Ms. John Soda atto secondo. Ovvero, l’impasse di chi scrive. Sono due settimane che il promo occhieggia dalla mia scrivania: ascoltato e riascoltato, eppure la recensione finiva in coda a quella di dischi meno scivolosi da trattare, diciamo così. Un genere, l’indietronica, che ha già partorito tanti, forse troppi nomi cosiddetti nuovi, e come tale non può essere oggi pesato col pristino stupore che accompagna i primi passi dei neonati movimenti. E poi parliamo di una band che affonda le radici nel cuore del genere, giacché Micha Archer, leader dei Ms. John Soda, è anche il fratello di Markus, colonna portante dei Lali Puna, oltre che suo collega nel progetto principale The Notwist: nomi che, lo saprete, sono un’istituzione.
Lali Puna e Ms. John Soda: due side-project e il loro curioso inseguirsi. I primi che concepiscono due perle elettroniche (“Tridecoder”, 1999, ma soprattutto “Scary Word Theory”, 2001), i secondi che rispondono nel 2002 con “No p. Or d.”, in cui al feeling digitale si affiancano degli elementi più indie: in mezzo, non dimentichiamolo, il cruciale “Neon Golden” a nome The Notwist. Tempo due anni, e i Lali Puna si ripresentano nel 2004 con “Faking The Books”, nel quale somatizzano la vena più sporca dei cugini, quasi a suggello di un percorso segnato da diversi passaggi di testimone. Quasi, appunto. Perché a scompaginare la ricomposizione finale del puzzle cronologico, ci pensa “Notes And The Like” e il suo riprendere gli ultimi Lali Puna, che però sono rielaborati davvero poco, o punto. Tanto che preferisco pensare a un’evoluzione che ha come matrice “No p. Or d.”, aggiornato con un quartetto d’archi enfatizzando il basso tradizionale e le chitarre, e ancor più specchiato in sonorità analogiche trattate col digitale.
Per come la si giri, le spiegazioni, che pure ci sono, non persuadono appieno. Stiamo, infatti, riferendoci a un sound che si è sovrapposto finanche nelle parti vocali, tanto che fra la nostra Stefanie Böhm e Valerie Trebeljahr si giunge alla quasi perfetta intercambiabilità: il tutto, converrete, non depone a favore di nessuno, e soprattutto non può non incidere sul giudizio finale. Ciononostante, concorrono a salvare le sorti del progetto un paio d’elementi che non si possono parimenti ignorare. Il primo è un impianto d’arrangiamenti di tutto rispetto, che mette alla luce uno stile ormai maturo, che si dedica semmai alla sfumatura, con ottimi esiti. Il secondo è un set di brani che, se dovesse capitare all’orecchio di chi s’è perso qualche puntata della saga familiare, apparirà complessivamente gradevole e credibile.
A raddrizzare il risultato, insomma, ci pensano la cavalcata dai contorni singolarmente ultravoxiani “No.One” (sentire per credere la frase di tastiera in coda), già presente in versione ben più spigolosa nell’Ep “While Talking” del 2003, che include anche la trasognata “Sometimes Stop, Sometimes Go”, l’elettro-melodia di “Outlined View”, che rimanda alle prime stagioni dei Depeche Mode e dei New Order, e le citazioni nordiche, limitrofe ai Mùm, dell’introduttiva “A Nod On Hold”. Ma in generale sono tutte le canzoni a convincere. Provando a uscire dall’impasse iniziale, assegnerei 7 a queste ultime, e 5 all’originalità della proposta. La media aritmetica, almeno quella, è un gioco da ragazzi.
10/03/2006