Jens Carelius

The First Songs

2008 (Jansen Plateproduksjon)
songwriter, folk

Se qualche amico mi avesse fatto ascoltare a tradimento "Song #1" di Jens Carelius, avrei fatto senz'altro un balzo sull'ipotetica sedia. Senza riferimenti precisi a sconfessare quell'idea granitica che mi si sarebbe creata in testa dopo una trentina di secondi malcontati, avrei subito gioito per il fatto di ascoltare un qualche insperato inedito di Nick Drake, peraltro con una qualità del suono molto migliore rispetto a quella infame dei tanti bootleg più o meno ufficiali circolati negli ultimi anni. Un balzo sulla sedia come minimo, visto che in tanti anni di cantautori o gruppi prontamente accostati dalla critica al bardo di Tanworth-in-Arden, e ancor più velocemente riconosciuti come assai distanti da lui, non mi era mai capitato di ascoltare qualcosa che suonasse cosi mostruosamente simile. Non so quanto sia consapevole questa inclinazione al mimetismo del cantante ma sperare che non lo sia è da ingenui. La qualità c'è, non si discute, ma è impossibile separarla da un riferimento tanto pesante, soprattutto per il fatto di risultare a tratti qualcosa di chirurgico, di matematico, di preciso al millimetro. Ascoltare queste "First Songs" di Carelius facendo tabula rasa di quello che è stato Nick Drake è un'operazione non praticabile, quindi con la qualità si è costretti a prendere anche lo spiazzamento in un pacchetto unico, ben confezionato ma tendente allo sbilanciamento verso questa seconda opzione.

Uno spiazzamento che sa di gigantismo. "Song #1", piazzata lì ruffianamente ad aprir le danze, è fra tutti i brani proposti quello che più succhia dal maestro, con bravura indubbia ma anche senza rispetto, sfiorando l'idea di plagio imprecisato. Plagio di uno stile più che di una semplice canzone, plagio che denota forse ancor meno personalità al di là della bella forma e della buona esecuzione. Elementi, questi, che in questo disco troverete in buone dosi, oltre a una discreta attitudine a variare gli umori avendo a disposizione una tavolozza di ben pochi colori. Un bel quadro in definitiva, ma realizzato con la stessa identica tecnica che usava qualche pittore stranoto (e riconoscibilissimo) in passato, chessò Renoir, oppure Henrì Rousseau. Non un falso ma comunque opera di uno che di suo chissà poi cosa combinerebbe. C'è tutto di Drake: il tono intimista che sa essere spigliato, le medesime trame di chitarra, il loro articolarsi in un saliscendi secco e spedito, le ombreggiature. I ricami dell'acustica nella strumentale "Sonja" sono molto ben sfumati, come piaceva a Nick. "Summer Skin" colpisce per il suo essere malinconica ma assolutamente non patetica, come riusciva a Nick. "Lay Down Your Love" e "The Heat" profumano di "Bryter Layter" già alle prime note, impunemente, come la vivace "Quicker The Run" peraltro. E poi quella voce, maledizione. Sputata, stesso timbro. Ma non è una cosa possibile, questo Jens gioca a fare l'imitatore con buon successo visto che ogni tanto mi fa accapponare la pelle come con l'originale. È una mia momentanea debolezza e dura poco: mi basta incrociare questa "Come Back To Me" per smascherare l'impostore. Qui il cantato di Drake è reso in maniera esasperata, trascinata, fino alla caricatura.

Vai al diavolo Jens Carelius, sei bravo, ok, ma giocando così sporco mi mandi in bestia! Impara da quell'altro Jens, quello svedese, che pesca dal passato per reinventare, non per copiare e svilire come fai tu. Quello che ci mette del suo perché ha molto di suo da mettere. Vai al diavolo Jens Carelius, ti mando a stendere ma continuo ad ascoltare queste canzoni perché ogni tanto mi va di perdermi dentro un'illusione. Il sogno che Nick sia ancora qui con noi a inventare e commuovere. Meglio quelle altre escursioni, dove la somiglianza si fa un po' meno imbarazzante o è miscelata con qualcos'altro. Meglio "Along The Keys", più eterea, sospesa, contemplativa, da sera d'estate in Norvegia. Evidentemente un po' smarcata dal modello, quieta come certe cose dei primi Kings Of Convenience. Meglio i due episodi di "Our Freedom is Now Yours", più manierati forse, ma seguendo un'inclinazione che li avvicina a Tim Buckley. Meglio "On Through The Morning" col suo bel respiro country-folk e la sua solennità che ha più il sapore dell'epica yankee che non delle ombre tristi di un tranquillo ragazzo inglese. Gioca in maniera più nascosta e più sciolta, senza essere schiavo di quel che non potrai mai essere. Se lo farai, a nome tuo o con gli Atlanter, la tua band, tiferò per te con tutto il cuore.

19/06/2017

Tracklist

  1. Song #1 
  2. Sonja 
  3. Summer Skin 
  4. Along The Keys 
  5. Lay Down Your Love 
  6. Our Freedom Is Now Yours 
  7. Come Back To Me 
  8. On Through The Morning 
  9. The First 
  10. Quicker The Run 
  11. The Heat 
  12. Our Freedom Is Now Yours #2 
  13. A Troubled Mind 
  14. The Wheel 
  15. In Time 
  16. Don't Leave Me This Way

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