"A un cuore in pezzi
Nessuno osi avvicinarsi
Senza l'alto privilegio
Di avere sofferto altrettanto"
(Emily Dickinson, poem 1704)
Con purezza di intenti e innata, discreta grazia Josephine Foster offre della intensa e solitaria poetica di Emily Dickinson una lettura personale e inedita, riuscendo - cosa per niente semplice - a rendere della grande poetessa americana quelle "sillabe di seta" (definizione quantomai azzeccata di Stefania Felicioli), quella immensa forza che su trame di ruvida analisi e orditi di diafana tenerezza sovente è tessuta.
"L'Abisso non ha biografi"
I brani musicali contenuti in questo album (disponibile anche in vinile: assai più attraente) sono piccole gemme spettrali e melanconiche, cantate dalla sola voce o accompagnate da una chitarra acustica e talvolta anche da un'armonica a bocca, costruite attorno al nocciolo costituito dalle liriche di Emily Dickinson.
Già dalla iniziale "Trust In The Unexpected", che potrebbe aver scritto Devendra Banhart col cuore gonfio di emozioni per William Kidd, per poi seguire nella successiva "How Happy Is The Little Stone" risulta evidente la scelta stilistica di Josephine, muovendosi con delicatezza e rispetto, trasfigurando il mistero della vita reclusa della Dickinson, declinandola verso un folk essenziale, desertico che proprio come certe immagini dell'America rurale di John Ford, anche l'isolato Massachusetts di Emily Dickinson eleva a Terra Promessa: una nuova Gerusalemme trapiantata con visionarietà blakeiana anziché nella perfida Albione sui monti Appalachi; e ogni percorso spettrale gestualità liturgica.
"Se labbra mortali potessero intuire
Il carico inespresso di una sillaba
Nel momento in cui fosse detta
Si sbriciolerebbero sotto il suo peso"
(Emily Dickinson, poem 1709)
"Beauty Crows Me Till I Die" sembra portare in sé il patrimonio genetico di Shirley Collins e delle ricerche da lei assieme alla compianta sorella Dolly condotte attorno a quella essenzialità vocale della più pura tradizione, con rigore e grazia in rarissimo connubio. Cionondimeno l'ascesi spirituale di questi e altri brani come "Wild Nights - Wild Nights!" bruciano nei cuori come fuochi da campo: la sola voce, lo strumento originale, per citare Joan La Barbara, estrae, espianta queste piccole gemme dal tempo che sembra flettersi, mutante significante. "Ah Tenerife", imparata la lezione dei deserti banhartiani, si scaglia in un'aura senza tempo né spazio, portando le suggestioni vocali verso una malinconica introspezione con inusitata profondità e colta ammirazione, arrivando persino ad abbracciare lande di inconsci improbabilmente condivisi: tra le tracce migliori delle ventisei che compongono questo piccolo capolavoro.
La chitarra folk, suonata con distratta intenzione di lucida visione dei piani sonori accompagna brani nei quali il lascito di Joan Baez, di Dylan, o persino di Lawrence Hammond e dei suoi Coyotes è evidente, con tanto di armonica a bocca: "Tell As A Maskman - Were Forgotten" ne è riuscitissimo esempio.
Un album straordinario, ovvio dire poetico, coraggioso, estremo e singolare.
11/02/2010