The Silt

Cat's Peak

2009 (Fire Records)
psych-folk, soul

Certi dischi penetrano lentamente, non hanno fretta di mostrare tutta la loro grazia. Sono talmente sicuri del proprio fascino, della propria diversità, che si lasciano poggiare sulla mensolina dei cd per mesi interi. Restano lì, quasi sospesi, in attesa di un incrocio di sguardi. In molte occasioni, fai fatica a distinguerli nella mole di produzioni indipendenti odierne. In altre, cerchi di lasciarli comunicare il loro intento, ma resti per l'ennesima volta perplesso, insicuro. E così, ricomincia l'estenuante tira e molla. 
Ma tutto d'un tratto, in una sera qualunque, li risollevi dal limbo e concedi loro l'ennesima possibilità, quasi senza sforzarti di condividerne l'essenza. Ed è proprio in quel momento che avviene il miracolo: lemme lemme, la musica cresce, le melodie dapprima ambigue, innafferabili, prive di grazia, diventano farfalle libere di svolazzare nel cuore, nell'anima e di far rabbrividire sensualmente la pelle.


"Cat's Peak", secondo lavoro del trio canadese The Silt, formato da Ryan Driver, Doug Tielli e Marcus Quin (indistintamente voce, basso, clarinetto, pelli, synth, chitarra, trombone e aggeggi vari) è uno di quei dischi capaci di scuoterti all'istante, dopo aver vagato per settimane o mesi nel dimenticatoio. In esso, l'obliquità folk diventa mezzo espressivo mediante architetture strumentali arzigolate in un percorso sonoro, nel quale l'immediatezza soul si nasconde dietro un muro di isolazionismi acustici e l'attitudine jazzy incrocia andature country.
La perizia strumentale del trio è posta al servizio di una comunicatività emotiva spiazzante. Possiamo orientare fin da subito  i paralleli verso la carissima Band, ricontestualizzata in uno studio di registrazione dove i comandi di regia sono tutti nelle mani di Will Oldham. Difatti, è al caro Bonnie "Prince" Billy che i tre pagano dazio, pur restando ancorati a una tortuosità folcloristica cervellotica, apparentemente irrisolta.
 
Fiati soul, wah-wah luminosi, improvvisi cambi di direzione e contorsioni sintetiche delineano i tratti somatici di "Come Back To The Willow". L'aria altezzosa e ubriaca che tira nello scazzo ipnotico di "No Twig" segna la sottile linea di confine mai tracciata tra il country in scia Young e l'umorismo psicolabile di Danny Cohen. In "Cat's Peak", ogni traccia ha la sua timida evoluzione, così come gli accordi sembrano dapprima disperdersi in un mare di pseudo-negligenza, fino a rientrare in boa senza aver perso minimamente consistenza melodica.
La poetica descrittiva sposa scenari metaforici, e in "Beautiful Shell" Doug Tielli scrive: "Heat opens all holes, you see to my core, I'm empty at last. I'm no beautiful shell. I'm the sea".
Il cerchio è chiuso dalle digressioni sbilenche di "Lit" e dalle anestesie acustiche di "Hour", disturbate in coda da improbabili e complicati fraseggi al synth.


Non aspettate che sia "Cat's Peak" a chiamarvi, magari stufo di soggiornare sullo scaffale dei ricordi usa e getta. Abbiate un minimo di pazienza a raggiungere la cima del gatto. Da lì, tutto il resto ha un sapore diverso.

22/10/2009

Tracklist

1. Come Back To The Willow
2. No Twig
3. Feathershine
4. Cat's Peak
5. Sunlit Cloud
6. Two Eyes
7. Taking A Walk
8. Cocoon
9. Beautiful Shell
10. Twilight In The Morning
11. Lit
12. Ears To The Rail
13. Hour

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