Tormento o estasi? Un dubbio che non sono riuscito a risolvere anche dopo molti ascolti dell’ultimo album di Eric Matthews, e dopo aver letto opinioni controverse che vanno dalle 4 stelle di "Mojo" a recensioni tiepide e molto caute.
L’esordio dei Cardinal è uno di quei pregevoli incidenti che ha convinto anche i più refrattari al pop. Dei due componenti del gruppo, solo Eric Matthews è riuscito a ritagliarsi uno spazio preciso con due album pregevoli che elaboravano il meglio del progetto originale.
“The Imagination Stage” giunge dopo il tiepido “Foundation Sounds” con maggiori ambizioni, che spingono la musica e gli arrangiamenti verso un suono più colto. Nonostante l'abilità negli arrangiamenti, l’album risulta a volte sovraccarico e lezioso, e il dubbio che si sia privilegiato il suono più che la composizione viene subito confermato dalle iniziali “Well Known Liar” e "That Kiss Of Life”, che ripropongono melodie gia ascoltate. Perfino il linguaggio sembra riciclato da vecchi brani. Il secondo pezzo propone inoltre un’irritante batteria elettronica, che ne smorza le trovate armoniche.
Con “In Our Lives” arrivano le prime emozioni del disco; qui le note si distendono, i suoni diventano essenziali, la voce evita toni cantilenanti, e anche la chiusura strumentale si segnala come una delle migliori cose di Eric Matthews di sempre.
Brani come ”Radio Boy” e “Little 18” invece, evidenziano il problema principale dell’album, ovvero la presenza di una tessitura complessa che necessitava forse di un budget più ampio e di una produzione esterna di rilievo.
E’ comunque un album bifronte, “The Imagination Stage”. Superato lo scoglio dei brani iniziali, altre sorprese incantano l’ascoltatore come l’organo di “Her Life”, brano dall’incidere maestoso, e la title track, che aggiunge moduli jazz al suono di Matthews, mentre “We Were Human” riesce a equilibrare l’elettronica nel tessuto orchestrale del brano.
Funky, jazz, musica barocca e pop si fondono nell’eccellente “Fools”, e la conclusiva “Does He Keep You Warm”, costruita su poche note di piano e sprazzi orchestrali, conforta l’impressione che Eric Matthews abbia ancora molte frecce nel suo arco.
Da sottolineare infine la splendida cover art di Anthony Di Fatta.
Resta l’amara sensazione di un disco a metà, che non viene fugata dai riascolti. Certamente l'album contiene alcune delle sue migliori canzoni di sempre, ma l’insieme costringe a malincuore a una valutazione complessiva molto cauta. Forse il capolavoro di Eric Matthews è di lì a venire. Restiamo in ascolto.
20/04/2008