Dengue Fever

Venus On Earth

2008 (M80)
etno-indie

La dengue è una malattia tropicale piuttosto grave, simile alla malaria per quel che riguarda il veicolo infettivo (una zanzara) e caratterizzata da uno stato febbrile acuto, che nei casi più severi si rivela emorragico e può portare al decesso.
Certo, è una scelta piuttosto curiosa per una band quella di fare riferimento a una patologia del genere per il proprio nome, specie poi se si tiene conto del fatto che la band in questione propone una musica aggraziatamente pop-rock che, pur contenendo forti rimandi etnici, non presenta mai delle punte di “violenza”, raggiungendo il massimo della spigolosità nei momenti più puramente rock, in generale comunque sempre piuttosto misurati e contenuti.

Il progetto Dengue Fever nasce da un’idea dei due fratelli californiani Ethan e Zac Holtzman, i quali, ispirati da un viaggio in Cambogia di Ethan, decidono di creare un gruppo in cui la musica di estrazione occidentale si amalgami con quella della tradizione khmer. Tant’è che per mettere in risalto la componente asiatica di questo loro progetto ancora embrionale, vanno in cerca della futura vocalist tra i locali di Little Phnom Penh, il quartiere cambogiano di Long Beach. La avvenente Chhom Nimol viene così scoperta dai due durante una sua esibizione live in un night-club a Little Phnom Penh: è amore artistico al primo ascolto.
Nel 2003 il sestetto multietnico di stanza a Los Angeles pubblica il suo primo album, un self-titled cantato in khmer e contenente molte cover di canzoni tradizionali cambogiane, al quale fa seguito due anni dopo “Escape From Dragon House”, primo lavoro scritto interamente dalla band, che si rivela il vero e proprio disco-lancio e che negli Stati Uniti ottiene un buon successo di pubblico ed un notevole consenso di critica.

“Venus On Earth”, terzo album prodotto dalla curiosa creatura artistica dei fratelli Holtzman, rappresenta un ulteriore momento di evoluzione per la band californiana. La prima cosa che si nota è la riuscitissima mixture stilistica all’interno dei brani, in grado di far convivere con grande disinvoltura la modernità e la tradizione, due aspetti che sono talmente tanto ben compenetrati tra di loro che difficilmente si riesce ad identificare in uno dei due l’effettiva struttura portante dei singoli pezzi. Pochi brani sono cantati in inglese, mentre sulla quasi totalità di essi predomina lo khmer, che forse risulta meno musicale della lingua anglosassone, ma che è certamente molto più efficace nell’evocare i profumi e i colori del sud-est asiatico. La suadente e (volutamente) cantilenante voce di Chhom sembra quasi sollevarsi da un polveroso disco di musica tradizionale cambogiana e, di quando in quando, come una inebriante brezza levantina, si mescola alla morbida voce di Zac, che alla stregua di un vento di ponente soffia fresca e gentile su un raffinato fondale sonoro dai toni seppia.

Alleggerito notevolmente dalla ruvidezza rock di “Escape From Dragon House”, il terzo lavoro dei Dengue Fever ha nella sua marcata vena malinconicamente ed elegantemente blues (“Tiger Phone Card”, “Sober Driver”) l’elemento più interessante, che conferisce un aspetto languidamente sensuale a questa Venere discesa sulla Terra, la quale sembra prendere forma concreta e tangibile, restando tuttavia sempre distante nella sua inarrivabile aura divina. Ai momenti più bluesy fa da contrappasso una ritmica tribale, talvolta anche piuttosto concitata (“Seeing Hands”, “Oceans Of Venus”), dove all’ammiccante basso di Senon Williams, già nei Radar Bros., si accompagnano le colorite percussioni di Paul Smith, ammantando di psichedelica irrazionalità i vari brani.
Il momento più toccante di questo lavoro viene espresso nell’elegiaca delicatezza di “Monsoon Of Perfume”, una gemma incastonata esattamente al centro dell’album, quasi a volerne preservare più efficacemente la tenue fragilità ed il puro candore. La voce di Chhom diventa quasi un sussurro, alitando lieve su una tessitura strumentale altrettanto leggera, quasi diafana, e trasportando l’ascoltatore in un Oriente fatto di fiori profumati dai petali color cipria e di graziosi usignoli dal melodioso canto.

“Venus On Earth” è un disco che potrebbe rappresentare per i Dengue Fever molto più di una semplice conferma, poiché oltre a decretare una notevole maturazione compositiva e a dimostrare una maggiore personalità stilistica della band californiana, l’album ha in sé le potenzialità per rivelare su larga scala una delle realtà più piacevoli dell’attuale panorama etnico mondiale, un gruppo in grado di sorprendere per la sua capacità di rendere innovativa e al passo coi tempi (e perciò più accessibile anche a un ascoltatore “occidentale”) una musica, quella cambogiana, che risulta fortemente legata alle proprie tradizioni e che è caratterizzata da sonorità molto distanti dai consueti riferimenti musical-culturali europei. In questa operazione, inoltre, la band riesce ad amalgamare due tipi di sonorità profondamente diversi tra loro, senza mai incorrere nel rischio di suscitare un senso di stridore all’ascolto.
La dengue è una malattia cruenta, che appare di difficile accostamento alle morbide e conturbanti melodie di un gruppo come quello dei fratelli Holtzman. Ma se questo insolito nome è il solo (piccolo) compromesso che bisogna accettare per poter godere della musica dei Dengue Fever...beh, il dazio lo si paga senza esitazione, più che volentieri.

12/02/2008

Tracklist

  1. Seeing Hands
  2. Clipped Wings
  3. Tiger Phone Card
  4. Woman In The Shoes
  5. Sober Driver
  6. Monsoon Of Perfume
  7. Integration
  8. Oceans Of Venus
  9. Laugh Track
  10. Tooth And Nail
  11. Mr. Orange

 

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