Una sovrastruttura ideologica di certo impegnativa, ma che Giannico riesce a controllare con delicata sapienza, regalandoci un’altra opera mediamente interessante, non del tutto esente da vizi di forma, ma certamentedi di spiccata qualità, almeno per quanto riguarda il panorama italiano.
Assolutamente incantevole, come se Eluvium fosse immerso in una marea di nostalgico stupore, la “Joanna’s Song” che apre il disco ci introduce, dunque, in un microcosmo emozionale che si muove furtivo e in apnea, con profondità in costante, equilibrata rarefazione e sfumature glitch che, smessa la patina sintetica, lontane dalla materia inerte, avvertono immediato il volto umano dell’eloquio sonico (“Thinking About Own Liability”, “Academic Disumanity”).
L’occhio (in-)segue soundscape in cui la natura si mostra spaesata, inquieta. Echi, dissonanze, rumori: ogni cosa è intrisa di mistero (“Progress”), quasi vegetasse in un silenzio ancora più essenziale, “subacqueo” (“When Accused Men Become Prosecutors”). Musica che sprofonda in se stessa, interrogandosi su quanta bellezza possieda la natura nonostante l’oltraggio subito. Lavora a contatto col mondo, ma come da una distanza siderale, tanto che anche il rumore avvolgente del mare è come inghiottito, rapito da un’attesa senza fine (“An Omelette Century”).
In definitiva, con quel suo costante, ma impercettibile mutamento di prospettive, Hamn/Giannico dimostra di aver ben intuito le sue mete. Non resta, adesso, che regalarci una definitiva istantanea delle stesse, visto che di strada insieme ne abbiamo già fatta abbastanza...
(21/02/2008)