Thee Oh Sees

Dog Poison

2009 (Captured Tracks)
psych-folk

Ogni tanto anche John Dwyer si prende una pausa.

Non dalla forsennata sovraesposizione delle sue uscite discografiche, quello mai. Per uno come lui, che da sempre registra a ritmo indiavolato, non è certo un problema ostentare un’incontinenza creativa che quasi lo avvicina al Nick Saloman degli anni d’oro, giusto per non ridursi a menzionare il solito Robert Pollard. Ogni tanto, si diceva, il ras della scena garage di San Francisco sembra prendersi una licenza dalle classiche sonorità della sua band – e dalla band stessa – ma senza rinunciare al marchio Thee Oh Sees in bella mostra sui dorsi e sugli adesivi dei vinili mandati in stampa. Reminescenze dagli albori solitari sotto la sigla OCS, evidentemente, o forse solo il bisogno di svagarsi senza dover rendere conto a chicchessia per tutto il ciarpame prodotto malmenando chitarre, rullanti, tastiere, clarini e marchingegni elettronici da quattro soldi.

 

“Dog Poison” rappresenta la prima occasione utile, da diverso tempo, per tornare a dare asilo a questa folle sarabanda solista e potersi dedicare alle sonorità più crude e spregiudicate del proprio corredo di artista. Non sarà l’unica né tantomeno l’ultima ma, in considerazione della maggior accessibilità che aveva reso irresistibili i suoi più diretti predecessori, si fa fatica a non considerarla la più spiazzante diversione della pur breve carriera del Nostro. In fondo si dimostra anche franca e onesta come meglio non si potrebbe sperare: è sufficiente l’abbrivio, affidato alla farsesca “The River Rushes”, per registrare il ritorno allo squinternato e ciondolante psych-folk in salsa acustica degli esordi, animato qui dalle ormai consuete esternazioni weird (flauti rancidi, urletti e falsetti), in leggero anticipo sul farneticante florilegio di “Castlemania”, pure esclusiva farina del solo capobanda. Il sound è volutamente sgangherato, fangoso, malsano, ma una Brigid Dawson poco più che comparsa non rinuncia a qualche decorazione aulica delle sue, pur vedendo ridotta la propria estenuata delicatezza a un esile ghirigoro, germoglio chiamato a farsi strada in un denso strato di umido, sudicio terriccio sonoro.

 

Sbiellato, appesantito, regolarmente sfibrato da deformazioni grottesche, il giovane mattatore californiano si produce in una nuova galleria di antitormentoni puerili, canzoncine giocose corrotte con dolo dalla solita razione di bizzarre alterazioni e da un lo-fi tornato su buoni livelli di terrorismo sonico dopo quel paio di passaggi, per così dire, più potabili. C’è sempre un ché di inquietante dietro la sua idea di divertimento, o di estate, come ben dimostrano gli spensierati motivetti di “Sugar Boat” e “Dead Energy”, godibili anche nella loro singhiozzante deriva nonsense. Ecco servita così una collezione di anomale ballate che emanano l’olezzo dei fiori ormai guasti, di colori alterati dal tempo, di un sistematico sabotaggio espressivo. Non ci sono calcoli tuttavia, e questo basta a preservare il disco dai rischi della maniera e di pose troppo furbe. Tutto è puntualmente ricondotto a una condizione di scherzo a briglia sciolta, e in quest’ottica anche brutture e sporcizia conquistano una loro (faticosa, occorre dire) dignità.

 

Con i fiati e le distorsioni che irrompono spesso come spiritelli, in uno sfrigolante sottobosco di assurde invenzioni, è alquanto divertente il fatto di non sapere mai bene dove sia Brigid a cantare, e dove piuttosto ci si trovi in presenza di una caricatura muliebre abbozzata da John. La naïveté del gruppo, pur in formazione ridotta, guarda insomma verso nuovi e più strampalati traguardi, e l’assenza di filtri consente a Dwyer di andare esattamente dove vuole: una landa di fantasie deteriorate da percorrere a piacimento, senza mappe o solidi appigli tramite i quali orientarsi. Le sinistre evocazioni sono presto dissimulate dal taglio ludico conferito dagli interpreti, quel tono da aberrante balocco meccanico assemblato alla meglio con materiali incoerenti e rigorosamente di recupero. E’ questo a fare di “Dog Poison” un pastiche di rimandi stilistici frammentari, un’incongruente antologia di brani-Frankenstein, sgraziati forse oltre il lecito ma a modo loro genuini.

 

L’impressione, a conti fatti, è che l’album vada ascritto però tra pagine minori della discografia Thee Oh Sees, ben più spassoso per chi l’ha scritto o prodotto che non per l’incauto ascoltatore che se lo debba sorbire. Un capitolo a parte, insomma. La sosta consapevole in un inquietante lunapark. Qualcosa di diverso, a ben vedere, da un semplice passaggio interlocutorio. Di simili valvole di sfogo, in fondo, un tipo vulcanico come Dwyer non smetterà mai di aver bisogno.
In seguito, comunque, anche la ricreazione gli riuscirà senz'altro meglio.

22/03/2014

Tracklist

  1. The River Rushes (To Screw MD Over)
  2. Fake Song
  3. The Fizz
  4. Sugar Boat
  5. Head Of State
  6. I Can't Pay You To Disappear
  7. The Sun Goes All Around
  8. Voice In The Mirror
  9. Dead Energy
  10. It's Nearly Over

Thee Oh Sees sul web

Tutte le recensioni su OndaRock
OSEES
A Foul Form

Tornano gli Osees di John Dwyer con il ventiseiesimo album in carriera, omaggiando l'hardcore e l'anarcho-punk degli anni 80

JOHN DWYER
Endless Garbage

Il musicista californiano si lancia in otto strumentali totalmente epurati di ogni parvenza di senso logico

JOHN DWYER
Gong Splat

Il musicista californiano chiude un anno all'insegna della pura improvvisazione

OSEES
Protean Threat

Il progetto di John Dwyer allarga gli orizzonti rimanendo uguale a se stesso

OSEES
Metamorphosed

Secondo album dell'anno per i californiani che sfoderano furia heavy e lunghe jam psichedeliche

OSEES
Panther Rotate

Un remix album di "Protean Threat" chiude il 2020 di John Dwyer & C.

OH SEES
Face Stabber

Il torrenziale psych-rock della band californiana in ottanta minuti che confermano un'invidiabile continuità

THEE OH SEES
Smote Reverser

Sempre più libera e guizzante, la band di John Dwyer regala un degno successore a "Orc"

OH SEES
Orc

La band californiana perde l'articolo ma non il vizio

OCS
Memory Of A Cut Off Head

Arcadica digressione folk per la bestia di John Dwyer

THEE OH SEES
A Weird Exits

La band californiana prosegue il proprio viaggio, approdando in territori motorik

THEE OH SEES
An Odd Entrances

Il gemello eterozigote di "A Weird Exit", esercizio marginale in consolidamento

THEE OH SEES
Mutilator Defeated At Last

Un nuovo inizio per la band di John Dwyer

THEE OH SEES
Drop

Disco vacanziero per John Dwyer in licenza dai suoi sodali

THEE OH SEES
Floating Coffin

I nuovi villaggi Potëmkin di John Dwyer e della sua ghenga

THEE OH SEES
Putrifiers II

La band garage-psych rallenta la produzione con buoni risultati

THEE OH SEES
Carrion Crawler/ The Dream

La prova più felice della compagine di John Dwyer, dal nobile revival psych a un nuovo immaginario

THEE OH SEES
Castlemania

Lo sfarfallante "Sunshine Pop Album" degli Oh Sees, gioiellino incompreso

THEE OH SEES
Warm Slime

Follia e seduzione garage nel disco più schizzato della band di San Francisco

THEE OH SEES
Help

Disco di consolidamento per la band di San Francisco

THEE OH SEES
The Master’s Bedroom Is Worth Spending A Night In

Piccolo cambio di nome, gran cambio di passo per la creatura di John Dwyer

THE OHSEES
The Hounds Of Foggy Notion

Struggente canto del cigno per la band che ritornerà sotto le spoglie di una fenice psych-rock