"Black Pompadour", il terzo lavoro della band di Chicago The Zincs, capitanata dall’inglese James Elkington, conferma in pieno quanto già riscontrato nel loro precedente album, “Dimmer” risalente ormai a un paio di anni or sono. Ancora una volta prodotte da John McEntire, le canzoni che compongono questa prova risultano molto eleganti e ben arrangiate. Aiutato in tre brani dall’apporto vocale di Edith Frost, Elkington, con il suo cantato così caldo e suadente, così british, racconta storie dalle atmosfere cupe, accompagnandole con suoni raffinati e uptempo, ove le chitarre e i synth la fanno da padrone. Purtroppo, così come già era accaduto alla precedente raccolta della band, il sound, troppo monocorde e, a tratti, pesante, ancorato a certi stilemi prettamente chicagoani, rende difficile l’ascolto dell’album nella sua completezza, seppure i singoli brani non sfigurino affatto. Su tutte spiccano il bel duetto “Rice Scars” con la voce della Frost a movimentare il brano, il successivo “The Mogul’s Wife”, i cui suoni possono essere avvicinati a quelli di band di raffinato pop concettuale quali Aluminum Group o Sea and Cake, e la ballata “Dave The Slave”, ove, finalmente la band si produce in suoni più rarefatti e delicati, toccando l’apice della propria produzione.
Forse, con il suo gusto per l’arrangiamento mai banale, i richiami a certo post-rock e ad una certa “psichedelia” alla Tom Verlaine, questo album rimane più un affare per raffinati fruitori del verbo rock, piuttosto che per appassionati del pop sbarazzino.
06/06/2007