoi di nuovo la realtà, il vano esplorare vagando tra le frasche, la mancanza che trasmuta in assenza, il tempo che passa e che, soggettivamente, finisce.
Vorrei tranquillizzare chi legge: lungi da me esprimere velleità da sceneggiatore, men che meno per una recensione musicale. Quanto vi ho descritto è (quasi) tutto presente nel video-trailer di quattro minuti che correda la presentazione dell’album, nonché uno dei possibili umori che vi accompagnerà nell’ascolto. Un disco, "Sound Inside", che va a toccare le flebili corde della malinconia, lambendo l’anima chiaroscurale, sublimando l’inquietudine entro la calma in cui si rifugia.

Gli Immune sono quattro francesi originari di Lione, degli autentici outsider che, per esprimersi, non esitano a ricorrere alle nobili citazioni d’artisti che hanno fatto le fortune del post-rock più scarno e minimale, corredandolo di sfumate pulsioni elettroniche e di una voce, quella di Gary Soubrier (a metà strada fra un Thom Yorke in versione sussurrata e un Mark Hollis che sta cantando dall’altra stanza), che da sole giustificano in toto la proposta.
Così è facile scoprirsi indifesi dinnanzi all’infantile tenerezza di "You Landscape", che si poggia a filo su leggeri arpeggi di chitarra retti da flebili segnali di drumming , di volta in volta contappuntati da note lunghe di tastiere e archi, in un soffice, sommesso crescendo; e, ancora, ammaliati dal pour pourri di sparuti, intensi colori che si ricompongono non già con l’intento di stupirci ma, più semplicemente, d’accarezzarci: "Acoustic Memories" e le sue note infreddolite, appena intiepidite dal timido cantato che rimanda a certi intimismi degli Elbow.

Chi ha familiarità con le desolazioni di Matt Elliott, non potrà che ritrovarsi tanto nella gracile litanìa di "Through Tides" che nel barcollante pulsare strumentale di "The Same Old Throbs", rallentata peregrinazione ambient sporcata di glitch . Forte e ineludibile è il richiamo a Mark Hollis nella disturbata "Headfirst", mentre lo srotolarsi di un inatteso vortice digitale trascina gli stessi ultimi Talk Talk in territori prossimi ai Boards Of Canada, qui in veste lo-fi . E poi ancora ammiccamenti agli Hood sotto forma di ninna nanna ("Lighthouse") e palpitazioni slow-core à-la Low ("Streams Go Blind") per completare la messe di tributi disseminati, più o meno consapevolmente, in tutto l’album. Ma il risultato, credetemi, è di tutto riguardo.

18/04/2006

Tracklist

  1. You Landscape
  2. Acoustic Memories
  3. Through Tides
  4. The Same Old Throbs
  5. Lighthouse
  6. Streams Go Blind
  7. Headfirst
  8. Wandering Clouds
  9. Thousand Leaves
  10. Father's Falling

Immune sul web