Erykah Badu

New Amerykah Part Two (Return Of The Ankh)

2010 (Universal Motown)
nu-soul, r'n'b, funk

L'Ankh, altrimenti detta chiave della vita e croce ansata, è un antico simbolo sacro egizio. Esso simboleggia il concetto di vita in tutte le sue sfumature mistiche, religiose ma terrene e ontologiche: rappresentazione stilizzata del grembo materno, nodo in cui s'intrecciano positività e negatività nel cammino esistenziale, l'unione dell'organo genitale femminile (l'ansa) e di quello maschile (il braccio verticale della croce), di Iside e Osiride, il tragitto del sole che anima la natura e l'uomo con essa e il delta del Nilo che la feconda e rende florida la sua prole. Una dualità complementare e universale che si adatta alla perfezione alla vita e alla musica di Erykah Badu. In particolare alla sua ultima opera "New Amerykah" di cui questa "Part Two", ribattezzata "Return Of The Ankh", è per l'appunto l'ideale continuazione. L'altra metà della nuova (Am)Erykah, a sentire lei. Il lato destro del suo cervello, quello più istintivo, caotico, emozionale. Consacrato dunque ai sentimenti, all'amore, al privato dell'esistenza, laddove in "Part One" a prevalere era un approccio concreto e analitico alle cose. Alla musica, specialmente, ma anche alla politica e all'attualità dell'America di fine decennio, in guerra anche e soprattutto contro se stessa (non a caso il sottotitolo dell'album era "4th World War").

Essendo stato progettato, composto e in parte inciso nello stesso periodo, anche se da session diverse, "New Amerykah Part Two" ha molto in comune con il suo predecessore a cominciare dallo stesso team di firme prestigiose che affiancano la Badu alla scrittura e alla produzione: James Poyser, l'immortale J Dilla, Questlove (dei Roots), Madlib, 9th Wonder e Georgia Anne Muldrow, fra gli altri. I due capitoli, inoltre, condividono la stessa struttura da concept musicale che, contaminandosi attraverso i meandri, gli stili e le epoche della musica black, si sviluppa in un circonfuso flusso sonoro raccordando le singole canzoni attraverso una serie di dissolvenze incrociate. I brani, insomma, pur conservando tratti, forme e sonorità ben definite, tendono a confluire in un insieme ad alto potenziale cinematico, onirico, ambientale. Uno scenario che ricorre spesso nell'opera della Badu. La naturale evoluzione di quel non-genere afroamericano che nei Settanta chiamavano Quiet Storm dall'omonima canzone di Smokey Robinson.

La differenza più significativa rispetto all'album gemello consiste invece in un uso più esteso e diffuso delle parti strumentali rispetto al sampling e all'elettronica, una scelta in controtendenza rispetto alle ultime due prove, un punto di contatto con la vecchia Erykah, quella degli esordi. Anche se poi è sempre lei, la sua voce, la sua interpretazione, a fare la differenza. E c'è l'impressione che canzoni così scentrate, proluse, ellittiche, scadrebbero nell'esercizio di stile se cantate, pardon incarnate, da qualcun altro/a. Come la morbida rarefatta elegia di "20 Feet Fall" che apre l'opera, o il soul più ritmato e sincopato, ma ugualmente liquido e onirico, di "Window Seat", pezzo forte che la Badu cosparge di vocalizzi sensuali, impudici, insistiti e di avvolgenti strie elettroniche. Passando per estremi opposti come l'alato p-funk dalla chimica progressiva e poliritmica di "Agitation", da una parte, e la quadratura metronomica e hip-hop di "Turn Me Away (Get The Munny)", pop-soul spumoso e sbarazzino ai limiti della disco, "Fall In Love (Your Funeral) e "Love", saturo groove elettronico e finiture quasi glitch, dall'altra.

Congedo in perfetto stile Badu con i suoni preziosi e certosini di "Incense", arpa celtica su boom-klat (di Madlib) e vocalizzi eterei, e il "black to the future" di "Out My Mind, Just In Time": una suite di dieci minuti e rotti, un viaggio musico-temporale in tre movimenti sullo stile di "Green Eyes" o "Orange Moon" (da "Mama's Gun"). Qui la Badu dapprima rinnova il suo amore per Nina Simone e Billie Holiday, quindi, con un salto di quasi mezzo secolo, ci riporta in pieno, brumoso nu-soul, per naufragare infine nel gorgo di un jazz-lounge spaziale e psichedelico.

Affascinante, sofisticato, inafferrabile, incorreggibile questo è l'art-soul di Erykah Badu. Una musica paragonabile ormai solo a se stessa. E, ancora una volta, all'altezza di questo paragone.

12/04/2010

Tracklist

  1. 20 Feet Tall
  2. Window Seat
  3. Agitation
  4. Turn Me Away (Don't Get Munny)
  5. Gone Baby, Don't Be Long
  6. Umm, Hmm
  7. Love
  8. You Loving Me
  9. Fall In Love (Your Funeral)
  10. Incense
  11. Out My Mind, Just In Time

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