Questo "split" senza nome tra Christina Carter (Charalambides) e Bethany e Amanda "Pocahaunted", stampato in 500 copie viniliche, è un bijou intrigante e a tinte accese, consigliato a coloro che hanno saputo rinvenire nel recente, sinistro e brumoso "Electricy Ghost" dei Charalambides qualcosa di significativo, di resistente e insinuante.
Sullo spazio competente alla Carter: musica profusa da mondi oltre, anche lontanamente affine a Jandek e a certe atmosfere di "Joy Shapes" (sempre Charalambides), per via delle chitarre terse, ipnotiche e caracollanti (memorie della collaborazione con Loren Connors) e soprattutto la voce salmodiante ed effettata di Christina a farsi lontana eco ("death", la lunga "solitude"); rimbombo ambientale, zolfo allucinogeno, reminiscenza muliebre ristagnante nella propria recitante cadenza, presa in un labirinto.
A seguire, Pocahaunted (da Los Angeles dove gestiscono l'etichetta Not Not Fun), sorgono nelle restanti due tracce (sarebbe meglio definirle "caligini"), proseguendo il ricamo su quei paesaggi; con voci aleggianti in vortici di effetti ambientali, rintocchi e rumori, Pocahaunted gettano odi e segnali da una distanza parallela e profonda, incolmabile, come dispersa in una casa nel bosco.
Tutto ciò finché, inattesa, non giunge a soccorrerle e a portarle in salvo, un'infiammante, lenitiva, lisergica melodia chitarristica di delicata densità ("Silk Fog Traveler") a rischiarare il cielo, lampante memoria shoegaze (si immagini Liz Frazer in quell'album omonimo con Simon Raymonde e Harold Budd dell'86), avvolgendo in gorghi e spire roventi ogni cosa.
Freddo e caldo, afflitto e redento, invincibile ammaliante aria di redenzione.
13/01/2008