Attraverso una febbre quasi tarantiniana, di inopinata riscoperta e nobilitazione, la vecchia disco music si è trasformata negli anni recenti da reperto archeologico pure un po' risibile a fertile humus di sperimentazione per tutta una folla di produzioni e "scene" pop trasversali e mutanti, più o meno indipendenti. Ultimi della nidiata, ecco i The Hundred In The Hands, duo piovuto dal cielo (di Brooklyn) dritto nel roster della Warp, punti di partenza e d'arrivo non proprio qualsiasi.
Come dire, roba da predestinati, o più cinicamente, roba da hype garantito. E meritato. La prova sulla lunga distanza mostra infatti tutte le qualità del duo formato da Eleanore Everdell e Jason Friedman, dopo un clamoroso antipasto primaverile in forma di Ep ("This Desert"). Qualità che si traducono in una delle più intelligenti operazioni di recupero della paccottiglia vintage-pop, avvinghiata a quelle radici disco di cui si diceva poco fa, lanciata in una prevedibile e irresistibile abbuffata di moroderismi, linee assassine di bass/synth/drums, l'ammiccante vocina di Eleanore a portarci per mano nel caleidoscopio di brani come la ruffianissima "Pigeons" (già edita anche come singolo), o tra i battiti stroboscopici di "Young Aren't Young" e "Dead Ending", quest'ultima a rasentare la perfezione.
La loro è un'operazione di modernariato disco-pop che prende le mosse più dalla pionieristica opera di band come i magnifici Chromatics (e le loro diramazioni Desire e Glass Candy) che dalle zuccherose delizie "ipnagogiche" di Nite Jewel o White Hinterland. Ma Eleanore e Jason si distinguono, amano mischiare le carte, si tengono lontani dal kitsch gratuito e dalla calligrafia, costruendo invece con naturalezza pezzi al tempo stesso scintillanti e riflessivi, che vivono di vera vita. E di termini dal dizionario del pop elettronico ne conoscono un'infinità, tanto che ogni brano alla fine sa far storia a sé, pur nella fluidità e scorrevolezza di base.
Agile e veloce, il disco impazza tra una "Lovesick", che si guadagna l'oscar per il miglior arrangiamento coi suoi beat gommosi e i suoi singhiozzi di chitarra, una "Dressed In Dresden" che farà felici gli amanti del synth plastico e robotico, diverte con "Gold Blood" e "Last City", che tirano dentro chitarroni hard-rock e al contrario disarma con "Killing It", l'affondo sognante che traccia la sua scia luminosa, incanta e se ne va. Tra la prova da primi della classe di "Commotion", partenza sparata dagli Ultravox (quelli di Midge, e pare proprio lui alla chitarra) e mutazione in una flashdance con tutte le carte in regola per il gran botto commerciale.
Sfuggente, graffiante e raffinato, il debutto di The Hundred In The Hands merita subito un posto di prima fila nel museo del pop (post-)moderno. Warp scommette e vince.
29/09/2010