Amy Winehouse

Back To Black - Deluxe Edition

2007 (Universal)
pop, soul

È una questione di qualità. Non c'è altra spiegazione. Perché tutti vanno matti per il disco di questa eroina ventitreenne della working class (suo padre è un tassista) trapiantata a Camden? Stavolta vale la risposta più semplice e scontata: perché è un lavoro quasi perfetto. Un disco così bello e certosinamente curato in ogni suo più piccolo dettaglio sonoro da meritarsi, alla stregua di un classico istantaneo, una tempestiva  ristampa con tanto di bonus e inediti nel suo stesso anno di uscita.
Ottima la scelta del nero uniforme e impenetrabile della copertina per un album che sin dal titolo precisa la sua irripetibile e necessaria traiettoria musicale: "Back To Black". Di questo infatti si tratta: di un ritorno al nero più verace, di un viaggio attraverso le possibilità espressive pressoché infinite di un suono saldamente radicato negli anni Cinquanta e Sessanta di quel binomio Stax/Motown che non sembra essere minimamente sfiorato dall'onta del tempo. Un disco quindi bello e godibile anche e soprattutto su un piano rigorosamente musicale, al di là delle spesso ingombranti contraddizioni di un personaggio che non tutti digeriscono.

Amy Winehouse. Vi diranno che la sua musica è "radiofonica" e "commerciale" (parole e concetti sempre più usurati e anacronistici, se l'acquisto di un disco è ormai diventato una forma di insensato autolesionismo economico e se le radio nutrono di conseguenza una sempre maggiore diffidenza nei confronti della musica), vi diranno che da un anno a questa parte la ragazza ha definitivamente rinunciato alla proprio lucidità, che lei è il nuovo Pete Doherty, che Dio è morto e che tutti rubano alla stessa maniera.
Se potete e se volete ancora bene alle vostre orecchie non credetegli. Non credete al cinismo (e forse al conformismo intellettuale) di chi il cinico lo fa di mestiere, non credetegli anche perché questa Winehouse è più cinica di lui, basta leggere quello che scrive nella sue canzoni. Così cinica che del suo talento importa più a chi la sta ascoltando in questo momento che a lei stessa. 

In fondo è ascoltando pezzi come la micidiale tripletta "Back To Black", "Love Is A Losing Game" o "Tears Dry On Their Own" che uno inizia a capire per quale ragione abbia trascorso anni interi della propria vita ad ascoltare compulsivamente pile di cd ogni settimana, invece di imparare ad allacciarsi le scarpe e comprarsi una macchina. Canzoni che riconciliano con il potere taumaturgico della musica pop e forse e ancor di più con la verità inaggirabile di una voce e di un volto, di una voce che è un volto. E proprio della voce bisognerebbe allora parlare: scorbutica, scapigliata, battibeccante, illividita da graffi e cicatrici; eppure, malgrado tutto, una voce nitida, luminosa e consolatrice come poche altre, che rinnova e omaggia una tradizione gloriosa e trasversale (quella delle varie Aretha Franklin, Dusty Springfield, Billie Holiday, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Nina Simone, ma anche di Ronettes e Supremes) innestandola nella sensibilità di illustri contemporanee come Lauryn Hill ed Erykah Badu.

Ma, come già detto, la cornice musicale contribuisce in maniera tutt'altro che peregrina alla qualità complessiva del disco. Un plauso allora ai produttori Mark Ronson (sempre più lanciato, anche grazie al successo di questo album) e Salaam Remi, che hanno saputo conferire al suono delle canzoni una caratterizzazione di sicuro fortemente classica, ma sempre originale e coerente nelle soluzioni compositive adottate, costruendo scenografie sontuose e al tempo stesso solidissime, nelle quali la Winehouse può agilmente teatralizzare attraverso la sua voce il dramma irrisolto di amori nerissimi. Notevoli le tessiture boogie delle iniziali "Rehab" e "You Know I'm No Good", aggrappate a una piattaforma ritmica di impronta inconfondibilmente hip-hop, rese più preziose da una sezione di fiati che drappeggia con i suoi contrappunti swing le melodie e le geometrie sempre perfettamente sincronizzate dei cori.
In "Just Friends" la tensione si scioglie in una voluttuosa e accaldata spossatezza reggae, mentre pezzi come "Me e Mr. Jones", "Some Unholy War" o le già citate "Love Is A Losing Game" e "Tears Dry On Your Own" srotolano la carta da parati amabilmente lisa di tutti quei favolosi (provate a chiedere alle Pipettes) girl group di spectoriana memoria che la Winehouse deve aver amato parecchio se ora ne restituisce tutta la magia attraverso arrangiamenti sognanti e trame strumentali che raggiungono in "Wake Up Alone" e "Addicted" esiti di misura e equilibrio davvero invidiabili.

Per quanto riguarda invece il secondo disco inserito in questa nuova edizione dell'album, è indubbio che la sua ragion d'essere consista principalmente nella necessità di capitalizzare (e monetizzare) al massimo l'interesse mediatico di cui gode la Winehouse in questo momento. Tuttavia, i materiali inclusi non sono certo scarti o seconde scelte, anzi.
Si comincia con una cover di "Valerie" dei liverpooliani Zutons (già presente nell'album "Version" di Mark Ronson), che con tutta probabilità supera la pur notevole versione originale e costituisce un argomento pressoché inoppugnabile contro chi abbia ancora voglia di mettere in discussione le doti vocali della nostra. Ci sono poi cover, da Sam Cooke ("Cupid") a una versione demo da brividi di "Love Is A Losing game" e qualche altra leccornia che lascio alla curiosità del lettore scoprire e gustare. Un disco che è già il sogno, anzi l'ossessione erotica, dei melomani pop di mezzo mondo.

06/12/2007

Tracklist

Disc 1

  1. Rehab
  2. You Know I'm No Good
  3. Me & Mr. Jones
  4. Just Friends
  5. Back To Black
  6. Love Is A Losing Game
  7. Tears Dry On Thier Own
  8. Wake Up Alone
  9. Some Unholy War
  10. He Can Only Hold Her
  11. Addicted


Disc 2

  1. Valerie
  2. Cupid
  3. Monkey Man
  4. Some Unholy War
  5. Hey Little Rich Girl (feat. Zalon & Ade)
  6. You're Wondering Now
  7. To Know Him Is To Love Him
  8. Love Is A Losing Game - Original Demo

Amy Winehouse sul web