Steven R. Smith

Owl

2007 (Digitalis Recordings)
psych-folk

Steven R. Smith è uno che lo senti e ti chiedi ma come fa? Poi ti accorgi che i suoi dischi sono sì tutti molto belli, ma anche tutti molto simili.
Compreso "Owl": a questo giro Mr. Thuja/Mirza/Hala Strana ha pensato bene - benissimo, dati i risultati - di cantare pure, ma gli echi scricchiolanti della sua polverosissima chitarra sono gli stessi di sempre. Un po' di meraviglia scompare di fronte all'ennesima riproposizione della "solita roba" a cui ha abituato i suoi estimatori, ma l'interrogativo iniziale resta: qual è il trucco, cosa rende così inconfondibile il suo stile (è lui il "capolavoro", più che i singoli dischi); insomma, come funziona la sua musica?

Cercherò di rispondere basandomi proprio su "Owl". A dire il vero, anche il suo ultimissimo album a nome Ulaan Khol sarebbe andato altrettanto bene, ma scelgo questo perché mi piace di più.
Innanzitutto, tre aggettivi: arrugginito, introverso, cosmico.

Arrugginito. "Owl" è un solaio di effetti impolverati, retrouvailles di tarda psichedelia (Amon Duul II, Embryo, quelle cose lì), sferragliamenti lo-fi anticati a regola d'arte per mostrare tutti i gracchiamenti del vinile comprato in qualche bancarella di ex-hippie tanto perché costava pochissimo. Ghirigori malfermi, oppure bordoni usciti da un qualche cianfero spacciato per organo, feedback che ruminano nel sottofondo dipingono un suono che si crogiola nel suo suonare sgangherato.

Introverso. Non c'è metro, tutte le durate sono ad libitum, le pause dominano sulle note; manca una logica nel mutare sconclusionato di questi arpeggi rigorosamente in minore. Si può però tirare fuori dal cappello l'antico feticcio dell'anima, e immaginare che sia lei a regolare il flusso di "Owl" - flusso di coscienza, a questo punto. I sussurri monchi, i saliscendi che vanno col respiro suggeriscono un girovagare assorto, ozioso, in cui Steven Smith rimugina i suoi pensieri più stanchi e malinconici. L'isolamento è la dimensione principale di questa musica.

Eppure, "Owl" ha un che di cosmico. Le linee abbandonate dal loro creatore sfumano in un blando sustain, e sembrano disperdersi in uno spazio esterno che non le arresta ma le spegne, lentamente. Nasce la sensazione di un vuoto senza limite apparente, nel quale il pigro svolgimento di "Owl" è l'unica singolarità: Steven Smith evoca un universo e lo popola di poche manciate di suono, l'ascoltatore diventa un viandante siderale attratto magneticamente dall'unica, flebile fonte di luce. Si insinua l'empatia, richiamata da quell'illusione di libertà che è propria anche di Richard Youngs o dei Talk Talk - musica per sé stessi, che non deve render conto a nessuno e dunque esprime l'"anima" in massimo grado.

Ed ecco compiersi il prodigio: non è più Steven Smith solo nella più remota periferia della galassia, ma l'ascoltatore, che vede ora la sua coscienza rivelarsi senza alcuna intromissione della ragione o della volontà.
Psichedelia allo stato puro, per interposta persona.

23/03/2008

Tracklist

  1. Across the Flats
  2. The Pity of All Things
  3. Bindery
  4. Whistling
  5. The Tree King
  6. Cleft
  7. O, Blessed Night Your Sunrise Has Burnt Down
  8. In Light
  9. Upon

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