Andrew Bryant

Galilee

2009 (Magnolia State)
songwriter, rock

"The man's got soul", direbbero dalle sue parti. Andrew Bryant è un giovane cantautore del Magnolia State, lo stato del Grande Fiume, il Mississippi. Le acque di quest'ultimo sembrano accompagnare il Nostro giù per le sue anse, definendo il molle e insieme poderoso incedere delle sue ballate, tra refràin accaldati ("Cartwheel") e impetuosi rivolgimenti ("Here I Am Today" e "We're Not That Old"). Bryant arriva al suo quinto lavoro, "Galilee", come a una terra promessa vera e propria, quella di un cantautorato finalmente ispirato e senza l'ombra delle precedenti insicurezze. Registrato e suonato interamente da lui stesso, nello studio ricavato all'interno della sua casa, l'ultimo disco del Nostro trasuda di questa atmosfera raccolta e vitale al tempo stesso, odorosa di un tempo di purificazione passato con gli affetti famigliari.

"Galilee" si snoda infatti tra confessioni "a cuore aperto", in cui ricorrono insistentemente l'attaccamento alla bottiglia, la facilità di perdersi lontano da casa, inseguendo qualcosa di indefinibile ("The Chicago wind started blowing you out of my mind", intona Bryant in "Chicago Wind"). Cronache di uno smarrimento che echeggia nell'ultimo disco di David Bazan, "Curse Your Branches": a lui fanno pensare il vigore ritmico, la potenza dell'interpretazione canora.
Sicuramente Bryant suona più roots, è un cantautore classico, un Micah P. Hinson (per non dire uno Springsteen) più acceso, appassionato. Irrompe sulla scena, per l'appunto, con un blues-rock sporco e sudaticcio che ben si confà a un disco pregno di una carica emotiva ben caratterizzata ("Galilee"). E' quest'ultima che accende di vita le non proprio inaudite progressioni di accordi, i brani più dimessi, anch'essi ridondanti, probabilmente.
Il Nostro distribuisce poi i suoi racconti, in mezzo al terribile guado tra disillusione, noia provinciale e impossibilità di separarsene. Il tocco letterario di Bryant ha ormai assunto una sua personalità, allenato e coltivato in ben undici anni di università, in cui la familiarità coi grandi classici della letteratura americana appare ben consolidata.

Suonato con chitarra, batteria e voce, "Galilee" è un disco, va da sé, senza fronzoli. Il meccanismo di trasfigurazione musicale delle storie di solitudine, di perdizione appare senz'altro insistito lungo il disco - è frequente infatti (vale per metà dei pezzi) il ricorso a queste cavalcate liberatorie, a concludere i brani come squarci in un cielo altrimenti inesorabilmente coperto. Pur in questa palpabile tendenza alla ripetizione nelle soluzioni, Bryant sa variare a sufficienza nel corso del disco, ingranando anche un riempitivo di una certa suggestione, il dialogo drammatico di "Raise Your Fist".
Le canzoni in cui imbraccia, solo, la chitarra sono poi occasioni per intessere storie che riescono a fare breccia, se non musicalmente (a esclusione della struggente "He Started To Run"), con la forza delle loro immagini. "Third Person" è infatti un brano di ben sette minuti in cui si dipana, accompagnato da un sottofondo musicale assolutamente statico, lo splendido racconto autobiografico in cui si viene a sapere, finalmente, dove si trova la Galilea di Andrew Bryant.
Prevedibilmente, non molto lontano dal cuore: è sulle cose semplici, "biologiche", che si fonda "Galilee". "The man's got soul" e, quanta ne ha, l'ha infusa in questo disco.

17/12/2009

Tracklist

  1. Galilee
  2. We're Not That Old
  3. Cartwheel
  4. He Started To Run
  5. Raise Your Fist
  6. Is Life Not For Living?
  7. The Mystery
  8. Chicago Wind
  9. Here I Am Today
  10. Third Person

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