Devon Williams

Carefree

2008 (Ba Da Bing)
pop-rock, songwriting

Una stanza vuota. Uno squarcio di sole. Una penombra di emozioni. Le canzoni sono fatte per ferire il cuore. Tutto il resto non conta. Contano questi fotogrammi che scorrono dentro di noi. La magia dei ricordi e l’impossibilità che tutto torni. La bellezza dello svanire, riuscendo, nel mentre, a mettere su piccoli sentieri verso qualcosa che, al posto nostro, continui ad ammirare le stelle.

Le canzoni di “Carefree”, primo disco solista per Devon Williams (già membro di Osker, Fingers-Cut, Megamachine e Lavender Diamond), non fanno altro che ricordarci la meraviglia e lo stupore che sanno accendere in noi certe canzoni, soprattutto quelle che, per magiche alchimie o chissà cosa, sembrano fatte di piccoli, fragili brandelli di vita vissuta, forse finanche subita. Niente da rinnovare, niente da codificare. Solo la gioia di riuscire a scrivere una melodia capace di appartenere a chiunque altro più che a se stessi…

Così, con l’eccellente supporto di Steve Gregoropoulos (pianista e suo collega nei Lavender Diamond) che si è occupato degli arrangiamenti degli archi (l’immediata certificazione di garanzia ci è offerta dall’opener “Please Be Patient”, carica di pathos melodrammatico, ma anche, più in là, dal gioco di condensazione e liberazione incastonato tra le pieghe di “A Truce”), Devon tira fuori tutto il suo talento per un cantautorato in bilico tra tradizione e modernità, tra gusto indie e piglio classico.

Eccolo, allora, divertito e vagamente fuori controllo, tra il power-pop carburato hard-rock di “Bells”, quello, invece, psichedelico in up-tempo caracollante di “Stephanie City”, con le chitarre indecise se morire nella glassa o prendere definitivamente il volo per l’iperspazio; e, ancora, il folk-rock con la testa tra le nuvole di “One And One”, tutta una tavolozza di colori-suoni come sussulti impercettibili.

Ma Devon è, innanzitutto, un grande ladro di emozioni, capace di ferire il cuore ma senza far rumore. Lo si segua, quindi, pennellare “Honey” (chiedi chi erano i Del-Lords e ti dirò come rimandare a memoria la tua vita e, in questo specchio rotto, ritrovare te stesso), “Elevator” (“ascensore” emozionale con archi in volo pindarico), “Jolie” (tenera, sfuggente ballata che affida ai Byrds l’onere delle diffrazioni chiaroscurali) e una “How Could I Not” che ci stende definitivamente col suo impianto narrativo e quel dilatarsi strumentale che tutto vorrebbe disperdere, ma senza averne il coraggio…

Costruiti con la massima cura, i brani si dipanano con naturalezza, sciogliendosi ora in dissipazioni melodiche, ora in ritornelli che proprio non ne vogliono sapere di abbandonarci, come quello, molto “english” e molto anni Ottanta, di “Fragile Weapon”.

Il vagabondaggio cantautorale di Devon è appena iniziato e le cose vanno già per il verso giusto. Ma, per non montarsi la testa, sa bene che è meglio riportare sempre tutto a casa, questa volta, quindi, immaginando gli Shadowy Men On A Shadowy Planet che suonano la surf-music spavalda di “A Day In The Night” scarrozzandola nel deserto fino al prossimo miraggio di cielo. 

21/06/2008

Tracklist

1. Please Be Patient    
2. Honey    
3. Elevator    
4. Fragile Weapon    
5. Stephanie City    
6. One and One    
7. A Truce    
8. Jolie    
9. Bells    
10. How Could I Not    
11. A Day in the Night

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