Documenti, prego. Se non ci fossero le carte d’identità a smentirci clamorosamente penseremmo che “Living On The Other Side” sia l’opera di quattro fricchettoni del south-west con la coda di cavallo appesa a un filo della stempiatura, le tasche piene di sigarette farcite e una maglietta col faccione di Allen Ginsberg che se ne vanno in giro tutto il tempo su un furgone tappezzato di margheritoni verdi e fucsia, gli strumenti accatastati sul retro dei sedili, invece che quattro angelici ragazzetti di San Diego appena pervenuti al secondo album (il primo a circolare in Europa per Dead Oceans). Sonorità agrodolci, rilassate, tipicamente west-coast che rimandano di volta in volta ai di Byrds di “Sweetheart Of The Rodeo” (“Gone Gone Gone”, “Boot On The Seat”), alla Band (“Downtown Jenny”, “Excelsior Lady”) a CSN&Y (“Travers Wine”, “Dolphin Center”) o ai Creedence più roots (“Bye Bye Baby”).
Un fascio di cimature country e blues innaffiate di jangle gentili e psichedelici (ottimo il lavoro chitarristico e pregevoli i “ganci” dell’organo) e di melodie così soffici e cristalline che non recano più alcune traccia delle zolle umide e fertili in cui sono cresciute. Ma tutto il disco dei Donkeys trasecola di una grazia così malinconica e vellutata nella sua spudorata nostalgia che ti fa quasi sentire in colpa, perché sai che prima o poi qualcuno dovrà andargli a dire: “Cosmico! Il mondo non aspetta che voi: vi serve solo una macchina del tempo”.
D’altronde coi casini che, giorno dopo giorno, s’addensano in questo punto dell’arco spazio-temporale a chi non piacerebbe vivere dall’altra parte?
03/10/2008