Scott Matthew

Scott Matthew

2008 (Sleeping Stars)
songwriting, folk-pop

Si può creare una fusione tra la sensibilità folk di un Bonnie Prince Billy e l’estasi lirica di Antony presentandosi esteriormente come il cugino serio di Devendra Banhart?
“Si può fare!” urlerebbe Gene Wilder in “Frankenstein Junior”, e infatti ecco qui Mr. Scott Matthew, barbuto australiano che dopo l’interpretazione di canzoni per serie animate di Mtv, un paio di band (tra cui gli Elva Snow insieme all’ex batterista di Morrissey Specer Corbin) e la rivelazione al pubblico tramite la colonna sonora dell’indipendente “Shortbus”, arriva a stupirci con questo primo omonimo album, fatto di emozioni così intense e travagliate che recentemente forse solo il grande Antony è riuscito a esprimere nella canzone d’autore.

L’accostamento all’androgino cantore è ovvio e scontato, ascoltando la musica di Matthew, basta attraversare la meravigliosa “Abandoned”, con il suo sofferto violoncello e la voce di Scott che prima quieta e lenta sale in un vertiginoso falsetto incalzato da un drammatico piano, lasciando spazio solo per la commozione e solitudine del distacco.
La batteria è assente e gli arrangiamenti eleganti e mai troppo inutilmente elaborati sono invece i pochi strumenti che a turno aiutano il cantautore a evidenziare le sensazioni da esprimere, il violoncello nel mood trasognato e triste di “Habit”, il corno francese, morbido letto su cui si sdraia soffusa “In The End”, o il piano, che scoppietta in piccole bolle nell’iniziale “Amputee” e che accompagna solitario l’estatica orazione di “Surgery”.

Se l’aspetto trasandato e bizzarro di Scott - con la sua barba, le sue magliette sciallate e la sua bigiotteria da mercatino - vi spinge ad avvicinarlo a Banhart e altri neo-folkster, sappiate che siete stati tratti in inganno ma non del tutto; in questo esordio si può trovare anche il folk, quello tinto di moderata allegria da banjo e piano jazz in “Prescription”, quello malinconico che segue il sussurro di un accordion in “Laziest Lie” o quello quasi spensierato e campestre di “Upside Down”.
Tutto, però, sempre con una fragilità e una emotività che pervade ogni episodio dell’album, perché, che sia l’orchestrazione stratificata del lento fluire di “Ballad Dear” o quella scheletrica di (quasi) solo ukulele in “Little Bird”, il disco trasuda un romanticismo tra l’onirico e il tragico difficile da reperire nei cantautori dei tempi più recenti.

Storie di abbandoni e solitudini come amputazioni fisiche, cicatrici invisibili di dolore da curare con chirurgia emotiva, come dichiarato dallo stesso autore in “Habit” quello di Matthew è un songwriting che trasforma la dolcezza in tristezza e malinconia; di per sé non una novità d’intenti, ma la realizzazione di questo improbabile romanticone barbuto ha la forza espressiva per arrivare direttamente al cuore, cullandoti nella bellezza triste di una foglia cadente in autunno o lasciandoti senza fiato a rincorrere la voce persa nel rapimento delle emozioni più pure e dolorose.

Se attendete con ansia il prossimo album di Antony & The Johnsons non perdetevi il debutto di Scott Matthew, decisamente uno dei più belli, coinvolgenti e commoventi di questo 2008.

05/05/2008

Tracklist

  1. Amputee
  2. Abandoned 
  3. Prescription
  4. Ballad Dear
  5. Little Bird
  6. Laziest Lie
  7. Upside Down
  8. Habit
  9. In The End 
  10. Surgery
  11. Market Me To Children