Our Brother The Native

Make Amends, For We Are Merely Vessels

2008 (Fat Cat)
post-rock, avant-rock

Giovanissimo trio statunitense (John-Michael Foss, 21; Chaz Knapp, 19; Joshua Bertram, 18) che già si vanta di esperienze e avventure di feeling musicali, gli Our Brother The Native si stabilizzano nel Michigan dopo essersi incontrati per la prima volta in Belgio, ad album d’esordio già ultimato. Le sbilenche partiture folktroniche di "Tooth And Claw" nascono infatti dal lavorio di taglia e cuci di John e Joshua (anche al canto), e solo in seconda battuta dall’apporto a distanza della batteria di Chaz (all’epoca residente in California). La Fat Cat decide quindi di metterli sotto contratto per la realizzazione del secondo album, il monumentale "Make Amends, For We Are Merely Vessels"; con questa prova, arriva dunque la compattezza di line-up.

Un’idea di maggior stabilità emerge anche al livello strutturale; le lunghe piece dell’album sono già distanti dalle psicosi terrestri Animal Collective del primo lavoro, volte piuttosto a un tanto certosino quanto spropositato lavorio di stratificazione estesa, in pienissimo stile post-rock (Constellation-style). Le inserzioni elettroniche, l’alto numero di modulazioni e di reiterazioni (talvolta mere sbrodolature) e il notevole apporto timbrico riescono in ogni caso ad allontanarlo dall’ormai stra-battuto seminato.

L’album brilla particolarmente nei due convoluti trattatelli post-rock di "Rejoyce" (11 minuti) e "Trees Part I" (12 minuti). La prima si avvia lenta e mestamente ambientale; i suoni (strati digitali, onde elettromagnetiche, vibrato) si aggiungono via via con contrizione, fin quasi a stemperarsi nei tocchi melodici di piano e chitarra. Nel bel mezzo della desolazione, un growl squarcia la cartilagine armonica, e lancia distorsioni montanti che a loro volta degenerano in cacofonie. La tensione si accumula in breve tempo fino a scomparire; da qui riparte una lunga oasi paradisiaca per riverberi corali e interferenze glitch-drone, che porta la piece dapprima a un crescendo e quindi a una rarefazione impercettibile.
"Trees Part I" è un recitativo a schema libero di dinamica slowcore che accetta le mezze misure (dal pianissimo al forte, non dal silenzio al frastuono), e di anti-ritmica sfaldata in stasi liturgica alla Popol Vuh, e che si sviluppa da un gorgoglio di elettronica campionata per poi convogliare glissando cosmici e voci fluttuanti, e a mutare in impennate rumoristiche.

Il resto pecca in ambizione non calibrata alle attuali capacità compositive. "As They Fall Beneath Us", sonata-cantata con armonie dolenti alla Pan American, riprende strutture e trucchi sonori di "Rejoyce". Le convenzionali "Untitled" e "We Are The Living" espongono un tema di chitarra di nuovo sospensivo (Sigur Rós, Godspeed) in ampio crescendo, talvolta vagamente psicotico. "Trees Part II" e "Younger" sono piece post-rock scarsamente sostanziose, mentre "The Multitudes Are Dispersing" (18 minuti) recupera il coro (stavolta reale) per impostare un decrescendo di piano insistente, su cui prevalgono a poco a poco strati di rumore, campioni e note d’organo. Chiude tutto un nuovo tema di chitarra acustica, un pretesto per avviare un tenue gospel guidato dal glockenspiel.

Fuori fuoco tanto all’interno dei pezzi - nelle loro molli geometrie - che tra di essi (pochi i momenti di vera suspense dell’opera nel suo insieme), quando acquista nitidezza si fa voracemente romantico. Non ci fossero le proporzioni così ampie a fungere da sentore di qualità, l’intero album sarebbe un’imperiosa mattonata; così com’è, se ne fa salva metà o qualcosa di meno. Più che dalla musica, il tempo è occupato da fascinose questioni irrisolte: c’è un vero umore in questo disco? Se c’è, emerge dalle sue volatili non-canzoni o dagli implosi sentimenti che vi si scorgono?

07/07/2008

Tracklist

  1. Rejoyce
  2. As They Fall Beneath Us
  3. We Are The Living
  4. Trees part I
  5. Trees part II
  6. Younger
  7. Untitled
  8. The Multitudes Are Dispersing

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