La scena di San Francisco continua a sfornare talentuosi musicisti di indie-pop. Dee Kesler e Chadwick Donald Bidwell nonostante un passato molto variegato e interessante, affrontano questa nuova avventura di rock alternativo americano con impeto e vigore creativo.
Due album in pochi mesi (il prossimo è atteso per l’inizio del 2011) con un mix di pulsioni kraut e incursioni wave targate anni 80 che caratterizzano il primo lotto intitolato “Yeth Yeth Yeth”.
Le premesse sono interessanti e i Fops sembrano una delle possibili sorprese dell’anno, ma purtroppo l’album è uno scialbo insieme di idee rubate agli Xtc di “Go2” ai Kraftwerk di “Radio Activity” e ai Teardrop Explodes di “Kilimanjaro”; ascoltando, ad esempio, “Ghost Town Hall” si ha subito al sensazione che i musicisti non posseggano né il dono della scrittura, né il dono timbrico adatto a suscitare una qualsivoglia tensione.
Milioni di album simili hanno occupato gli scaffali dei negozi degli anni 80 e 90, con destino spesso comune: ovvero rimanere invenduti anche al modico prezzo di mille lire. Il fascino retrò che potrebbe chiamare in causa perfino i superbi Wire, è in verità come il fascino che può avere andare a puttane a 90 anni per sentirsi giovani.
Certamente qualche spunto si manifesta tra le pieghe del "copia e incolla" abilmente orchestrato dai due musicisti: piace il suono da giocattolaio di “Solid Copper Huntress”, così come la leggerezza teutonica di “Maple Mountain”, l’estasi glaciale-ritmica di “Yellow Jacket Corpse” e il buon uso della carta copiativa in “Black Boar”, ma “Yeth Yeth Yeth” è un album che ruba tempo e fatica a cose più interessanti del panorama musicale moderno. Nonostante le lodi che si sollevano sul web, l’esordio dei Fops è un inganno per le vostre orecchie
20/11/2010