The Good, The Bad And The Queen

The Good, The Bad And The Queen

2007 (Parlophone / Emi)
pop

Un supergruppo. L’idea che tutti ci si è fatti del nuovo progetto di Damon Albarn è questa. Al basso l’ex Clash Paul Simonon, alla chitarra l’ex guitar-man dei Verve Simon Tong, alla batteria Tony Allen (compagno di escursioni afrobeat con il grande Fela Kuti) e alla produzione quel Danger Mouse, re mida dei suoni pop carichi di suggestioni "black", deus ex machina sia degli Gnarls Barkley e sia, in fin dei conti, dell’ultimo Gorillaz!. Le aspettative non potevano non essere alte. Ne è venuto fuori un piacevole e accomodante lavoro elettroacustico, che lascia purtroppo l’amaro in bocca. D’altronde con i supergruppi capita spesso. I testi sono venati di cupezza e di attualità (la parola guerra è citata spesso) senza tralasciare un filo di speranza tra la nebbia. Spiccano subito l’inconfondibile stile e voce di Albarn, tra minuterie chitarristiche a volte elettro/trattate, punteggiature di tastiere dai suoni da giostrina, rintocchi di pianoforte, strutture ritmiche moderne e alchimie elettroniche. L’estetica insomma sembra esserci tutta.

Svetta sicuramente il basso di Simonon preso da pulsioni dub e ricami ritmici mai fuori luogo. Le canzoni sono sempre lente melodie ipnoticamente trasognate, che richiamano solo superficialmente i Blur più classici (e non sarebbe stato giusto il contrario), le cui vette qualitative non sono però in alcun modo raggiunte. Ma non è sul paragone col gruppo storico di Albarn che il disco viene meno. Entrando nel particolare, spicca il duetto iniziale di "History Song" e "80’s Life" (davvero bella) che richiama i Beatles più psichedelicamente poppeggianti. Riuscite anche "Kingdom Of Doom", "Herculean" e "Behind The Sun", che incoraggiano gli entusiasmi.
Purtroppo, però, da qui in poi la qualità cala. O meglio la povertà di idee su cui si basa il congegno sonoro in bilico perenne tra classico e moderno viene smascherata e sfocia, ahinoi, in quella trappola maledetta che è il mestiere. E allora ci si accorge che alcuni effetti - i suoni di fade out in distorsione, ad esempio - vengono ripetuti più volte e che al posto di Allen sarebbe potuta esserci tranquillamente una drum machine : tutto, insomma, risulta troppo prevedibile e già sentito.

Sembra si sia voluta realizzare la summa di un certo suono "cool/underground", pervenendo a un maquillage dall’aspetto lucente, ma dai contenuti non così preziosi da mascherare una certa leziosità e autoindulgenza.
E Danger Mouse... fa troppo Danger Mouse! "Northern Whale", ad esempio, poteva tranquillamente essere inserita in "Demon Days" dei Gorillaz senza stonare affatto. E la personalità del gruppo? È inglese, decadente, ben precisa quindi, ma non in grado, sulla lunga distanza, di rendere le canzoni indimenticabili. I problemi principali, infatti, si avvertono soprattutto dal punto di vista del songwriting , ispirato solo a tratti, e privo di quei guizzi vitali cui gli autori coinvolti nel progetto ci avevano abituato nelle loro produzioni. La sola meravigliosa "Out Of Time" da "Think Tank" supera tutte le canzoni di questo cd e… dannazione, questi paragoni con i Blur, ma le canzoni le ha scritte Albarn...

Nella parte finale, la migliore composizione risulta essere, guarda caso, quella "Green Fields" già sentita dalla voce di Marianne Faithfull in "Before The Poison". Il tutto si chiude con la title track , lunga e a tratti sferragliante, ma che ti lascia lì, pensieroso e indeciso se schiacciare ancora il tasto "play". Permane il dubbio che si potesse far molto di più e che il capolavoro paventato sia rimasto nascosto tra le nebbie londinesi e gli scenari apocalittici della copertina.

04/02/2007

Tracklist

1. History Song
2. 80s Life
3. Northern Whale
4. Kingdom of Doom
5. Herculean
6. Behind the Sun
7. The Bunting Song
8. Nature Springs
9. A Soldier’s Tale
10. Three Changes
11. Green Fields
12. The Good, The Bad & The Queen

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