Bj Nilsen

The Invisible City

2010 (Touch)
dark-ambient, drone, electro-acoustic

Artista da tempo impegnato in una ricerca musicale "concreta", incentrata su filtraggi elettronici ed environmental sounds, lo svedese Benny Jonas Nilsen ha alle spalle tante diverse esperienze e collaborazioni, tra le quali meritano una menzione almeno quelle con Chris Watson e con il duo islandese Stilluppsteypa. Nilsen vanta tuttavia anche una significativa attività solista, giunta adesso al terzo album a lui esclusivamente accreditato, sempre per i tipi della lungimirante Touch, etichetta che accanto ai "mostri sacri" Philip Jeck e Christian Fennesz non cessa di proporre produzioni di valore negli impervi territori dell'ambient music più sperimentale.

Al generico inquadramento definitorio non sfugge l'ora abbondante di musica racchiusa in "The Invisible City", lavoro le cui atmosfere traducono in una coltre sonora di spoglia alienazione l'evanescente relazione tra natura e civiltà umana. La città invisibile del compositore svedese (che concettualmente riecheggia, seppure in termini ben più spettrali, la "Quiet City" di Pan American), più che qualcosa di inafferrabile attraverso i sensi, descrive infatti un non-luogo nel quale suoni dalle origini più disparate si incontrano, fondendosi tra loro in combinazioni discontinue, uniformate soltanto da uno spesso manto di drone, pervasivo ma niente affatto ottundente.

Se infatti la resa complessiva del lavoro appare quella di un ipnotismo minimale, incessante è la ricerca condotta da Nielsen su suoni organici e field recordings, giustapposti a costituire gli elementi essenziali di un difficile dialogo tra i mondi in apparenza non comunicanti della natura, della tecnologia e degli strumenti propriamente detti. Emblematico dell'ambiziosa intersezione di piani operata da Nilsen è già l'elenco delle fonti sonore impiegate nel corso dell'album, al cui interno insetti, versi di uccelli, porte sbattute, strusciare di sedie e fischi di caffettiera trovano pari dignità di chitarre, pianoforte, organo e viola (suonata dall'ottima Hildur Guðnadottir), oltre che di una lunga serie di supporti elettronici virtuali e reali, tra i quali ricorre in quasi tutti i brani un pezzo di modernariato socialista quale il subharchord.

Lo svolgersi dell'iniziale "Gravity Station", tra inquietudini di terre immerse nella nebbia e ovattati crepitii sinistri, si declina secondo il miglior verbo di un'ambient spettrale e orrifica, perfetta cornice di foreste nordiche imprigionate nel gelo. E laddove "Scientia", in bilico tra l'Alva Noto glitch-addicted e quello più rilassato del capitolo "Xerrox Vol. 2", propone una distesa cupa e dai tratti gotici, la reiterazione portata ai massimi estremi rappresenta l'architettura concettuale dei quindici minuti di "Virtual Resistence". Se la prima metà dell'opera avanza lentamente, articolandosi su trame isolazioniste, a partire da "Meter Reading" le nubi perdono gradualmente il loro grigiore uniforme: il liquido amniotico in lieve fibrillazione di "Into Its Coloured Rays" agita abissi sotterranei, schiudendo la sua placida melodia nell'inno ambientale "Gradient", gioiello di silenziosa maestosità, le cui maglie, dapprima strettissime, lasciano poi filtrare raggi luminosi nella title track, che si perdono in un muro dronico dai tratti ascendenti come nel miglior Fennesz.

Ne risulta una costellazione di inquiete sinfonie ambientali, la cui profondità  è solcata in continuazione da inserti acustici e rumori ambientali che ne accentuano la tensione, rendendone sempre mutevoli gli sviluppi, in uno spaccato di isolazionismo post-industriale densissimo di suggestioni e percorso da una capacità comunicativa davvero rara.

05/02/2010

Tracklist

  1. Gravity Station
  2. Phase And Amplitude
  3. Scientia
  4. Virtual Resistance
  5. Meter Reading
  6. Into Its Coloured Rays
  7. Gradient
  8. The Invisible City

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