Christina Carter

Texas Working Blues

2008 (Blackest Rainbow)
psych-folk
7.5

Può una tale, intransigente semplicità di forme corrispondersi un ottundente senso magnetico?
In questo "Texas Working Blues", secondo lavoro del 2008 concepito in magnifica solitudine (ma è già in arrivo il nuovo “Two Nights Film”), Christina Carter imbraccia la chitarra elettrica ed esplora e svela nuove inviolate intimità, attraverso la vecchia, torbida psichedelia in chiave indie, tra libera improvvisazione e schema.
L’autrice si riconsegna artisticamente agli sconfinati recessi rurali del blues texano, secondo la maniera di Loren Chasse e Glenn Donaldson, i due mentori dell’etichetta specializzata in sottobosco folk-ambient psyche “Jewelled Antler”.

Ed è come se voci e suoni prendessero vita e condizione in sé: questo album offre una miscela musicale continuamente estesa in molteplici e controverse fisionomie, dagli esuberanti risvolti cromatici.
Fermezza e trasporto, sottile acuto disagio e fragile equilibrio screziato di torpore marcano purissime le sortite di Christina, offerte a noi come illuminanti e suggestive sedute di autoanalisi.
In questo torrido e femmineo resoconto di sconosciute pulsioni della natura, di percezioni misteriche, di eterne fughe dall’ombra, si allertano gli stessi sensibili, liquidi panneggi da meriggio terso e surreale di Loren Connors: il giovane e malinconico innamorato, infuso dalla “musa” Kath Bloom, avvampa ogni luogo emozionale.

Quasi sottratte a quella stessa ispirazione (ad esempio, la panoramica inquieta di “Bird’s Nest”), le sei tracce di "Texas Working Blues" si svelano nella voce sfiorante e disperata di Christina, scandiscono albe irrisolvibili e vespri sprofondati in un’asfissiante eternità (“Pale Rose Cream”, “Dinner Plate of Dust”), nello stesso modo in cui l’artista surreale si immaginava dentro le proprie opere: null’altro, non più che macchie di colore dissolte e indistinte in embrionali luoghi desertici. Simbolicamente spossate dalla tenacia e dall’erosione della memoria.

Come trovandosi nell’isola di Ulisse, in cui la Carter recita una Circe straziata e tra i singulti, la chitarra elettrica figura e panneggia pattern solipsisti, luoghi ultimi d’espiazione e assieme anelito (il lamento sommesso di “The Outer Planet” vagheggia atmosfere esotiche e allerta un disagio straziante, torbido e malsano).
Il canto over-dub talvolta aggiunge fantasticamente sfondi narrativi, assieme attenua (o calca..?) solitudini e distanze (“Preserve Our Face”, “A Blind Eye”).
Si agitano parvenze opalescenti, mimo di ostinate, recondite solitudini (che simbolicamente l’autrice dedica e affida alla stagione estiva), incrollabili intimità che vagheggiano ineffabili aspirazioni e rimpianti.

Lavoro erogato in sole duecento copie hand-numbered in cassetta dall’ultra-indie label Blackest Rainbow (che già annovera in catalogo artisti del calibro di Talibam!, Pocahaunted, MV&EE, Sunburned Hand Of The Man); "Texas Working Blues" è già fuori stampa, affascinante quanto raro.
Ci si augura pertanto una sollecita ristampa digitale che trascenda velleità narcisistiche, cerchie privilegianti di pochi appagati fan

31/07/2008

Tracklist

A1    Pale Rose Cream    
A2    A Blind Eye    
A3    The Other Planet    
B1    Bird's Nest    
B2    Preserve Our Face    
B3    Dinner Plate of Dust

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