Orgone

The Goliath

2007 (autoprodotto)
technical & progressive death-metal

Cosa c’è dietro una muraglia impenetrabile di suoni e urla gutturali? Molto spesso, un gran bel disco, finanche sottovalutato…

Non posso, comunque, dire di averlo amato da subito, “The Goliath”, esordio autoprodotto di questa formazione di Pittsburgh, Pennsylvania. All’inizio, infatti, mi era parso confuso, non del tutto a fuoco. Tuttavia, qualcosa mi spingeva continuamente a ritornare su questi solchi, consegnandomi, poco alla volta, al suo mistero.
Il chitarrista Steve Jarrett, l’anima di questo progetto, così si esprimeva qualche tempo fa: "The Goliath' riguarda la ricerca di un potenziamento spirituale, derivante dalla sofferenza e dal disincanto. Si trattava di rintracciare la bellezza, la gioia e, soprattutto, la saggezza in mezzo ad esperienze sempre più scoraggianti. Nietzsche una volta disse che le sue opere più importanti rappresentavano una sorta di 'monumento alla crisi' e io sono sempre stato attratto da questa idea, perché rende 'autentica' qualsiasi forma d’arte”. Insomma, se alla base di queste tracce c'è  un periodo di profonda crisi, possiamo tranquillamente dire che la purificazione è stata all’altezza della situazione. Dunque, perfezionato il sound del demo “Accumulator”, “The Goliath” coglie la band nel bel mezzo di un ferocissimo set di technical death-metal, un pandemonio che fagocita sprazzi di mathcore, grindcore e jazz, lanciandosi in un continuum progressivo che annichilisce per la sua devastante forza d’urto.

I primissimi secondi di “Lessons Of Mesopotamia (The Century Of Filth)” rappresentano già un avvertimento niente male: all’unisono, i musicisti scaricano quintali di bile sull’ascoltatore, destreggiandosi tra blast-beat e architetture "nascoste" di cimbali, scale chitarristiche in propagazione dissonante e una linea di basso muscolare. Su tutto, troneggia lo scream cartavetrato di Christian Senrud, alle prese con liriche ispirate alle teorie complottiste di Michael Tsarion (un esempio?: “He taught lessons of Mesopotamian ziggurats, sperm whales and the Hollow Earth theory. It didn't remove the gleaming crack house districts or take the urine out of the county pool. He tried only to counter the immeasurable cruelty which lounged so permanently on their devoured lives. In retrospect, he looked ridiculous. He knew that their only escape was to sacrifice the tarnished half of their bodies, like frantic earthworms weighed down by a rusting school bus”…). Una volta digerito, il brano manifesta una struttura impeccabile, con climax rabbiosi, decelerazioni ipnotiche e trionfi atmosferici.

Anche “The Goliath (Drained Trough of Resistance)” parte a razzo, finendo addirittura per accentuare il dinamismo esplosivo dell’interplay, grazie a un calibrato alternarsi di passaggi cadenzati, flussi anarchici, trame evocative e risse efferate. “The Levitating Chandelier", invece, ci regala uno dei picchi più emozionanti dell’opera, quando, dopo un’altra delle loro burrascose scazzottate, una fuga dai toni mediorientaleggianti divampa in una delle apoteosi più distruttive che il genere ricordi (le ultime sillabe pronunciate da Senrud grondano letteralmente sangue…).
Quella che va lentamente rivelandosi come un’unica potente suite prosegue con gli schizoarmonici furibondi di “Bamboo Cannons (Leaded with Dust)”, i due minuti e mezzo di celestiale gentilezza ambientale di “Vowelic Drone” (perfetta per riprendere fiato!) e la costruzione certosina di “Vomited Hyacinths (First Act of Beauty)”.

Cosa c’è dietro una muraglia impenetrabile di suoni e urla gutturali? Un disco che potrebbe entrarvi sotto la pelle...

14/01/2013

Tracklist

  1. Lessons of Mesopotamia (Century of Filth)
  2. The Goliath (Drained Trough of Resistance)
  3. The Levitating Chandelier
  4. Bamboo Cannons (Loaded with Dust) 
  5. Vowelic Drone
  6. Vomited Hyacinths (First Act of Beauty)

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