Il math-rock è un genere in piena diaspora. Da una parte le mattane degli ultimi Battles, da un'altra le virate metalliche di quel che resta dei Don Caballero e dei loro proseliti. Poi il progressive indistricabile con cui hanno sorpreso quest'anno gli Hella, i riti esoterici dei Moonchild, il fantasioso avant-prog degli Ahleuchatistas, dei nostrani Anatrofobia o il caustico jazzcore degli Zu. Abbiamo già visto il math-disco (Turing Machine), math-flamenco (Muddy World), math-punk (Hot Club De Paris) e di math-metal e math-core è appestata l'intera rete, giusto mentre si profila un'intera generazione di math-scassapalle (qualcuno ha detto "Orthrelm"?). Ci mancava giusto il math-cantautorato, ma ci pensa la newyorkese Marnie Stern a colmare la lacuna.
Vocina stridula, chitarra a due manici e il valente Zach Hill (Hella) alle pelli: questo il biglietto da visita del debutto "In Advance Of The Broken Arm". La formula è in realtà piuttosto prevedibile: gran suegiù di chitarra ripetuti a oltranza, batteria modello scatola di latta, voce sullo schizofrenico/paranoico andante. Giusto un po' di tempi composti in meno del previsto, ma basta cambiare metro una volta ogni venti secondi e chi vuoi che se ne accorga.
Però, c'è un però. I pezzi, ma chiamiamoli direttamente canzoni, sono belli. Qualcuna è pure orecchiabile. Quasi. Perlomeno tanto orecchiabile quanto possa verosimilmente esserlo un ghirigoro tutto intricamenti tecnici, dissonanze e sminuzzamenti ritmici. Il merito va tutto alla parte strumentale e alle linee melodiche della voce, il cui timbro un po' fastidioso è più d'ostacolo che altro. Anche le parole, non si capisce se molto criptiche o semplicemente nonsense, sono raramente intelleggibili e aiutano poco.
Non tutte le canzoni svettano alla stessa maniera, ma l'atmosfera inquieta e ossessivo/compulsiva che permea l'intero album è un'ottima controparte ai suoi contorsionismi ritmici. Il risultato finale suona estremamente naturale, tanto che l'impressione è che il disco suoni esattamente come uno se lo possa aspettare. Scarsa originalità o una sintesi già coerente e compatta? Forse è il caso di propendere per una via di mezzo: Marnie Stern non si sbilancia più di tanto rispetto alle consuete formule matematiche, deviando giusto il minimo indispensabile per trovar posto alla sua voce e a schemi in qualche modo orientati alla forma-canzone. Niente che sconvolga il panorama dunque, ma comunque un'ottima sorpresa, specie per gli amanti del genere.
15/05/2007