Other Lives

Other Lives

2009 (TBD)
acoustic pop

Tutto scompare, nella musica degli Other Lives. Si sfalda, per poi riapparire in nuova forma, come foglie alzate e ricomposte da un turbine di vento. Dinamismo di stampo progressive che si bagna in atmosfere di raffinato e anche coraggioso tradizionalismo sonoro (chitarra acustica, pianoforte, basso, violoncello e batteria), al tempo stesso mirabilmente prodotto e arrangiato. Perfino con aspirazioni, se non di composizione classica (nel caso moderna, nei dintorni insomma di Arvo Pärt e Jóhann Jóhannsson), perlomeno di ariosità da epopea cinematografica hollywoodiana ("Matador").
Il disco d'esordio di questa band dell'Oklahoma non poteva arrivare in un momento migliore, cioè quando la scena americana (alt-folk in particolare) pare assumere un inaspettato pallore, in un vero e proprio contraccolpo d'ispirazione. Che colpisce indistintamente nomi di punta e artisti emergenti.

Un disco, "Other Lives", che non vive di sonorità fascinose, e neanche di originalità melodica, in fondo. Ciononostante, col suo amalgama cristallino e solidamente orchestrato, si intrufola sommessamente in remoti angoli della memoria, tanto che a rimanere non è una canzone, uno strumento, un verso: quello che resta è la musica. Si diceva della produzione: affiancano questa band in erba due personaggi di spicco, ossia Joey Waronker e Darrell Thorp. La storia del primo è indissolubilmente legata a quella di Beck, per cui ha lavorato da "Odelay" in poi; è stato inoltre produttore per Eels e Lisa Germano. Il secondo ha invece curato l'engineering di "Sea Change" dello stesso Beck e di "Hail To The Thief" dei Radiohead. Di conseguenza, il disco degli Other Lives tradisce senza dubbio una certa ambizione verso il "gran mondo", ma senza mai scendere a compromessi con la sua solida proposta musicale.
Nella fattispecie, a Yorke si avvicina l'insinuarsi, nella voce del frontman Jesse Tabish, di una simile sofferenza senza tempo, che viene però addolcita per mezzo di composizioni liberatorie. La stessa composta malinconia,  la stessa cullante nostalgia espressa dalle note di "The Trials Of Van Occupanther" dei Midlake, i cosiddetti Radiohead texani.

La traccia del languido, mellifluo rollio di "Sea Change", invece, trova immediato corrispettivo nel disco in questione, nella pulizia atemporale di questa immota scenografia agreste. I Nostri vanno però oltre, superando con l'esuberanza della forma, spesso in tre quarti, certe fissità e clichè che contraddistinguono invece l'illustre predecessore. Un'esuberanza che si manifesta abbozzando i già citati rimandi prog, attraverso sprazzi di evoluzioni pianistiche à-la Yes ("E Minor", "AM Theme").
E' chiaro però che l'intento degli Other Lives è "paesaggistico", piuttosto che di sperimentazione musicale: lo testimoniano gli scenari di spaziosa solitudine di "Black Tables", gonfia di struggimento.  Il crescendo emotivo non rende sacrilego proporla come novella "Epitaph" (da "In The Court Of The Crimson King" dei King Crimson), con tutti i se e i ma del caso.
Questo perché l'anima profonda di "Other Lives" è quella di un disco di semplice e dolce intimismo, per quanto a volte dall'andamento inafferrabile ("End Of The Year", che si conclude, per l'appunto, con un cambio di tempo). In questo ricorda molto l'innocenza dello spleen giovanile di "Parachutes", esordio dei Coldplay, disco al quale i Nostri si riferiscono anche in certi particolari (la stupenda "Paper Cities" e "Don't Let Them"). Nonostante l'istinto melodico non sia indubbiamente lo stesso, il respiro epico conferito dall'ariosità di questi valzer, vigorosi e impalpabili come il vento, non fa sfigurare i Nostri.

La rotta intrapresa dagli Other Lives presenta però ancora diverse complicazioni e interrogativi: il loro esordio pare infatti al confine tra mondi dalla burrascosa comunicazione, in quella sorta di agitato limbo che suddivide il cosiddetto mondo alternativo e quello di più vasta diffusione. Non abbastanza elaborato e al passo coi tempi il loro classicismo per gli uni, troppo complessa e compassata la progressione dei loro pezzi per gli altri. Più nella sostanza, a qualcuno potrà venire a noia il molteplice ricorso alla ballata in tre quarti, nonostante permetta loro aperture pianistiche di grande slancio ("Speed Tape", "E Minor"), nonché ritornelli di una certa intensità emotiva ("It Was The Night", "How Could This Be?"). In effetti i Nostri, probabilmente, fanno vedere le cose migliori quando si concentrano su forme più quadrate ("Black Tables", "Paper Cities", "Matador"). Ancora: qualcuno potrà segnalare le non eccelse capacità vocali di Tabish. Tutte cose che si possono tranquillamente caricare sulle spalle degli Other Lives, senza timore che ne sentano il peso.

26/10/2009

Tracklist

  1. Speed Tape
  2. Don't Let Them
  3. Black Tables
  4. End Of The Year
  5. E Minor
  6. Paper Cities
  7. Matador
  8. It Was The Night
  9. How Could This Be?
  10. AM Theme
  11. Epic