Jason Collett

Rat A Tat Tat

2010 (Arts & Crafts)
songwriter, alt-folk

Sapere che Jason Collett è uno della cricca dei Broken Social Scene è probabilmente il principale motivo per cui interessarsi ai suoi lavori da solista. Dimenticare questo dato di fatto è il migliore favore che gli si possa fare. È pur vero che è solo suonando la chitarra coi Broken Social Scene che Collett ha potuto dedicarsi a tempo pieno alla musica, e quindi anche alle sue produzioni in proprio, però questo "Rat A Tat Tat" uscito al di là dell'Atlantico nel marzo scorso è il suo quinto disco da studio. Insomma, il ragazzo non è esattamente un pivellino alle prime armi. E anche se i riferimenti musicali al collettivo di Kevin Drew e compagni non mancano, è bene prenderlo solo e soltanto per quello che è, un songwriter trentenne canadese che si muove con disinvoltura lungo le affollate lande del folk e dell'indie-rock di questo primo spicchio di secolo.

 

Le canzoni di "Rat A Tat Tat" sono undici, e tutte buone. Nemmeno quaranta minuti di musica che scorrono via veloci, apparentemente indolori. Il primo effetto, come sempre in questi casi, è sospetto. Se niente stona, si è portati a pensare che tutto sia già sentito. In effetti, può essere. Però - non ci si stancherà mai di ripeterlo - c'è modo e modo di non essere innovativi. E quello di Collett si fa preferire a molti altri, anche e soprattutto perché il suo è un gioco a carte scoperte.

 

Il disco si apre con quella che potrebbe sembrare una dichiarazione di intenti e che invece alla lunga si rivelerà una sorta di puro e semplice palesamento delle proprie radici. Con "Rave On Sad Songs", ballatona folk tutta chitarra e fisarmonica, Collett dice "ecco da dove vengo, ecco da dove sono partito". È un luogo che conosciamo tutti bene, quello dove ci aspetteremmo di incontrare per strada Dylan o - che so - Mr. Cohen, oltre al folto plotone di novelli folksinger spuntati nel continente americano negli ultimi anni. Il fatto è che, dopo questi primi quattro minuti scarsi di concentrato di tradizione, arriva subito la virata di "Lake Superior", lennoniana fino al midollo, col suo incedere in levare e il suo borbottio di basso quasi reggae, ma spruzzata di elettricità e autentico spirito rock tardo seventies. Ma già con la seguente "Love Is A Dirty Word" assistiamo a una nuova sterzata. Qui compaiono innesti black, ruffianerie alla Prince, continue pennellate di chitarra giocose. "Bitch City" è sempre scanzonata ma più rarefatta, quasi una filastrocca, Collett se la prende con questa città puttana, ma alla fine è chiaro che come vanno le cose non gli dispiace affatto. Un pezzo che non starebbe male in un disco del Beck degli anni Novanta, a dirla tutta.

 

In "High Summer" torna, stavolta davvero prepotente, l'ombra di John Lennon. Come se non bastassero la struttura singhiozzante e l'incalzare minimale del piano, anche la voce di Collett si stiracchia, non senza qualche effetto nebulizzante, come quella del baronetto più rimpianto del secolo scorso. Il fingerpicking di "Cold Blue Halo" si arricchisce progressivamente, il brano guadagna suoni e spessore, l'equilibrio si fa tondo. È il cuore del disco, e precede l'episodio più movimentato e trascinante, "Love Is A Chain", sofferta fotografia di una relazione tira-e-molla infarcita di fibre sintetiche, a tratti quasi dance. "Long May You Love" rimanda al Lou Barlow più folktronico e a certi echi beatlesiani, peraltro ben incastrati tra una strofa e l'altra. Ancor più evidenti, questi echi sono in "The Slowest Dance", a dire il vero tutt'altro che lenta, mentre in "Winnipeg Winds" Collett mostra il suo volto più cupo: è malinconico, quasi spettrale, scende - musicalmente e idealmente - lungo scale dai lunghi gradini, dalle quali non si sa se riuscirà mai a risalire. Per la chiusura, poi, il canadese la butta in burla. "Vanderpool Vanderpool" è ciò che avrebbe fatto Dylan di "Romance In Durango" se avesse voluto scrivere una farsa da far-west (Vanderpool è una sorta di terra di nessuno sperduta nel profondo Texas) e non un poemetto da amore di frontiera. Divertente, ben fatto, di poche pretese. Un po' come "Rat A Tat Tat" nella sua interezza. Ma Jason Collett è bravo, fa il suo onesto lavoro senza spocchia e difficilmente rischierà mai di tirar fuori dal suo cilindro impolverato roba di bassa qualità.

25/11/2010

Tracklist

  1. Rave On Sad Songs
  2. Lake Superior
  3. Love Is A Dirty Word
  4. Bitch City
  5. High Summer
  6. Cold Blue Halo
  7. Love Is A Chain
  8. Long May You Love
  9. The Slowest Dance
  10. Winnipeg Winds
  11. Vanderpool Vanderpool

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