Baustelle

I Mistici dell'Occidente

2010 (Atlantic)
pop-rock

C’è un amore che non muore mai, più lontano degli déi, a saperverlo spiegare che filosofo sarei?
(Gli spietati)

L'eco delle critiche sorte dopo la pubblicazione de "La Malavita" ha continuato a farsi sentire, e si è anzi accentuata, con la svolta definitivamente commerciale di "Amen". Una posizione quindi comprensibile, quella dei puristi lo-fi, che hanno visto nell'evoluzione dei Baustelle un deliberato atto di smercio in cambio della notorietà presso il grande pubblico. In molti però, nella suddetta svolta, non hanno saputo cogliere un ben preciso intento beffardo del gruppo, che ha potuto in questo modo ampliare il raggio della propria indistinta critica verso la società odierna; l'adozione, dunque, degli stilemi alt-rock da successo di Mtv come metalinguaggio per un'approfondita (e non di rado feroce) disamina generazionale - molto più efficace e sapiente (saccente?), secondo il parere di chi scrive, che nel tanto osannato "Sussidiario"; quindici pezzi uniti da un sottile ma ben percepibile fil rouge, la (non-)sacralità del mondo di oggi e dei suoi falsi miti, una rea confessione di fronte a un dio difficile da incontrare.

"I mistici dell'Occidente", purtroppo, dimostra che di qui allo stereotipo il passo è assai breve. In un certo senso,  è un album che deficita già nelle sue premesse: mentre nel caso dei due dischi precedenti - e specificamente in “Amen” era ben percepibile un progetto quasi concettuale - la nuova fatica dei Baustelle nasce soltanto dalla voglia di pubblicare nuovi pezzi, oltreché dalle non celate pressioni esercitate dalla Atlantic Records. Prodotto dall’irlandese Pat McCarthy e per la prima volta da Bianconi stesso, quest’ultimo disco presenta una orecchiabilità ancora diversa rispetto al passato, in certi casi inconfutabilmente anglosassone, con arrangiamenti sempre più tesi all’internazionalismo e alla fruibilità per le masse.

Un solenne organo fa da preludio a “L’indaco”, accorato incipit di memoria vagamente floydiana che invita all’abbandono dei propri affanni per accettare senza riserve ciò che il futuro ci prospetta; un’ideale introduzione tematica a “San Francesco”, che irrompe con un riff distorto, seguito dalla immancabile sezione d’archi, una volta tanto in buona sintonia con il pezzo senza appesantirlo eccessivamente. Il testo, piuttosto criptico, rivela una particolare ammirazione di Bianconi nei confronti di questo personaggio storico di cui tratteggia un ritratto molto umano, a sottolineare che nessuno nasce santo; nell’era del consumismo sfrenato e sragionato, la rinuncia ai beni materiali di Francesco d’Assisi andrebbe senz’altro  rivalutata, in quanto estemporanea e decontestualizzabile rispetto a qualunque tipo di religione o di laicismo.
E’ un arpeggio di chitarra in stile troubadour a sorreggere le strofe della title track, tratta da un saggio filosofico di Elémire Zolla. La rinnegazione della realtà come salvezza dal mondo civile, ridotto senza mezze misure a un “mucchio di coglioni”, è il paradigma centrale del ritornello orchestrato in pompa magna, che sembra punti più all’effetto estetico che alla qualità della canzone; il risultato è un finto lirismo pop adatto a infervorare orde di aspiranti anarchici che non ne capiranno mai a fondo il messaggio.

All’atmosfera bucolica de “Le rane”, una amara riflessione sulla perdita dell’innocenza, segue il singolo di lancio “Gli spietati”, una triste dimostrazione dei danni provocati dall’iperproduzione e dalla sindrome da hit radiofonica. Una melodia facile come facile è il ritornello, pronto a entrare in testa e restarci colpevolmente; fiati e archi palesemente superflui vanno a riempire una canzone piuttosto vuota di contenuti, alla quale andrebbe attribuito l’infelice aggettivo “baustelliana”.
La tragica ballata “Follonica”, uno degli episodi meglio riusciti dell’album, dipinge un tipico, ahimé, paesaggio degradato dell’Italia centrale, assieme allo squallore di un amore letteralmente alla deriva (“Facciamo un po' di sesso, facciamolo lo stesso, verifichiamo di esser vivi sulla spiaggia di Follonica”); si direbbe quasi l’atto finale de “L’aeroplano”, splendida canzone del disco precedente, dagli stessi toni rassegnati ed esistenziali.

Superata la prima metà dell’Lp incominciano a presentarsi parecchie lacune tematiche e musicali, con pezzi prevedibili (“La canzone della rivoluzione”) e senza il mordente necessario (“Groupies”), che fino ad ora era riuscito a riscattare anche i pezzi meno convincenti; troppo spesso si riduce a uno strumento collaudato il timbro vocale di Bianconi, non più impietoso narratore metropolitano quanto ormai pura simulazione del buon De André, al quale da tempo aveva smesso di invidiare solamente il ciuffo. Una inesorabile scivolata nella banalità come mai nella produzione passata, canzoni che dopo qualche ascolto si farebbe meglio a dimenticare. Triste dire, inoltre, che il brano più intimo e nostalgico, intitolato “Il sottoscritto” – dove una volta tanto Bianconi lascia da parte gli usuali toni gutturali per far spazio al sentimento – finisce per somigliare a un inno da stadio alla Max Pezzali, scialbo e facilone. Il finale romantico de “L’ultima notte felice del mondo”, il cui stampo ricorda quasi Cocciante (!), è affidato alla suadente quanto innaturale voce di Rachele Bastreghi, che in questo disco ha avuto decisamente meno spazio – anche se a giudicare da certi episodi di “Amen” sembrava averne guadagnato.

In sintesi, “I mistici dell’Occidente” si presenta come un’opera piuttosto sconnessa, che mette in gioco buone idee, sorrette da canzoni non sempre incisive: l’impertinenza e il deliberato citazionismo degli scorsi album si affievoliscono per soddisfare la volontà di ridiscendere a terra, di toccare note più personali, mettendo da parte lo snobismo, ma senza rinunciare alle sontuose  (e spesso ingombranti) orchestrazioni. Tuttavia, la quinta fatica dei Baustelle non scombina troppo le carte in tavola: i loro fan di sempre non avvertiranno differenze macroscopiche, e così per chi non li aveva mai sopportati; più probabilmente ci rimetterà chi si aspettava una prova più matura alla luce della loro ormai decennale carriera discografica.
Certo è che l’attesa per il prossimo disco sarà alimentata da minori speranze, poiché a quanto pare la notorietà nuoce sempre più al rock italiano. Ma d’altra parte i Baustelle sanno bene quanto è difficile resistere al mercato.

31/03/2010

Tracklist

  1. L'indaco
  2. San Francesco
  3. I mistici dell'Occidente
  4. Le rane
  5. Gli spietati
  6. Follonica
  7. La canzone della rivoluzione
  8. Groupies
  9. La bambolina
  10. Il sottoscritto
  11. L'estate enigmistica
  12. L'ultima notte felice del mondo
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